10 dicembre 2017

II DOMENICA DI AVVENTO - Anno B -


Is 40,1-5. 9-11                    2 Pt 3,8-14               Mc 1,1-8

OMELIA

L'incontro con Cristo, che ci trasfigurerà nella gloria del cielo, deve essere preparato attraverso una quotidiana educazione al desiderio. Nel cuore dell'uomo c'è questa sete di pienezza di vita, ma un simile itinerario ha bisogno di una continua attenta purificazione per poter entrare in questo mistero. Siamo chiamati ogni giorno ad affinare il nostro spirito per essere veramente in sintonia con l'evento della salvezza.

La Chiesa oggi ci presenta la figura di Giovanni il battezzatore, poiché solo colui che diviene suo discepolo potrà incontrare la novità del mondo, il dono della salvezza, quei cieli nuovi e quella terra nuova di cui ci ha parlato la seconda lettera di Pietro. Chi non è alunno di Giovanni non incontrerà mai il Cristo, chi non ne diventa discepolo non ne potrà mai godere la gloria di Dio.

Di fronte a una simile prospettiva ci chiediamo come Giovanni questa mattina ci possa aiutare per intuire il mistero verso il quale stiamo andando, creando in noi le condizioni perché tale verità si possa realizzare e come noi, con occhio limpido, possiamo contemplare la gloria che è il desiderio dei nostri desideri.

L'evangelista Marco ci introduce in tre passaggi del mistero della persona del Battezzatore, e questo fatto ci aiuta a entrare in questa meravigliosa esperienza.

Innanzitutto egli battezza con acqua. Questo rito ritraduce una condizione esistenziale: essere battezzati con acqua vuol dire crescere continuamente nella sete, nella sete della pienezza di vita. La fecondità di un desiderio è la sete della novità che opera continuamente nel nostro cuore. L'uomo che non desidera, non incontrerà mai nessuno, poiché corre il rischio di atrofizzarsi. Giovanni il battezzatore attraverso quest'acqua fa crescere in noi questa sete della pienezza della vita. La volontà d'essere battezzati per la remissione dei peccati vuol dire che ogni giorno siamo desiderosi di purezza di cuore perché la luce di Dio possa veramente inebriare i nostri cuori.

Il cammino della vita di un cristiano è allora un coniugare continuamente l'acqua della sete e il desiderio del gusto di una pienezza. Questo primo aspetto è fondamentale nello sviluppo della nostra identità: chi non desidera non incontrerà mai nessuno, e chi desidera si lascia purificare per gustare l'esultanza dell'incontro.

Ma c'è un secondo aspetto che l'evangelista Marco evidenzia nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, dove si colloca l'annuncio di Giovanni e il suo ministero nell'obbedienza alla Parola di Dio.

È molto bello come Marco citi due testi, l'uno di Malachia e l'altro di Isaia, per inquadrare il ministero di Giovanni perché il ministero di Giovanni è l'incarnazione della parola di Dio che vuol consolare il suo popolo.

Dio parla perché vuole creare nell'uomo quella sete della verità attraverso la Parola. Siamo chiamati nella fede a desiderare sempre più la Parola fatta persona.

Ecco perché il cristiano attende il Signore godendo della Parola!

Troppi desideri l'uomo ha, ma il vero desiderio nasce da Dio che parla. Tutto il resto è destinato a frantumarsi.

Noi dovremmo andare incontro al Signore ruminando continuamente la divina rivelazione perché se ruminiamo con cuore puro e con continuità la divina rivelazione, quando la rivelazione ci apparirà saremo veramente in condizione di poterla accogliere. Noi non potremo essere battezzati nello Spirito Santo se prima, attraverso la Parola, non nascesse in noi un'intensa vitalità, che si ritraduce con l'invocazione “parla o Signore!”. Non per niente il testo di Marco incomincia con “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” e subito dopo incontriamo l'annuncio profetico. Un simile procedimento ci insegna che non possiamo entrare nella bellezza del Vangelo, che è una persona, se non ci alleniamo continuamente all'ascolto della Parola di Dio.

Dio parla nel primo testamento, parla nel secondo testamento perché possiamo di conseguenza incontrare la Parola.

