30 ottobre 2022

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C -

Sap 11,22-12,2               2 Ts 1,11-2,2             Lc 19,1-10

OMELIA

Nel cammino di fede appare l'uomo come ricercatore infaticabile del volto di Dio. L’essere discepoli è essere dei ricercatori della verità. Il racconto evangelico di questa mattina ci può aiutare a come essere questi ricercatori del volto di Dio. In tale orizzonte ci accorgiamo che la ricerca è sostanzialmente un dialogo dove il primato è dato dall' azione di Dio nel cuore dell'uomo a cui l'uomo risponde attraverso un particolare stile di vita.

Innanzitutto in questa ricerca l'iniziativa è di Gesù, sia pure con modalità diverse. Se guardiamo attentamente la genesi della figura di Zaccheo noi ci accorgiamo come egli senta parlare di Gesù, in quel parlare di Gesù egli avverte l'urgenza di una ricerca. Il Vangelo nasce da un annuncio, da un mistero nel quale l'uomo si sente coinvolto, ed è talmente grande questo annuncio che Zaccheo fa di tutto per poter vedere Gesù.

La ricerca del volto di Dio nasce da un profondo dialogo esistenziale. Dio è un infaticabile ricercatore dell'uomo, il Dio della rivelazione è innamorato dell'uomo e la storia è nient'altro che il linguaggio attraverso il quale Dio in concreto dialoga con l'uomo. Ciò che conta è che l'uomo si lasci coinvolgere in questa iniziativa di Dio attraverso la ricerca. La bellezza della fede è un incontro tra una luce che avvolge l'uomo e l'uomo che si mette in cammino. Tante volte noi dimentichiamo questo elemento fondamentale: Dio non impone nulla all'uomo, Dio è innamorato dell'uomo, e in questo fascino la figura di Zaccheo ritraduce questa affermazione: vuol vedere Gesù, dove quel voler vedere nasce da nient'altro che dal desiderio di autenticità esistenziale. Ecco allora il primo aspetto di questa ricerca: lasciarsi coinvolgere nel mistero e nel fascino di Gesù-, L'uomo si lascia catturare da una presenza e questa presenza diventa la proposta di Gesù: Zaccheo oggi voglio dimorare nella tua casa! E’ molto bello quello che noi cogliamo nella successione dei fatti: il desiderio diventa ricerca, la ricerca diventa accoglienza, accoglienza del mistero. Zaccheo oggi vengo in casa tua!  Quando l'uomo si sente raggiunto per pura grazia da questo evento meraviglioso intensamente desiderato, l'uomo, in sé, trova due atteggiamenti fondamentali: il senso dello stupore e del rendimento di grazie - che diventa condivisione di gioia -, la condivisione di beni. Infatti se guardiamo attentamente il cammino della fede di questo meraviglioso dialogo tra Dio e l'uomo, possiamo cogliere questi due meravigliosi sentimenti: l'ammirazione nella ricerca che diventa obbedienza, il senso della gratitudine che diventa condivisione dei beni come espressione di rendimento di grazie. Dio affascina l'uomo, Dio avvolge la creatura umana, Dio colloca l'uomo nell'accoglienza del mistero. E’ interessante il passaggio dalla strada alla casa, dal cammino alla ricerca alla gustazione dell'intimità di una presenza. La bellezza della fede è accogliere il Maestro divino. Noi tante volte pensiamo che credere sia capire, sia fare chissà che cosa, credere è una sete che Dio ha collocato nel cuore dell'uomo perché sia ricercatore del senso della vita. La bellezza del cristiano è una bellezza che si sente coinvolta in un fascino divino-umano, è l’essere assetati di questo grande mistero come il criterio fondamentale della nostra storia. Quando noi siamo assetati vogliamo essere dissetati e accogliamo l’invito: oggi vengo in casa tua. Stiamo vivendo un meraviglioso movimento: dalla storia all'intimità, dall'essere ricercatori a gustare una presenza. La bellezza della fede è gustare una presenza, è il passaggio dalla fede elementare dell'uomo ricercatore alla fede che è gustare il volto di Cristo. Ecco perché il Cristiano nel cammino della sua esistenza è un continuo ricercatore del senso della vita!

