OMELIA
Gesù opera intensamente nella vita di ogni discepolo e gli fa pregustare passo passo la grandezza del suo amore, nella prospettiva della pienezza della gloria.
Avviene in lui
un processo di incessante attrazione, che lo colloca sempre più nella luce
divina, quella luce che deve animare e qualificare la sua storia. Specialmente
nell’esperienza della preghiera questa dinamicità si rivela estremamente
produttiva. Lo stare quotidianamente alla presenza divina rappresenta una
costante interpellanza per un cuore assetato di verità e di autenticità.
L’uomo
veramente sapiente sa collocare i propri parametri esistenziali nel mistero
della propria relazione con il Dio che crea, redime e santifica. Avvertiamo
ogni giorno l'urgenza di accogliere il dialogo che il Risorto vuole instaurare
con ciascuno di noi per coinvolgerci nella sua libertà di amore. Infatti,
quando il discepolo si pone nella condizione della vita evangelica di preghiera
come accoglienza costante e amorosa della divina presenza nella propria
concreta esistenza, avverte in se stesso l’agire divino che lo stimola a
lasciarsi permeare dalla gratuità che lo avvolge, lo fa esistere, lo attira a sé
e lo aiuta a ritrovare se stesso. E’il senso della parabola che oggi Gesù ci
offre.
Il tempio rappresenta
per eccellenza il luogo in cui abita la gloria di Dio.
L’uomo,
“entrando nella nube del mistero”, avverte la verità della propria condizione
interiore e ritrova se stesso non solo come creatura strutturalmente limitata,
ma soprattutto come creatura che è profondamente impregnata dalla condizione di
peccato. Il Dio della rivelazione gode nel ricreare ogni giorno ogni creatura
che desidera farsi amare dalla libertà del cuore divino.
Sicuramente
una simile convinzione serena e coraggiosa della propria creaturalità porta l'uomo ad accogliere se stesso con tutti
i propri limiti esistenziali e a porsi in relazione viva con colui che gli può
offrire consistenza per le scelte quotidiane nello scorrere della sua vicenda
storica.
Solo in chi
ama essere piccolo Dio rivela la grandezza del suo amore. La gioia della
propria piccolezza, anche peccatrice, rappresenta l’esperienza quotidiana per
assaporare la grandezza inesauribile di Dio. L’aspetto tuttavia al quale Gesù
vuole condurci e sul quale vuole richiamare la nostra attenzione è quello di
sentirci peccatori. Non solo siamo chiamati a prendere coscienza della nostra
piccolezza, ma anche ad avvertire la condizione di non vitale comunione con la Fonte stessa della vita. Dio
non ci conduce in questa situazione per deprimerci ma per farci assaporare la
sua fiducia amorosa veramente inesauribile.
Tale
esperienza è fattibile solo nella diretta relazione con il divino.
La luce che
anima la parabola odierna del pubblicano e del fariseo scaturisce dal tempio e
ha come contesto il tempio. Solo alla presenza di Dio l’uomo, che brama
un’intensa purezza del cuore, ama sentirsi pura gratuità divina e si lascia
condurre a riconoscere il proprio peccato.
Nel tempio si
fa l’esperienza di un peccato che nella fede diventa luogo del darsi
misericordioso di Dio che rende nuovo il cuore umano. Quando la creatura si
sente amata sa cantare anche la propria condizione di errore per proclamare la
grandezza affascinante dell'amore che fa nuove tutte le cose.
Il dramma del
fariseo è quello di non sentirsi pura grazia, con la grande tentazione del “protagonista”.
Egli, infatti, nel suo atteggiamento, rivela l’incapacità di non saper amare la
propria condizione di radicale gratuità da parte di Dio: gli manca il gusto
ricreante della riconoscenza. Il pubblicano, invece, si colloca in un altro
orizzonte e pone se stesso pienamente nelle mani di Dio. Il suo atteggiamento
esteriore e le parole che fioriscono dal suo cuore sottolineano la coscienza
attiva della grandezza di Dio nella sua storia. Infatti, la coscienza di
sentirsi peccatore fiorisce dal diuturno incontro con Dio e costituisce il
luogo per una rigenerazione interiore veramente inesauribile.
