Ger 31,7-9 Eb 5,1-6 Mc 10, 46-52
OMELIA
Il discepolo riesce a ritrovare ogni giorno la propria condizione
di imitatore di Gesù entrando nella sua stessa esperienza, vivendone in
profondità il mistero. Il discepolo vive del Maestro e il Maestro è il criterio
della sua storia. Il Maestro rappresenta l'anima di chiunque voglia essere suo
discepolo poiché la consistenza esistenziale di ciascuno di noi è nel suo
mistero di incarnazione, morte e risurrezione. In lui il Padre ci rivela il suo
volto e ci apre orizzonti di eternità beata. Usando un'espressione cara a Paolo
negli Atti degli Apostoli in occasione del discorso all'Areopago dobbiamo
essere profondamente convinti che in lui
viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. È inconcepibile essere discepoli di Gesù
e non essere radicalmente avvolti nel suo mistero. Chiunque faccia questo tipo
di esperienza, si ritrova ad amare e a leggere la storia come la ama e la legge
Gesù. Il discepolo è la feconda incarnazione del Maestro nel tempo e nello
spazio. E’ il grande entusiasmo che dovremmo recuperare continuamente per poter
camminare in novità di vita. Tale esperienza anima la nostra vita ordinaria.
L'uomo storico si ritrova come il cieco del Vangelo, chiamato a
leggere l'esistenza e ad amare il concreto con il cuore e la mente di Cristo,
tuttavia si riscopre in una esistenza radicalmente appannata: si ritrova cieco!
Infatti l'uomo contemporaneo ha una grossa difficoltà esistenziale: è incapace
a leggere e amare la storia come la legge e la ama Gesù, perché è manipolato
dalla cultura odierna e dall'assenza di un cuore veramente libero. L'uomo si
ritrova così immerso nel buio dell'esistenza, si ritrova così preso dalla cultura
dell'immagine e del produttivo, che sta perdendo progressivamente la sua
identità. Il miracolo di questa mattina è il miracolo attraverso il quale Gesù
ci offre una luminosa affermazione: io sono la luce della mente e il calore del
cuore dell'uomo. Su un simile sfondo è molto bella la descrizione del miracolo
che ci offre l'evangelista Marco, il quale si rivolge a chi vuole seguire Gesù,
ai catecumeni, i quali possono diventare discepoli solo se si lasciano
illuminare da Gesù.
Il discepolo ha
un fascino per Gesù sempre più prorompente perché vuol vedere e amare il suo
quotidiano come lo vede e lo ama Gesù. Il discepolo non è colui che fa tante cose e
si costruisce tante programmazioni, il discepolo vive una realtà fondamentale:
il Cristo in lui sia il grande protagonista. Davanti alle oscurità nelle quali
noi ci ritroviamo ecco che il brano evangelico ci offre alcuni passaggi che
dobbiamo fare nostri:
la coscienza profonda che siamo degli uomini manipolati dal mondo
massmediatico
ci porta a diventare
una supplica in una intensa professione di fede
per ritrovare la
bellezza di lasciarci rigenerare dalla personalità di Gesù.
Innanzitutto è significativo soffermarci sulla figura del cieco che
grida la sua fede!
È molto bello il testo che l'evangelista ci ha consegnato: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!
In quella espressione figlio di Davide
c'è tutta l'intensità della fede. Davide è per eccellenza in alcune tradizioni
colui che nello stesso tempo è re, sacerdote e profeta. È l'espressione della
fedeltà di Dio, specie nella letteratura sacerdotale. Se l'uomo è stato creato
a immagine di Dio, Dio costituisce l’aspetto propellente nel cuore dell'uomo, e
l'uomo che è profondamente immerso nel mistero di Dio e che nello stesso tempo
avverte la propria schiavitù esistenziale, non può non gridare Gesù figlio di Davide abbi pietà di me!
Il gridare è il prorompere di un cuore veramente credente.
La fedeltà di Dio nei confronti dell'uomo è una fedeltà che deve
aiutare l'uomo a leggere l'esistenza nel cammino della storia quotidiana con la
luce che viene dall'alto. La supplica è la fecondità della fede. La supplica è
l'incontro tra un fascino interiore che Gesù ha realizzato in noi e la
coscienza dei nostri limiti nei quali ci dobbiamo ritrovare. Qui scopriamo la
ricchezza dei limiti nel camminare nella vita quotidiana.
