31 dicembre 2017

SANTA FAMIGLIA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE - Anno B -


Gen 15,1-6; 21,1-3    Eb 11,8.11-12.17-19                     Lc 2,22-40               

OMELIA

La Chiesa, attraverso la festa di oggi, vuol aiutarci ad approfondire la gioiosa bellezza del compimento di ogni umano desiderio. Nell'evento dell'incarnazione del Verbo l'uomo si è riscoperto sacramento dell'invisibile, icona vivente del Cristo risorto, la gioia luminosa di Dio che opera nel cuore dell'uomo. La gioia del Natale è la gioia dell'uomo che ritrova la luminosità d'essere se stesso; è quello che noi abbiamo ascoltato questa mattina dove la parola, specie quella di Luca, risulta estremamente significativa per comprendere la bellezza trasfigurante dell'incarnazione, un uomo che in Cristo Gesù è nella luminosità del Padre. È quel primato dell'invisibile che anima la nostra storia e che dà senso alla nostra esistenza.

Davanti a questo grande mistero, che ci introduce nella luminosità dell'intera creazione, l'uomo si pone sempre l'interpellanza, perché l'uomo sia profondamente consapevole dei limiti che in un modo o in un altro attanagliano la sua esistenza. Da una parte avvertiamo la grandezza inesauribile del Dio che si rivela, dall'altra la drammatica povertà della creatura umana.

Chi di noi è abituato a leggere le divine scritture, sa che in esse ritroviamo sempre le risposte agli interrogativi della vita.

Il brano evangelico ci dà una risposta luminosa: come noi possiamo nella nostra identità ritrovare questa meravigliosa presenza del Cristo, poiché in lui noi possiamo avere il gusto vero della vita?

A tale riguardo l'evangelista ci ha presentato l'immagine umile, ma favolosa di Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. In questa icona la scrittura ci indica la strada per potere anche noi vedere la bellezza di Dio nella storia nella nostra storia personale, nella storia ecclesiale.

Si rivela interessante entrare nelle pennellate che l'evangelista Luca utilizza per dipingere questo misterioso volto di Anna figlia di Fanuele.

Innanzitutto il primo elemento che emerge chiaramente è l'età, vista non come successione anagrafica di numeri, ma avvertendo l'età come numero simbolico: in quegli 84 anni c'è la pienezza della vera solitudine, troviamo la pienezza del vero silenzio interiore. È sicuramente molto stimolante scoprire come questa persona nel cammino della sua esistenza, attraverso il travaglio della storia, sia giunta alla solitudine di Dio.

Il silenzio, dicevamo il giorno di Natale, è il contesto per cogliere la grandezza dell'Ineffabile perché il silenzio è la voce di Dio. Entrando in quella solitudine ella ha potuto gustare il silenzio di Dio ed è divenuta profeta e ci dice che Dio parla agli uomini con la voce del silenzio. Ecco perché l'uomo contemporaneo non ha né il gusto di essere uomo, né il gusto di accogliere Dio, né il gusto di avere la speranza di Dio perché il silenzio è sempre abitato da Dio e dai fratelli.

L'altro particolare col quale l'evangelista Luca delinea il volto di Anna che in quel momento sopraggiunse e dà lode al Signore: "Non si allontanava mai dal tempio servendo Dio notte giorno con digiuni e preghiere". Ovviamente il linguaggio biblico è un linguaggio concreto, ma non dobbiamo pensare a questi termini come letture materiali, ma come mistero che questa donna stava vivendo. Lentamente, lo Spirito Santo l'aveva condotta a contemplare il momento dell'incarnazione. Una solitudine costruita alla presenza di Dio, come è stato l'abitare nel tempio, avendo come unico criterio l'oggi di Dio. Quei digiuni e preghiere, quei giorni e quelle notti, ritraducevano la consapevolezza che la presenza di Dio è il valore portante della vita e chi si lascia costruire dalla voce di Dio che è il silenzio, entra nella capacità di cogliere l'Invisibile nel visibile. Come Simeone mosso dallo Spirito loda e benedice, così Anna, guidata dallo Spirito che l'ha condotta nella solitudine esistenziale può veramente gustare quella affinità interiore con il mistero di Dio che gli permette di sopraggiungere in quel momento benedicendo il Signore.

Il dramma dell'uomo è di non lasciarsi guidare dalla potenza di Dio per cui il cristiano non riesce più a gustare la bellezza della sua umanità. La gioia del Natale è di essere sacramento dell'Invisibile. È qualcosa che dovrebbe penetrare in noi; i cristiani hanno il grosso limite di porsi la domanda davanti al dono della comunicazione che Dio fa di se stesso: che cosa devo fare? come se il rapporto con il divino derivasse dagli sforzi umani. Dovremmo invece rivolgere a noi stessi un nuovo tipo di interrogativo: cosa devo gustare? La bellezza e la grandezza del cristiano è quella di gustare l'ineffabilità di Dio. Ecco perché il cristiano non fa mai i bilanci... Quelli li lascia agli economi.

Il cristiano vive "oggi", oggi noi siamo chiamati a vedere la salvezza di Dio. Non dobbiamo più dire è nato un bambino con il rischio di rimanere semplicemente legati a un passato che non ci interpellerebbe nell'oggi concreto. Dovremmo invece oggi dire: ho visto la gloria di Dio! Se il nostro incontro con il Signore non fosse vedere la gloria cosa sarebbe? Sarebbe un bambino che poi viene riposto in uno scatolone dopo la festa dell'Epifania. Ecco perché il cristiano oggi è chiamato a ritrovare la bellezza di questo oggi in cui attraverso il gusto del silenzio, entrando nella vera solitudine che è comunione piena e universale. La vera solitudine evangelica non è emarginazione sociale o psicologica, ma è comunione, è purezza di relazione, è fraternità. Dovrebbe esserci chiaro che se il cristiano riuscisse a entrare in questa bellezza, allora il Natale incarnerebbe la vera gioia del vivere, il resto non gli interesserebbe più.

La bellezza è la gioia di Dio che viene ad abitare in noi e che si compiace nella nostra umanità d'essere meraviglioso.  Credo che sia bello nel nostro accostarci all'Eucaristia questa mattina il vedere la gloria di Dio. Dovremmo in certo qual modo fare come quando noi celebriamo la liturgia di San Giovanni Crisostomo, nel rito bizantino. Quando il presbitero conclude la celebrazione eucaristica sempre dice: "Ora puoi lasciare Signore che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza!" Ogni volta che andiamo all'Eucaristia dovremmo fare questa esperienza "ho visto il Signore che ha illuminato la mia umanità, mi ha dato la gioia di appartenergli per essere vero e autentico". E allora, come Anna uscì gioiosa dal tempio annunciando il dono della salvezza messianica a quelli che l'aspettavano, così dovremmo fare anche noi.

L'uomo di oggi sta aspettando qualcuno che gli parli di Gesù!

Quindi in questa Eucaristia cerchiamo di vedere questa presenza del Signore che opera nel nostro "oggi" in modo che possiamo dire: Gesù è veramente entrato nella storia, ne ho gustato la presenza, nell'Eucaristia ha rifatto la mia vita e ricco di speranza cammino nel tempo.

Oggi vediamo la salvezza: questa sia la grande speranza che vogliamo condividere in questo Natale.




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