1Sam 16,1.4.6-7.10-13 Ef 5,8-14 Gv 9,1-41
OMELIA
In questo cammino quaresimale,
domenica scorsa, Gesù ci ha richiamati all’atteggiamento della ricerca. L’uomo
è assetato di verità e nella fede si pone in cammino per trovare il senso della
propria vita. La stessa condizione storica che stiamo vivendo ci pone dinanzi
tanti interrogativi e fa crescere in noi la sete di autentiche risposte.
Gesù oggi offre un nuovo
orientamento alla nostra ricerca, trasferendoci dall’immagine dell’acqua viva,
che disseta per la vita eterna, a quella, cara all’evangelista Giovanni, della
luce che illumina il mondo. L’uomo avverte che l’idea della luce è più grande del
semplice vedere fisico, poiché egli vive nella luce che avvolge tutta la sua
persona. La luce come senso della vita, lo porta a volgere lo sguardo verso
l’alto, a questa luce che illumina suoi passi. “Alla tua luce” -dice il salmista - “vediamo la luce”, perché “lampada
ai miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino”. Lo sguardo verso
l’alto ci offre la capacità di costruire l’esistenza nella luce, che è Cristo
Gesù, anima della nostra vita, fino a quando, incontrando definitivamente il
Signore, saremo in una luce che non conosce tramonto e riscalda il cuore, in
una attrazione gloriosa senza confini.
Ma come può questa affascinante
esperienza della luce diventare la guida che ci permette di ritrovare
pienamente noi stessi? Se ascoltiamo attentamente il Vangelo di questa mattina,
troviamo due criteri, perché questa luce ci renda figli della luce,
immergendoci in quell’eternità beata che guida i nostri passi, mentre siamo in
attesa di essere pienamente illuminati dalla luce che non conosce tramonto
dell’Apocalisse. Paolo ci ha detto: “siete
figli della luce. Comportatevi perciò come figli della luce: ora il frutto
della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità”. Dobbiamo fare
nostri i due atteggiamenti che Gesù pone nella persona del cieco: la
paradossalità dell’agire di Dio, che rende l’uomo cieco ancora più cieco e,
nello stesso tempo, la condizione di obbedienza nella quale il cieco è chiamato
a collocarsi.
Innanzitutto, se vogliamo essere
uomini della luce, dobbiamo entrare nella paradossalità di Dio.
Già nella chiamata di Davide, come
abbiamo ascoltato nella prima lettura, è affermato chiaramente che Dio non
guarda le apparenze, ma il cuore: “infatti
l'uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore”. Il criterio di agire
di Dio è totalmente diverso dall’agire dell’uomo. Già lo abbiamo intuito nella
domanda iniziale che i discepoli rivolgono a Gesù: “Ha peccato lui o i suoi
genitori perché sia nato cieco?”. Gesù non risponde alle nostre curiosità
umane, ma ci trasferisce immediatamente su un altro piano: “né lui, né i suoi genitori hanno peccato,
ma perché si riveli la gloria di Dio”. L’uomo, per poter essere nella luce,
deve ritrovare la propria povertà nella potenza di Dio: l’uomo è un cieco che si fa accecare per gustare la libertà d'avere il
cuore veramente fondato sulla luce. In questo cogliamo uno dei criteri
fondamentali dell’esperienza della salvezza: Dio si rivela quando siamo nel
buio, perché il buio è l’impotenza dell’uomo, ma è potenza di Dio. Il buio è il
darsi della gratuità di Dio che sconvolge tutte le sicurezze e i desideri,
perché l’uomo accolga nella sua vita la signoria di Dio. Questo suo agire offre
speranza nei tomenti dei nostri giorni.
L’uomo che con la sua intelligenza
vuol capire non vedrà mai la gloria di Dio. Ecco perché Gesù ha questa
paradossalità creativa: accecare il cieco. Se bramiamo la luce dobbiamo
prendere coscienza che siamo dei ciechi e che la luce, quella vera, quella che
dà senso alla nostra vita è nata dal massimo buio: la morte e sepoltura di
Gesù. Chi entra nel sepolcro si vede partecipe della LUCE. Gesù attraverso quel
gesto ci fa rivivere la definitività della sua morte sulla croce e nella tomba.
Il cristiano perciò non teme se la Provvidenza lo colloca nell’oscurità della vita,
perché sa che in quel momento è nella tomba con Cristo.
Allora, come si risolve questa
paradossalità? Al comando di Gesù - “Va’
a lavarti a Siloe” - il cieco obbedisce: va, si lava e vede. È il mistero
dell’obbedienza, per cui non occorre capire, ma accogliere con riconoscenza la
creatività della persona che il cuore intensamente ama. Quando l’uomo è nel
buio, che cosa gli permette di vivere? Se entriamo nella profondità della
nostra esistenza, l’intelligenza non vede, le domande non hanno risposta e
l’uomo può facilmente cadere in una solitudine drammatica. Nel momento in cui
ha detto “Va’ a lavarti a Siloe”, Gesù non ha parlato all’intelligenza
dell’uomo, ma al suo cuore. Nell’atto in cui ha rivelato la sua signoria, in
quella gestualità, in certo qual modo è entrato nel cuore del cieco e ha
illuminato il buio della sua storia.
È il mistero dell’obbedienza: il
cuore, amando la verità, la ricerca continuamente, in una obbedienza veramente
inesauribile. È interessante come nel brano evangelico sempre si dica che non
si sa da dove Gesù venga, ma l’uomo, quando si lascia prendere dalla presenza
del Maestro, riprende a camminare. L’obbedire è una luce calorosa del cuore in
una esperienza di buio storico.
Entrando in questa esperienza
interiore si giunge alla luce, si giunge all’atto di fede, si giunge ad essere
figli della luce, si giunge ad adorare il Signore. È la conclusione del brano
evangelico, che ci illumina in modo meraviglioso: “Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli
disse:"Tu, credi nel Figlio dell’uomo?" Egli rispose: "E chi è Signore, perché io creda in lui?"
Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te. Ed egli disse:
"Credo, Signore!" e si prostrò dinanzi a Lui”.
Scopriamo le meraviglie dell'amore
divino che avvolge nella gratuità del suo amore colui che, camminando nel
travaglio, si lascia illuminare e trasfigurare dalla LUCE. È quello che viviamo
in ogni Eucaristia.
In questa celebrazione
sacramentale cerchiamo di entrare nella morte di Gesù per lasciarci poi
avvolgere dalla sua luce di speranza. Siamo venuti in chiesa assetati di
verità, per essere illuminati, perché senza Cristo noi non possiamo camminare,
ma abbiamo fatto e stiamo facendo una meravigliosa esperienza: nel Corpo e nel Sangue
di Cristo, la luce che non conosce tramonto entra in noi, scalda il nostro
cuore e ci dà la capacità di camminare anche nel buio incomprensibile della
storia contemporanea.
Ecco allora che questa mattina
dobbiamo entrare in questa luce, certi che, se vivremo l’entrare nella morte
oscura di Gesù nella tragicità del quotidiano, ci sarà sempre una mano che ci
farà risorgere e con il Signore cammineremo nella luce che non conosce
tramonto. Lasciamoci conquistare da Gesù e in ogni oscurità e drammaticità
della storia avremo nel cuore una grande speranza: siamo in Gesù, luce e senso
della vita di ogni uomo. Tale sia il mistero che vogliamo vivere e condividere
in questa Eucaristia, per essere figli della luce, uomini di una speranza
veramente inesauribile.
-
Nessun commento:
Posta un commento