La fede è il coraggio di gridare a Dio: senza di te sono
nell'oscurità!
Non è l'organizzare tanti progetti che ci dà la luce, ma solo la
coscienza che nel profondo del nostro cuore stiamo vivendo una meravigliosa
esperienza: senza il Cristo non possiamo né vivere, né vedere, né scegliere.
L'esperienza cristiana è un modo di intuire e di costruire il senso della vita.
L'uomo che “pensa di credere” facendo tante cose, vive la cultura della
manipolazione contemporanea. L'agire, qualche volta, è dimenticare il credere,
perché il credere è la bellezza della operatività di Dio nella nostra dinamica
umana. L'agire è nient'altro che l'incarnazione della bellezza di Gesù, che è
dentro di noi, e quando l'uomo entra in questa visione c'è una grande certezza:
ogni volta che poniamo l'atto di fede immersi nella supplica è il Cristo in noi
che si fa desiderare, è il Cristo in noi che diventa quel propellente
innovativo che ci suggerisce di dirgli: “In
te è il senso della mia vita”. Quando l'uomo avverte questa verità,
soprattutto la verità di Cristo che ha condiviso questo desiderio dell'uomo,
come ha detto molto bene la lettera agli Ebrei (Gesù assume i nostri drammi), noi
ci ritroviamo persone che abbandonano tutto per essere nella luce di Cristo.
È molto stimolante l'atteggiamento di quel cieco che davanti
all'invito di Gesù che lo vuol vedere butta via il mantello e il mantello - dice
il Deuteronomio - è la possibilità stessa di vivere. Egli rinuncia a tutto,
balza in piedi e va da Gesù che lo sta attirando. La bellezza della sua vita è
Gesù e quindi l'entusiasmo di seguire Gesù è la condizione per ritrovare la
luce.
Ecco perché questa mattina Gesù ci pone dinnanzi a un
atteggiamento interiore che non dobbiamo mai dimenticare: consapevoli della
grande verità a cui siamo chiamati e consapevoli, nello stesso tempo, dei
limiti storici nei quali noi ci veniamo a trovare, il Signore in noi, nello Spirito
Santo, sta gemendo e quell'atto di fede, espresso nell'atteggiamento del cieco,
è il cuore dell'uomo invaso dal Signore che diventa contemporaneamente atto di
fede e una grande supplica.
Davanti a questi atteggiamenti che Gesù stesso elabora in noi,
scaturisce l'entusiasmo di andargli dietro, di abbandonare il mantello, di abbandonare
quelle sicurezze storiche per dire la luce che è solo Gesù e come atteggiamento
di gratitudine davanti a tale esperienza - così si dice nel Vangelo - e subito vide di nuovo e lo seguiva lungo
la strada; sono i tempi nuovi che il profeta Geremia ha sognato nella prima
lettura.
Ogni mattina, consapevoli dei nostri limiti, gridiamo al Signore,
diciamogli tutta la nostra fede che è presa di coscienza dei nostri limiti
perché il Signore che è in noi ci dia quella luce magari semplicemente come
aurora, come alba tante volte, per poter illuminare i passi della nostra vita e
diventare il cuore di Gesù che ama, diventare l'ottica di Gesù che vede, e
allora camminiamo così …è la bellezza dell'Eucaristia!
L’Eucaristia è una meravigliosa sintesi di fede e di supplica dove
non siamo delusi. Nel momento in cui canteremo la nostra fede, che esprimeremo
la nostra supplica, in quel momento avremo la risposta: il corpo e il sangue di
Cristo, che vediamo con l'intensità del cuore innamorato. Avvertiamo questa
bellezza interiore alla quale Gesù ci chiama e che l'evangelista Marco ha
utilizzato per educare quelli che sarebbero stati battezzati nella notte di
Pasqua perché possiamo ritrovare la bellezza che il Signore non ci abbandona,
anche se siamo ciechi perché manipolati: Lui vuole che ci vediamo. L'importante
è fidarci di Lui!
Questo sia il mistero nel quale vogliamo entrare questa mattina in modo che nelle difficoltà non abbiamo paura a gridare la fede e allora il Signore ci darà quella luce del cuore che è la bellezza della vita. L'uomo di oggi vive senza saper vivere, il discepolo oggi vive sapendo come vivere perché nella luce del Signore tutto diventa luminoso, la luce diventa calore, la luce diventa forza, la luce diventa apertura sulla bellezza e la profondità della nostra vita.
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