Quando il Signore è entrato nella nostra storia è venuto per dare risposta a ciò che nel cuore dell'uomo era profondamente radicato: il tuo volto o Signore io cerco, non nascondermi il tuo volto. Quando l'uomo spalanca la propria esistenza all’accadimento di Dio. Possiamo gustare la bella affermazione di Gesù - oggi la salvezza è entrata in questa casa. In questa profondità di espressione cogliamo il senso del dialogo, la ricerca, l'accoglienza, la gustazione in una novità di vita e quando l’uomo entra in questo orizzonte è veramente se stesso. L'evangelista Luca questa mattina vuol aiutarci a camminare in vera novità di vita, Gesù è ricercato perché è il respiro della nostra esistenza, Gesù è desiderato perché è la luce che guida i nostri passi, Gesù opera nel nostro cuore perché veramente nasca e cresca sempre più il desiderio di incontrarlo sulla soglia dell'eternità beata. Un simile movimento esistenziale ci fa dire che la bellezza di essere cristiani è essere ricercatori della Verità, per gustare Gesù nello Spirito Santo per assaporare la comunione con il Padre. Ecco perché l'incontro avviene in una casa, in una intimità esistenziale per cui la bellezza della fede è entrare in questa meravigliosa intimità. Noi spesse volte dimentichiamo come la bellezza della vita di fede sia gustare una presenza, sia dare ospitalità, in una ricerca che diventa ospitale alla creatività Divina perché possiamo veramente camminare in novità di vita: oggi la salvezza è entrata in questa casa, oggi l'armonia umana del Figlio di Dio ha avvolto la persona dell'uomo. Se riuscissimo a cogliere tale bellezza evangelica, ci accorgeremo che vivere è cercare, vivere è lasciarsi incontrare, vivere è diventare gratuità e gratitudine nel concreto di tutti i giorni. Un simile itinerario è la bellezza della nostra esistenza!

Questa mattina ci siamo riuniti qui per rivivere la stessa esperienza di Zaccheo. Siamo degli assetati del volto di Gesù. Tale esperienza è una cosa che dovremmo sempre cercare, ritrovare e riscoprire: essere profondamente assetati del dono della salvezza! Infatti entrando in chiesa Gesù non ci ha delusi, lui è presente, come nella casa di Zaccheo, in certo qual modo dice a noi: voglio venire in casa tua, nell'assemblea liturgica, nella casa del Signore, per poter gustarne tutta la soavità. Se noi cogliessimo tale verità renderemmo veramente grazie al Signore per questo meraviglioso incontro e ne trarremmo la gioia di condividere con i fratelli questo gaudio. Noi qualche volta dimentichiamo che la bellezza della fede è un incontro di cuori che cercano, accolgono e cantano gratitudine. Se noi percepissimo tale meravigliosa verità con il cuore, la mente e la sensibilità esistenziale riusciremmo a comprendere come la bellezza della fede non sia capire o non capire, ma cercare, accogliere e gustare il Mistero e la Verità della nostra esistenza. Chiediamo allo Spirito Santo in questa Eucaristia di entrare in questo flusso di vita. Noi purtroppo siamo troppo distratti. La bellezza è lasciarci prendere in questo flusso di vita per gustare la bellezza della nostra storia salvata: oggi sei creatura nuova, oggi sei la fiducia divina, oggi il mondo che ti è regalato lo puoi costruire secondo il disegno della verità e della giustizia e della serenità.

Celebriamo così questi divini misteri con tanta serenità interiore. Qui c'è Gesù. Noi tutti siamo Zaccheo, il risultato è uscire di chiesa e dire: oggi la salvezza è entrata nella casa della mia persona e nei miei fratelli. Chiunque scelga di costruire con Gesù, sarà in grado continuamente cogliere la bellezza nella storia di tutti i giorni. In tale clima di speranza potremo veramente vivere e condividere la grandezza del cammino evangelico.

 

Oggi, qui, Dio ci parla...

Oggi per questa casa è venuta la salvezza

27 ottobre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Ecco, io scaccio demoni e compio guarigioni oggi e domani: e il terzo giorno la mia opera è compiuta

26 ottobre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio

23 ottobre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Chi si umilia sarà esaltato!

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C –

 

Sir 35,15b-17.20-22a               2 Tm 4,6-8.16-18                Lc 18,9-14

Omelia

Gesù opera intensamente nella vita di ogni discepolo e gli fa pregustare passo passo la grandezza del suo amore, nella prospettiva della pienezza della gloria.

Nel cammino quotidiano della fede avviene nel battezzato un processo di incessante attrazione, che lo colloca sempre più nella luce divina, quella luce che deve animare e qualificare la sua storia. Specialmente nell’esperienza della preghiera questa dinamicità si rivela estremamente significativa e produttiva.

L’uomo, che desidera essere sapiente nelle scelte quotidiane, sa collocare i propri parametri esistenziali nel mistero della propria relazione con il Dio che crea, redime e santifica.  Infatti, quando il discepolo si pone della condizione della orazione, come accoglienza costante della divina presenza nella propria concreta esistenza, avverte in se stesso l’agire divino che lo stimola a lasciarsi permeare dalla gratuità che lo avvolge, lo fa esistere, lo attira a sé e lo aiuta a ritrovare se stesso. E’ il senso della parabola che oggi Gesù ci offre.

Il tempio rappresenta per eccellenza il luogo in cui abita la gloria di Dio. L’uomo, “entrando nella nube del mistero”, avverte la verità della propria condizione interiore e ritrova se stesso non solo come creatura strutturalmente limitata, ma soprattutto come creatura che è profondamente impregnata dalla condizione di peccato. Nella luce che viene dall’alto l’uomo riscopre la verità della propria esistenza.

