OMELIA
Man mano ci
avviciniamo al grande evento della rivelazione dell'amore incomprensibile di
Dio per l'uomo, cresce nell'uomo stesso un desiderio di gustare la vera gioia.
L'attesa è sempre
degustazione gaudiosa di qualcosa di grande che va al di là della nostra
comprensione, ma è il senso portante della nostra esistenza, poiché l'autentica
esperienza della gioia scaturisce da un'intensa sintonia spirituale in cui
l'uomo vede lentamente realizzarsi il senso della vita.
Nell'incarnazione del
Verbo l'uomo ritrova la luce che dà valore al suo cammino nel tempo e nello
spazio e di fronte a questo grande evento che progressivamente ci fa entrare
nel gusto della vera gioia la Chiesa tradizionalmente pone sempre la
celebrazione della figura di Maria come la donna che incarna i sentimenti di
ciascuno di noi e allora è bello per un momento riflettere sulla conclusione
del dialogo tra l'Angelo e Maria perché nelle parole di Maria noi ritroviamo e
riscopriamo la bellezza della gioia dell'attesa.
“Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola”.
In questa espressione
di Maria troviamo tre elementi che incarnano quale debba essere effettivamente
il significato della nostra gioia per incontrare la luce ineffabile di Dio.
Innanzitutto
l'espressione “ecco” dove in questo - ecco - noi riscopriamo come l'uomo, sull'esempio
di Maria, si consegni totalmente all'amore gratuito di Dio. In quel “ecco” c'è
una fecondità esistenziale davanti al fascino all'amore di Dio. L'uomo ritrova
veramente se stesso nel cammino della propria esistenza quando in ogni scelta
vive di questa parola biblica chiave in tutta la storia della salvezza: eccomi.
Se non leggessimo attentamente la rivelazione scritturistica tutti i grandi
personaggi che noi incontriamo sono sempre qualificati dalla parola “eccomi”.
Quando Dio parla,
chiama, entra in dialogo amoroso con l'uomo, l'uomo usa solo una parola:
eccomi! Perché in quel momento c'è il senso della gratitudine di consegnarsi
alla storia di Dio. Noi scopriamo come il nostro accostarci al grande evento
della storia di Dio è dire: eccomi! Nelle parole dell'angelo noi abbiamo il
compimento della profezia di Natan a Davide che abbiamo ascoltato nella prima
lettura, abbiamo la gioia di incarnare quell'inno con il quale Paolo conclude
la lettera ai Romani perché l'eccomi è il gusto dell'uomo che si sente in una
storia più grande di lui, ma che diventa il senso della sua esistenza, è un
altro eccomi ricco di gaudio. La bellezza della fecondità della gioia è
costruire l'esistenza quotidiana in quel “eccomi”! Tutta la storia dell'uomo è
dire sì a Dio.
Qui noi cogliamo il
primo atteggiamento che Maria ci rivela e ci insegna che ognuno di noi è
chiamato a costruire la giornata dicendo: eccomi! È la gioia del Dio che entra
in noi, e noi di riflesso ci consegniamo a lui.
Ma questo “eccomi”
vive della seconda parola: la serva del Signore dove quest'espressione “serva
del Signore” ha un valore molto profondo, è la gioia di essere proprietà di
Dio. Quando noi incontriamo l'espressione “servo” nel linguaggio della sacra
Scrittura non è da intendersi come un domestico, ma come colui che sa che la
sua esistenza è di un altro, dire “eccomi” è ritrovarsi totalmente dono quindi
-ecco sono la serva del Signore- ritraduce la convinzione all'interno dell'uomo
d'essere di Dio.
L'uomo nel cammino
della sua esistenza l’uomo ha molte difficoltà a dire al Signore in ogni
frammento della sua storia: eccomi! E questo perché non sappiamo coniugare la
convinzione che siamo sua proprietà.