Infatti se Dio
smettesse di illuminare il cuore della creatura e di offrirle la sua fiducia
nello Spirito Santo, questa non avvertirebbe mai la fecondità della presenza
divina nella propria esistenza e non ne godrebbe l‘infinita misericordia. La
grandezza della persona umana è quella di mettersi ogni giorno davanti a Dio e
di lasciarlo operare nel proprio cuore. Infatti il linguaggio del pubblicano
ritraduce la ferma convinzione d’essere sotto l’influsso dell’amore divino. Il
suo atteggiamento è una meravigliosa professione di fede.
Ogni
riconoscimento del proprio peccato incarna la fecondità dell’azione divina nel
cuore della creatura.
Se guardiamo
attentamente l’azione divina nel cuore dell’uomo ci accorgiamo come, lo Spirito
Santo, illumini le profondità della persona e le faccia comprendere come abbia
operato scelte che non incarnavano la vocazione alla comunione con Dio. E’ in
Dio allora che l’uomo dice d’essere peccato. Questo atteggiamento, che potrebbe
sembrare in modo immediato un’esperienza negativa, tuttavia risulta un momento
fecondo per proiettarsi in un itinerario di conversione, nel quale l’uomo si
rende sempre più docile all’azione dello Spirito Santo.
Egli si sente,
nella propria persona, la fiducia di Dio in atto.
Quando si vive
tale esperienza, non viene mai meno il coraggio d’affrontare ogni avventura
esistenziale per maturare nella luminosità dell’esistenza, non avendo paura
neppure dell’impossibile.
Intuiamo di
conseguenza come l’uomo viva sempre da perdonato con il coraggio della fede,
non temendo mai di riconoscersi peccatore, poiché tale esperienza scaturisce
dalla forte e continua relazione con Dio, nel quale ama abitare
quotidianamente, per essere stimolato a costruire ogni istante della propria
esistenza in una continua novità di vita.
Questa
condizione diventa allora la convinzione abituale che anima il cristiano per comprendere
la propria esistenza nell’orizzonte divina e per crescere nella conversione.
Il risultato
di un simile percorso sarà l’espressione del recupero in termini personali e
consapevoli della comunione che Dio continuamente sviluppa nel cuore del discepolo.
Questi vivrà
la sua storia, approfondendo e regalando quotidianamente quella speranza
esistenziale che rappresenta la forza per ricominciare sempre da capo.
Nell'amore del Cristo ogni istante della vita è sempre un meraviglioso e
fecondo inizio. In questo intuiamo l’affermazione di Gesù che il pubblicano se
ne ritorna a casa giustificato meglio del fariseo.
Chi dimora in
Dio, vive una profonda luminosità spirituale che gli fa percepire
contemporaneamente la sete di luce che zampilla nel suo cuore e un intenso
desiderio di abbandono progressivo del regno delle tenebre.
Questo
atteggiamento interiore costituisce un itinerario che non avrà mai alcun
termine, fino a quando la creatura sarà definitivamente trasfigurata nel
mistero di Dio. Gesù continua a seminare vivacità interiore nel cuore di ogni
discepolo che non abbia mai timore di spalancare la propria persona alla sua
invadenza.
Il quadro
parabolico che Gesù oggi ci presenta lo stiamo vivendo in questa celebrazione
eucaristica, nella luminosa esperienza della comunione con le tre Persone divine e con tutti i
fratelli.
Anche noi
siamo saliti al tempio e ci troviamo nella gloria divina, contemplando nello
Spirito la presenza luminosa del Cristo. Se in questa viva e vivace relazione
con il Maestro sappiamo sentirci peccatori nella speranza che viene dall’alto,
nel momento in cui ci accosteremo ad accogliere i divini misteri, Gesù ci
offrirà il suo Corpo dato e il suo Sangue versato per renderci uomini giusti,
uomini che crescono, per grazia, nella meravigliosa comunione divina, in uno
sviluppo continuo del dono della misericordia che non conosce confini.
Non dobbiamo
mai temere nel sentirci peccatori, ma dobbiamo lasciarci invadere dalla potenza
divina per maturare giorno per giorno nel desiderio d’essere progressivamente
trasfigurati nel Maestro.
Ciò avverrà
pienamente nella meravigliosa liturgia del cielo.
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