Sicuramente una simile convinzione serena e coraggiosa della propria creaturalità lo porta ad accogliere sé stesso con tutti i propri limiti esistenziali e a porsi in relazione viva e dinamica con colui che gli può offrire consistenza per le scelte quotidiane nello scorrere della sua vicenda storica. Il salmista ci dice: Solo in Dio riposa l’anima mia, da lui la mia speranza.

Solo a chi ama essere piccolo nel mistero della grandezza divina, Dio rivela la grandezza del suo amore. La gioia della propria piccolezza, anche se peccatrice, rappresenta l’esperienza quotidiana per assaporare la grandezza inesauribile della misericordia di Dio. Ciò che conta nell’esperienza quotidiana sta nel ritrovare il coraggio di abitare nell’Amore. In tale orizzonte esistenziale l’aspetto, tuttavia, al quale Gesù vuole condurci e sul quale vuole richiamare la nostra attenzione è quello di sentirci evangelicamente peccatori. Infatti non solo siamo chiamati a prendere coscienza della nostra piccolezza, ma anche ad avvertire la condizione di non vitale comunione con la Fonte stessa della vita. Chi si pone in modo orante e contemplativo nel Mistero avverte immediatamente la fragilità della propria esistenza e l’a persona entra nella dinamica di trovarsi rigenerata per grazia.

Tale esperienza è fattibile solo nella diretta relazione con il divino. La luce, che anima la parabola odierna del pubblicano e del fariseo, scaturisce dal tempio e ha come contesto il tempio. Solo alla presenza di Dio l’uomo, che brama un’intensa purezza del cuore, ama sentirsi pura gratuità divina e si lascia condurre a riconoscere il proprio peccato. Chi entra da credete nel mistero della misericordia trinitaria gusta l’essere nuova e luminosa creatura, in una esaltante ebbrezza interiore.

Nel tempio si fa l’esperienza di un peccato che nella fede diventa luogo del darsi misericordioso di Dio che rigenera il cuore umano.

Il dramma del fariseo lo cogliamo nel fatto che egli non avverte la propria povertà esistenziale. Di riflesso si allontana dalla convinzione evangelica di non sentirsi pura grazia, con la grande tentazione del sentirsi interiormente “protagonista”. Egli infatti, nel suo atteggiamento, rivela l’incapacità di non sentirsi profondamente amato, con la conseguenza logica di saper amare la propria condizione di radicale povertà.  Dovremmo amare d’essere semplici nel cammino quotidiano, mettendo i nostri limiti nel fuoco dell’amore della incarnazione pasquale del Signore. Il pubblicano, invece, si colloca in un altro orizzonte e pone sé stesso pienamente nelle mani di Dio. Il suo atteggiamento esteriore e le parole che fioriscono dal suo cuore sottolineano la coscienza attiva della grandezza di Dio nella sua storia. Infatti la coscienza di sentirsi peccatore in una grande speranza fiorisce dal diuturno incontro con Dio.

Infatti se Dio smettesse di illuminare il cuore della creatura e di offrirle la sua fiducia nello Spirito Santo, questa non avvertirebbe mai la fecondità della presenza divina nella propria esistenza e non ne godrebbe l‘infinita misericordia. La grandezza della persona umana sta tutta nel mettersi davanti a Dio per lasciarlo operare nel proprio cuore. Infatti il linguaggio del pubblicano ritraduce la ferma convinzione d’essere sotto l’influsso dell’amore divino, che opera nel cuore umano in modo fecondo. Ogni riconoscimento del proprio peccato incarna la fecondità dell’azione divina nel cuore della creatura.

Se guardiamo attentamente l’azione divina nel cuore dell’uomo, ci accorgiamo come lo Spirito Santo illumini le profondità della nostra persona e le faccia comprendere come abbia operato scelte che non incarnavano la vocazione alla comunione con Dio e con i fratelli. E’ in Dio allora che l’uomo dice d’essere e di sentirsi peccato. Questo atteggiamento, che potrebbe sembrare in modo immediato un’esperienza negativa, tuttavia risulta un momento fecondo per proiettarsi in un itinerario di conversione, nel quale l’uomo si rende sempre più docile all’azione dello Spirito Santo.

Egli si sente, nella propria persona, la fiducia di Dio in atto.

Quando si vive tale esperienza, non viene mai meno il coraggio d’affrontare ogni avventura esistenziale per maturare nella luminosità dell’esistenza, non avendo paura neppure dell’impossibile.

Intuiamo di conseguenza che l’uomo viva da perdonato con il coraggio della fede, non temendo mai di riconoscersi peccatore, poiché tale esperienza scaturisce dalla forte e continua relazione con Dio, nel quale ama abitare quotidianamente, per essere stimolato a costruire ogni istante della propria esistenza in una continua novità di vita.