La venuta del Signore la può gustare solo chi è innamorato della Parola. Se mancasse questo criterio, avremmo tanti desideri che, usando l'immagine apocalittica della seconda lettera di Pietro, si dissolveranno in nulla. La bellezza della Parola è l'eternità di Dio che si fa desiderare per giungere a contemplarne il mistero.

Il terzo atteggiamento che l'evangelista ci offre nella figura di Giovanni il battezzatore è la sua asceticità dove questa asceticità è la traduzione letteraria della figura di Elia il quale, ha camminato 40 giorni e 40 notti nutrendosi solo di quello che Dio gli regalava, per avere quella purezza di cuore e di sguardo. La conseguenza di tale cammino si è ritradotto in una meravigliosa esperienza: ha goduto il respiro di Dio sul monte Oreb. L’asceticità è un cammino che ha come criterio stimolante il desiderio di costruire in continuazione la finezza interiore. In questo noi intuiamo come il trinomio che l'evangelista ci offre di Giovanni è essenziale per incontrare il Signore. Il dramma che noi dovremmo avere a livello interiore è quello di non entrare in questo spirito del natale. Infatti il Natale "consumistico" o " folklorico" una volta celebrato scompare.

La bellezza dell'Avvento è questo orientamento a gustare il respiro di Dio in una sete inesauribile del suo volto, alunni solo della sua Parola. Veramente gusteremmo l'andare incontro al Signore per goderne la luminosa presenza. Se noi entrassimo in questo itinerario di vita, ci semplificheremmo, metteremmo tutte le cose al loro giusto posto e non faremmo delle cose contingenti degli assoluti. Se non sappiamo cogliere il Signore come il vero desiderato del cuore umano, tutto il resto potrebbe diventare una distrazione che ci impedirebbe di vedere la Luce che non conosce tramonto.

L'anima, se vuole andare incontro al Signore, deve sempre semplificarsi. Quando con lo stile di vita di Giovanni ci lasciamo semplificare, allora vedremo la gloria di Dio, saremo consolati e gusteremo la bellezza di Dio. In un simile percorso di vita avvertiremmo quello che Isaia nel suo Libro della consolazione ci dice molto chiaro: l'Infinito ama quel vermiciattolo che è Israele, che è ognuno di noi. La bellezza di andare incontro al Signore ci permette di gustare una sponsalità finale, dove saremo avvolti da quella luminosità divina che è il senso portante del nostro nascere, del nostro vivere e del nostro combattere.

Andiamo alla scuola di Giovanni il battezzatore, entrando in questo esodo dove gustiamo la sete, intuiamo la profondità della Parola e ci lasciamo purificare in modo da giungere a quella terra promessa, a quei cieli nuovi e quella terra nuova, dove l'uomo godrà l'esultanza della sua esistenza.

La bellezza dell'eucaristia è per chi è assetato, per chi vuole andare ad accogliere la Parola per entrare nel respiro di Dio, il corpo e il sangue del Signore. Se noi entreremo in questo itinerario interiore, allora gusteremo una presenza nel cui confronto le luci della storia sono ben poca cosa.

La bella immagine della luminosità divina, che abbiamo ascoltato dai profeti, ci permette di contemplare una luce superiore a quella della luna, superiore alla massima grandezza del sole perché entreremmo in una luminosità che non conosce tramonto.

Questa sia la luce che vogliamo insieme vivere e condividere per non essere distratti né dalle vacanze, né dai regali, né dalle musicalità folkloriche, né da tutto ciò che è contingente. Un cristiano che vedesse solo l'esteriorità dell'Avvento, non gusterebbe l'essenzialità di Dio. Dobbiamo sempre ricordarci che quando si vedesse veramente il Signore, lo si gusterebbe. Entriamo nel deserto di Giovanni e vedremo la bellezza di Dio che è l'eucaristia che stiamo celebrando. Qui vivremo il desiderio del volto del Signore che ci affascina sempre di più e ci dice “Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore egli ha fatto cielo e terra".

Con Giovanni accediamo alla freschezza dell'incontro con il Signore che viene.




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