Quando noi entriamo
nella storia di Dio e cerchiamo di coglierne in profondità il mistero, ci
accorgiamo che siamo di Dio... è l'espressione cara all'antico Testamento “io
sono il tuo Signore e tu sei il mio popolo” e quindi la convinzione che questa
alleanza che Dio fa con noi è un'alleanza tutta costruita sull’atto della
gratuità di Dio. Comprendiamo allora che dire “eccomi sono la serva del
Signore” è l'espressione della nostra radicale riconoscenza. La gioia che sta
raggiungendoci nel grande evento del Dio in mezzo a noi è nient'altro che la
fedeltà di Dio che non conosce limiti. È la gioia di essere sotto l'influenza
creatrice di Dio.
Spesse volte, quando
entriamo nel senso della nostra esistenza così come la fede ci suggerisce, dimentichiamo
questa meravigliosa verità: siamo la fecondità creatrice di Dio. Al di là delle
drammaticità della storia che continuamente, in modi diversificati ci
attanagliano, noi però sappiamo che siamo proprietà di Dio e questa coscienza
ci dice di gustare tale evento in quel “ecco, sono la serva del Signore! “La
gioia di essere suoi capolavori!
Quando l'uomo entra
in questa meravigliosa verità, la terza espressione che l'evangelista ha collocato
sulle labbra di Maria costituisce la conclusione autentica di chi sa di essere
proprietà di Dio. In quel “avvenga per me secondo la tua parola” si ritraduce
il desiderio d'incarnare nel quotidiano l'oggi misterioso di Dio e quando
l'uomo, nel canto della gratitudine, si sente proprietà di Dio la sua gioia è
esprimere nella ferialità questo grande cammino di appartenenza. Obbedire a Dio
è cantare la gratitudine al Creatore ineffabile della storia. Questa è la vera
gioia, una gioia che nasce da una sintonia interiore, non dagli avvenimenti
storici, ma dalla sintonia interiore in questa signoria divina che è il senso
portante del nostro istante.
Se noi guardassimo
effettivamente la matrice delle nostre tristezze esistenziali, ci accorgeremmo
che abbiamo disimparato le parole con le quali Maria conclude il dialogo con
l'angelo “ecco, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”
perché la gioia del Dio che viene è la gioia di Dio che nella nostra libertà
vuole compiere meraviglie.
Il cristiano è sempre
aperto allo stupore, all'esultanza d'essere di Dio, e quando l'uomo entra in
questo stupore, l'obbedire non è altro che il canto della gratitudine. Come un
figlio quando entra nella verità della sua esistenza e incomincia gustare la
bellezza di vivere non può non dire: ecco caro papà e mamma, sono il vostro
capolavoro nello Spirito Santo, la mia obbedienza a voi è un canto della
gratitudine alla fonte della vita.
Se noi entrassimo in
quest'esperienza, ci accorgeremmo che la venuta del Signore sarà un
meraviglioso canto di gratitudine e la gioia di essere sua proprietà.
In questa eucaristia
cerchiamo di entrare nella gioia di Dio attraverso le parole di Maria perché la
bellezza dell'eucaristia è la bellezza di chi si sente proprietà di Dio in
forza del battesimo, canta la gratitudine perché Dio fedele rivela il suo
amore, e noi nell'obbedienza entriamo in una sintonia esistenziale, Dio diventa
meraviglioso nelle nostre povertà. Noi qualche volta guardiamo troppo al vaso
di creta che siamo noi e dimentichiamo le meraviglie di Dio nel vaso di creta.
Questa gioia, di cui l'evento dell'Incarnazione del Verbo riempie la nostra
vita, veramente si costruirà da questa esperienza di fondo. L'eucaristia è
l'Incarnazione feriale dell'amore inesauribile di Dio. Entriamo in questo
spirito convinti che il Signore ci ama in modo incomprensibile e favoloso per
poterne gustare la gioia in quella quotidiana esperienza che quando siamo nelle
sue mani siamo nella certezza che stiamo camminando nella novità nel nostro stile
obbedienziale alla gratitudine di poter vivere nelle mani di Colui che non
delude mai.
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