Questa condizione diventa allora la convinzione abituale che anima il cristiano per comprendere la propria esistenza nell’orizzonte divina e per crescere nella conversione.

Il risultato di un simile percorso sarà l’espressione del recupero in termini personali e consapevoli della comunione che Dio continuamente sviluppa nel cuore del discepolo. Questi vivrà la sua storia regalando quotidianamente quella speranza esistenziale, e tale vitalità spirituale rappresenterà la forza per ricominciare sempre da capo. 

In questo percorso esistenziale intuiamo l’affermazione di Gesù che il pubblicano se ne sia ritornato a casa giustificato meglio del fariseo. Chi dimora in Dio, vive una profonda luminosità spirituale che gli fa percepire contemporaneamente la sete di luce che zampilla nel suo cuore, e un intenso desiderio di abbandono progressivo del regno delle tenebre.

Questo è un itinerario che non avrà mai alcun termine, fino a quando la creatura sarà definitivamente trasfigurata nel mistero di Dio.

Il quadro parabolico che Gesù oggi ci presenta lo stiamo vivendo ora.

Anche noi siamo saliti al tempio e ci troviamo nella gloria divina, contemplando nello Spirito la presenza luminosa del Cristo. Se in questa viva e vivace relazione con il Maestro sappiamo sentirci peccatori, nella speranza che viene dall’alto, allora nel momento in cui faremo la comunione, Gesù ci donerà il suo Corpo dato e il suo Sangue versato per renderci uomini giusti, uomini che crescono - per grazia - nella meravigliosa comunione divina. Qui viviamo ogni domenica la vivacità della nostra rigenerazione esistenziale.

Non dobbiamo mai temere nel sentirci peccatori nel mistero che ci avvolge, ma dobbiamo lasciarci invadere dalla potenza divina per maturare giorno per giorno nel desiderio d’essere progressivamente trasfigurati nel Maestro.

Ciò avverrà pienamente nella meravigliosa liturgia del cielo.

 

16 ottobre 2022

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C -

Es 17,8-13   2Tm 3,14-4,2                     Lc 18,1-8

Domenica scorsa la Chiesa ci ha riuniti perché ricordassimo la dedicazione di questa comunità cristiana. Nell’aula della celebrazione liturgica scopriamo d’essere persone che appartengono al Signore e tale esperienza vuol dire imparare ad essere in stato di preghiera. E’ molto bello come il profeta Isaia abbia detto la mia casa è casa di preghiera perché la bellezza di essere comunità cristiana è essere fraternità orante. In continuità con tale verità questa mattina la Chiesa ci offre la parabola sulla necessità di pregare continuamente. Ci sentiamo dunque stimolati ad intuire come sia bello soffermarci ad intuire cosa voglia dire pregare continuamente. Su tale orizzonte emergono tre possibili sottolineature:

  la vocazione a pregare continuamente

  esercizio dell'essere creature, in una perseveranza continua,

  in attesa di lasciarci incontrare dal Signore quando verrà sulle nubi del cielo.

Innanzitutto il pregare e il pregare continuamente, come ci suggerisce il testo evangelico, è l'esercizio dell'essere creature. Della nostra identità creaturale. Dobbiamo sempre distinguere tra il “pregare” e “il dire le preghiere”, il dire le preghiere è un linguaggio storico, il pregare è la vocazione all'interno della persona, il pregare è l’esercizio della gioia dell'essere creature nelle mani del Creatore. Ecco perché l'immagine che Gesù ha usato nella parabola della preghiera è quella della vedova? Chi è la vedova? E’ la donna che è stata “depauperata” del marito, e l'evangelista Luca è innamorato della tipologia delle donne vedove. Per ben quattro volte nel Vangelo di Luca viene citata tale esperienza; Anna figlia di Fanuele, la vedova di Naim, la donna Siro-fenicia e la vedova della parabola odierna. Tale tipologia aiuta a comprendere il valore di essere vedove; donne che vivono del desiderio dell’intimità con lo sposo. Infatti qual è il fondamento del nostro pregare? E la risposta ce la dà quel testo molto bello della creazione dell’uomo: facciamo l'uomo a nostra immagine perché diventi progressivamente nostra somiglianza. Pregare è respirare quotidianamente la gioia coraggiosa di essere creature nelle mani del Creatore, pregare è collocare la nostra esistenza nella signoria di Dio, e pregare è prendere coscienza continuamente che siamo l’oggi della divina provvidenza trinitaria. Il pregare è la gioia di vivere in relazione con il Signore ritrovando e riscoprendo in modo continuo la nostra esperienza d'essere capolavori della relazione con Dio. Come conseguenza il pregare continuamente, è nient'altro che prendere giorno per giorno una coscienza progressiva dell'appartenenza della nostra identità al mistero creativo di Dio che è Padre Figlio e Spirito Santo, pregare è respirare l'agire trinitario nella nostra persona. Vivere è pregare in alto, e il pregare in alto ci dà la bellezza e il coraggio del vivere. L'idea di Gesù espressa nella parabola del pregare continuamente è nient'altro che l'esercizio, gioioso e coraggioso, di essere creature nelle mani del Creatore e pregare continuamente è divenire la luminosità della presenza di Dio che trasfigura le nostre persone collocandole nelle mani della Provvidenza che ci guida continuamente.

Partendo da questo primo elemento per cui non esiste uomo che non preghi, perché ogni uomo è chiamato a respirare quotidianamente il dono di esistere, emerge il secondo passaggio nelle immagini della vedova. Infatti dicevamo che l'evangelista Luca ami le immagini della vedova poiché ritraduce una profonda condizione esistenziale che nell'ordine della fede possiamo ritradurre così: senza il Signore non possiamo vivere! Pregare è una professione di fede: Tu sei il mio Signore! Anche se a livello emozionale possiamo avere la sensazione di non riuscire a pregare, tuttavia il coraggio di vivere, il coraggio di camminare nella storia, il camminare nel coraggio di appartenere a Dio è un meraviglioso pregare. Le preghiere sono il linguaggio storico di una vocazione all'interno della nostra vita solo in Dio riposa l'anima mia! Ecco perché la preghiera più bella è il silenzio di un cuore orante che nel cammino quotidiano si affida, si fida cantando la propria gratitudine a Dio. Il pregare continuamente è gustare il dono della ferialità della vita. E questo aspetto è sicuramente importante da riscoprire perché ci accorgiamo che la preghiera continua è respirare l'atto creativo di Dio che ci ama in modo inesauribile e infinito.

Allora attraverso questo itinerario quotidiano si realizzerà la risposta alla domanda che Gesù ha posto al termine di questo brano evangelico ma il figlio dell'uomo quando verrà troverà la fede sulla terra? Troverà persone che lo stanno aspettando?

L'uso delle immagini della vedova a tale riguardo risulta estremamente significativa. L’anima del battezzato, espressa nella dinamicità della donna vedova, nell'incontro con il Signore, realizzerà la propria storia. E’ quel desiderio di eternità beata che è dentro di noi. Creati a immagine di Dio abbiamo la vocazione ad essere oranti per venire trasfigurati nella bellezza divina. Camminando nella gioia coraggiosa di essere creature nelle mani di Dio diventiamo sua immagine per potere, al termine della nostra vita, gustare eternamente la visione della Trinità beata. La verità del pregare è il desiderio che cresce continuamente di poter vedere la gloria di Dio, è un camminare dove il futuro è la vivacità del presente nella coscienza che siamo capolavori costruiti dal Padre, dal Figlio e dello Spirito Santo per poter veramente entrare in questa visione beata. L’invito a pregare continuamente riassume tutto ciò che siamo, tutto ciò che bramiamo, tutto ciò che noi facciamo, tutto ciò che noi desideriamo. E allora il momento della morte sarà l'incontro desiderato per vedere eternamente il Signore in una visione inesauribile che qualifica le nostre persone.

Ecco perché ci troviamo nell'Eucaristia. L’Eucaristia è una preghiera vivente, attraverso il linguaggio del rito, perché è nient'altro che vivere in atto nelle mani del Signore e vivendo nelle mani del Signore, il Signore non ci delude. La presenza sacramentale del corpo e del sangue di Gesù è la nostra preghiera concretizzata. Quando noi andiamo ai doni eucaristici è il Signore che ci ha ascoltati, ha accolto il nostro desiderio di ricrearci nel cammino del quotidiano, in attesa del banchetto glorioso Beati gli invitati alla cena delle nozze dell'Agnello. Il pregare continuamente non è altro che desiderare in modo continuo ed inesauribile la gustazione dell'eternità beata. Qui siamo nel provvisorio, pregare continuamente è desiderare quell'incontro definitivo quando Dio sarà tutto in ciascuno di noi. La odierna celebrazione eucaristica rappresenta il massimo incontro nuziale con il Cristo nello Spirito Santo in un inno di lode al Padre. E allora chiediamo allo Spirito Santo questo desiderio dello sviluppo della vita divina dentro di noi in modo da orientare la nostra storia in questa bellezza gloriosa che sarà la realizzazione della nostra vita. In tale dinamica spirituale scopriremo allora che la persona sommamente amata, la potremo raggiungere ella convivialità del paradiso, con essa godere di quella visione gloriosa dove la Trinità allieterà profondamente il nostro spirito. Ecco il pregare continuamente: il cuore amato che ama desidera un compimento di gloria nella realtà del Paradiso nella Gerusalemme del cielo in quella pienezza di gloria quando Dio sarà tutto in ciascuno di noi. Il pregare continuamente si riveste di beatitudine eterna e tale è la gioia che vibra nei nostri cuori.

 

Oggi, qui, Dio ci parla...

Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?

09 ottobre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Alzati e va: la tua fede ti ha salvato!

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C - DEDICAZIONE DELLA CHIESA

Ez 43,1-2.4-7     1 Pt 2,4-9     Gv 4,19-24

OMELIA

La nostra comunità cristiana oggi è invitata ad approfondire il senso di cosa voglia dire essere Chiesa. E’ nella gioia d’essere comunione che il volto di Cristo diventa fecondo per il nostro spirito. Una simile convinzione ci aiuta a ricordare che il giorno della dedicazione del tempio evangelico non è nient’altro che richiamare quello che poc’anzi l’apostolo ci ha regalato nel Vangelo: essere un vivente e trasfigurante culto in spirito e verità sapendo che questo culto in spirito e verità è incarnato nella figura di Cristo. Noi siamo qui riuniti come comunità e la comunità è la Chiesa; secondo un trinomio molto bello: il Cristo, presente in mezzo a noi, attraverso la convivialità eucaristica ci raduna come popolo di Dio, tre elementi che fanno il mistero della Chiesa. Le mura sono solo un segno di un mistero molto più grande e questo mistero si racchiude in questi tre passaggi:

-      il Signore è presente nella storia,

-      la bellezza della convivialità eucaristica,

-      la gioia di essere popolo di Dio.

Ecco perché Gesù ha detto Ma viene l’ora, ed è questa in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, dove l’ora è la persona di Gesù nel progetto di salvezza del Padre. La bellezza dell'essere Chiesa è gustare in modo meraviglioso la reale presenza di Cristo e questo è il primo elemento che dobbiamo insieme cercare di condividere. Le mura sono un segno, non sono il valore, le mura ci dicono “qui quando ci si raduna c'è il Signore vivente!” E’ la bellezza della nostra esistenza: vedere il Signore! Ecco perché noi entriamo nella celebrazione desiderosi di poterlo vedere; un cristiano non innamorato di questa attrazione continua verso il Signore non ha intuito cosa sia la Chiesa. E’ la bellezza della nostra fede il fascino di Gesù! Il resto è tutto segno di qualcosa che ci avvolge, ci costruisce, ci dà il senso della vita.

Noi questa mattina ci siamo radunati nel fascino di Gesù, il rito è solo l'incarnazione, la ritraduzione di questa bellezza di Gesù che prende la nostra vita. Dedicare una Chiesa in un luogo è perché, quelle persone che vi abitano, sono affascinate da Gesù; se non ci fosse questo criterio di fondo è tutto museo! La bellezza è la presenza del Signore e questa presenza del Signore si ritraduce nella gioia della convivialità, la bellezza di ritrovarci attorno al Signore, alla sua parola e alla sua commensalità. La grandezza della Chiesa è stare con il Signore! Ecco perché nel succedersi della ritualità la nostra anima è presa da un unico mistero: Gesù ci convoca, il Risorto ci parla, il Figlio di Dio celebra i divini misteri. Questo è il mio corpo dato, questo è il mio sangue versato… la bellezza di gustare una presenza attraverso la bellezza feconda della convivialità.

Tutto questo ci permette il terzo passaggio, secondo una bella espressione che nella teologia medievale è emerso in modo chiaro: l'Eucaristia fa la Chiesa. Il Signore risorto ci convoca attorno a sé, nella convivialità costruisce la Chiesa, la comunità cristiana. E’ la bellezza di ritrovarci questa mattina qui, essere nell'Eucaristia Chiesa autentica: è l'assemblea liturgica. Ecco perché Gesù ha detto Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità. Infatti qual è il mistero che stiamo vivendo in questo momento? Il fascino di Gesù ci ha attirati, la presenza di Gesù ci sta trasfigurando, è la bellezza di essere qui persone che si lasciano costruire sacramentalmente, lui è presente, lui ci sta veramente rinnovando esistenzialmente dandoci la luminosità della bellezza eterna! La Chiesa è dei contemplativi. Un cristiano - diceva un grande teologo tedesco - o è un mistico o non è un cristiano. La bellezza di ritrovarci nell'Eucaristia è la bellezza di trovarci persone che si lasciano trasformare dalla luminosità del Cristo, che ci costruisce giorno per giorno, nella pienezza della nostra umanità. E allora la comunità cristiana è nient'altro che un popolo di Dio in cammino che esce nel tempo e nello spazio per proclamare le meraviglie di Dio. Chiamati a vedere il Signore nella contemplazione ne gustiamo la presenza attraverso il sacramento per entrare in una esperienza mistica, la stessa sensibilità di Cristo diventa la nostra sensibilità. Questa è la Chiesa!

Noi tante volte dimentichiamo questo meraviglioso mistero che è il senso portante della vita. Non per niente noi celebriamo in attesa della pienezza della Gerusalemme celeste. Questo è un segno, un terremoto potrebbe distruggerlo, ma la Chiesa rimane: la bellezza di ritrovarci in attesa di quella bellezza gloriosa che è la Gerusalemme del cielo. Ecco allora la bellezza di ricordare la dedicazione di una chiesa la riscopriamo per farci ritrovare assemblea che crede, che celebra, che si lascia misticamente trasformare. E allora se noi riuscissimo a cogliere la bellezza di questa esperienza noi ci accorgeremmo che è bello essere Chiesa, popolo convocato nel nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo, popolo che vive il mistero pasquale nella persona della reale presenza di Cristo attraverso il respirare la creatività dello Spirito Santo che ci invia nel mondo, come nell’esperienza della Pentecoste, per dire all'umanità che in Cristo Gesù ogni uomo è se stesso. Ecco il senso di questa celebrazione che dovrebbe veramente qualificare la nostra vita.

In questa celebrazione viviamo intensamente la convivialità di una presenza, la convivialità di una parola, la convivialità di un banchetto per poter veramente con i fratelli condividere la convivialità della bellezza gioiosa della fede dove il Signore giorno per giorno ci trasfigura mentre siamo in attesa di contemplare il suo volto nella Gerusalemme eterna dove internamente il Padre cantando nello Spirito Santo la gioia del dono della vita.

Questo sia il senso di questa nostra celebrazione, dove possiamo la bellezza di sentirci popolo in cammino in attesa della gloria camminando con il Risorto nella luce dello Spirito Santo. Tale sia il mistero che vogliamo vivere e condividere mentre siamo in attesa, quando passeremo da questa assemblea sacramentale all'assemblea gloriosa del cielo, quando con i 144000 dell'Apocalisse seguiremo l'Agnello ovunque vada cantando il canto nuovo che già oggi sperimentiamo e che domani, nella gioia luminosa del paradiso, sarà la pienezza della nostra vita.


02 ottobre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Siamo servi inutili. Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Ab 1,2-3;2.2-4     2Tm 1,6-8.13-14      Lc 17,5-10

Omelia

La bellezza della nostra vita cristiana si costruisce tutta sulla fecondità della fede. E davanti a questo grande mistero che anima il nostro vissuto di tutti i giorni, anche in noi nasce la stessa richiesta che gli apostoli fanno a Gesù: “Accresci la nostra fede”.

L’uomo, in quanto uomo, vive di fede ma soprattutto chi fa la scelta di Gesù costruisce la sua esistenza nella fede, dove credere è affidarci, fidarci del Signore restituendo a Lui la nostra esistenza. La bellezza di credere è dire sempre, nella scelta di tutti i giorni, Mio Signore e Mio Dio, nelle tue mani mi consegno, in Te riposa l’anima mia. La fede è un modo di concepire, di costruire e di evidenziare quello che c’è nel nostro cuore.

E poiché la bellezza della nostra fede è la speranza del cammino quotidiano è molto bello che anche noi, sull’esempio di Gesù, sappiamo ritrovare il cammino, perché la fede possa essere autentica, ed è la parabola che abbiamo ascoltato: la fede vive di gratitudine!

 Evidenziamo tre passaggi in questo nostro cammino, perché questa mattina l’invito del Signore possa aiutarci a crescere nella bellezza di questa fiducia inesauribile che noi siamo chiamati a regalare al Signore. E allora i tre passaggi che la parabola, utilizzando il linguaggio dell’epoca, ci vuol effettivamente aiutare ad intuire:

  La bellezza di essere tutta grazia

  L’esperienza della gratitudine

  Il gusto della fecondità della vita

Tre coordinate che dobbiamo questa mattina nella semplicità cercare di approfondire, perché possiamo veramente crescere nella maturità della fede.

Innanzitutto siamo grazia. Nella visione che la parabola ci offre, quella persona può vivere perché quel signore gli dà la possibilità di lavorare. In un certo qual modo, nella parabola si costruisce uno stretto rapporto tra il vivere e il lavorare. Il lavorare è un atto di gratitudine a chi ti dà la possibilità di vivere.

La bellezza della fede ha questo primo elemento fondamentale, la coscienza che siamo gratuità di Dio. La bellezza della nostra vita è che siamo grazia, siamo la condiscendenza della benevolenza di Dio.

 Ecco perché il cristiano, nel cammino della sua vita, facilmente accompagna le sue azioni dicendo “grazie”.

E’ quel senso di grande libertà interiore che nasce dalla coscienza, sempre più approfondita, che la nostra esistenza è tutto un atto della gratuità di Dio. Il fatto di respirare, il fatto di poter vivere, il fatto di poter anche lavorare, è un atto di gratuità. E l’uomo deve imparare a prendere coscienza, nel profondo della sua esistenza, che è tutto grazia.

“Per grazia sono quello che sono” diceva Paolo, e anche noi, nel cammino della nostra esistenza, dovremmo avere questa percezione di fondo: questa mattina ci siamo svegliati perché Dio è stato fedele, ci ha di nuovo regalato la vita, ci ha regalato la possibilità di costruire le nostre reazioni, la possibilità di affrontare il presente con la speranza del futuro. E’ quella profonda convinzione interiore che noi dovremmo sempre acquisire: “Sono grazia”! E quanto più l’uomo ritrova questa coscienza che è grazia, tanto più diventa gratitudine. La bellezza della nostra esistenza è essere un canto di gratitudine. Usando i salmi, quanto sei grande Signore su tutta la terra, la gratitudine è la gioia di essere grazia, di essere azione gratuita che ci costruisce giorno per giorno, che ci rende capaci di essere creature nuove. Potremmo inventare un piccolo slogan per abituarci a vivere di gratitudine: quando noi respiriamo facciamo due movimenti, respiriamo l’aria ed emettiamo il respiro, respiriamo la gratuità di Dio e rispondiamo con la gratitudine. E’ la semplicità di saper dire continuamente nella nostra vita grazie.

E questo dire grazie diventa la nostra mentalità: è la gratitudine!

Sicuramente l’uomo di oggi non riesce a coniugare nella sua vita tutti e due questi aspetti che sono essenziali: sono grazia, sto vivendo, sono un atto dell’amore del Signore, grazie Signore! E’ la bellezza della nostra esistenza.  Se noi riuscissimo ad intuire questa bellezza, come sarebbe diversa la vita. Quando abbiamo sentito la prima lettura che ha detto che “il giusto vivrà di fede”, utilizzando la parabola, il giusto sarà colui che canta la gratitudine. E quando noi entriamo in questa esperienza di gratitudine, siamo fecondi, abbiamo un concetto diverso della vita. Proviamo a pensare a quello che abbiamo detto un momento fa, se noi nel respirare siamo grazia di Dio, la vita è cantare la gratitudine e quando cantiamo la gratitudine, siamo nella fecondità di Dio. 

E’ costruire la nostra esistenza coscienti che il Signore ci sta accompagnando. L’uomo di oggi ha paura di costruire la vita e le paure aumentano sempre di più, perché non sappiamo elaborare questo stile di vita: sono grazia, canto la gratitudine, sono la fecondità di Dio.

Questa percezione più profonda del nostro cuore che dicendo grazie percepisce Dio è con me. E allora, quando abbiamo tanti interrogativi nella vita, cerchiamo di vedere in filigrana questa azione divina nei nostri confronti che continuamente agisce. Magari non ce ne accorgiamo di come respiriamo, ma la bellezza della vita è sentirci ogni giorno creati, salvati, santificati, la nostra vita capolavoro della gratuità di Dio. E quando l’uomo si sente fino in fondo del proprio essere un grande capolavoro, non per i suoi meriti ma per qualcuno di più grande che entra nella nostra storia, ecco la gratitudine: grazie! E nella gratitudine la vita assume una valenza radicalmente diversa, la vita diventa camminare con il Dio che non ci abbandona: “Il giusto vivrà di fede”.

Ecco perché la parabole dice “quando avete fatto tutto dite siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare”, dove quel servi inutili è da tradurre, quando abbiamo fatto tutto, non abbiamo fatto nient’altro che cantare il grazie alla vita.  Costruire la nostra esistenza in una gratitudine feconda. Ecco perché il cristiano, quando vuole rientrare in se stesso e porsi la domanda sono veramente un credente, Gesù ci dice prendi coscienza, sei un capolavoro del mio amore, continuamente rendi grazie e restituisci a me la tua vita con gratitudine e sarai fecondo e avrai la gioia dell’istante. Ecco perché questa mattina ci ritroviamo nell’Eucaristia che è la sintesi di queste tre cose: siamo affascinati da Gesù, siamo nel mistero del suo amore e davanti alla grandezza dell’amore inesauribile di Dio che ci accompagna nel cammino della vita, ecco che istintivamente diciamo grazie Signore, sono tuo capolavoro. E allora avvertiremo che quando diremo rendiamo grazie a Dio e cosa buona e giusta, avremo la fecondità di Dio. Il pane diventerà il Corpo del Signore, il vino diventerà il sangue del Signore e in quella comunione gusteremo la fecondità di Dio che vuol fare di noi i suoi capolavori. Ogni volta che veniamo all’Eucaristia diciamo al Signore aumenta la mia fede e Lui ci dirà Sii cosciente che sei un capolavoro di amore, restituisci il tutto con il canto di gratitudine e riceverai il mio Corpo e il mio Sangue: la fecondità di Dio!

Viviamo questo mistero con tanta semplicità di cuore, è bello dire al Signore aumenta la mia fede e il Signore ci dice Vieni alla mia Eucaristia e ti renderò un capolavoro del mio amore che non conoscevi.