Is 40,1-5. 9-11 2 Pt 3,8-14 Mc
1,1-8
OMELIA
L'incontro
con Cristo, che ci trasfigurerà nella gloria del cielo, deve essere preparato
attraverso una quotidiana educazione al desiderio. Nel cuore dell'uomo c'è
questa sete di pienezza di vita, ma un simile itinerario ha bisogno di una
continua attenta purificazione per poter entrare in questo mistero. Siamo
chiamati ogni giorno ad affinare il nostro spirito per essere veramente in
sintonia con l'evento della salvezza.
La
Chiesa oggi ci presenta la figura di Giovanni il battezzatore, poiché solo
colui che diviene suo discepolo potrà incontrare la novità del mondo, il dono
della salvezza, quei cieli nuovi e quella terra nuova di cui ci ha parlato la
seconda lettera di Pietro. Chi non è alunno di Giovanni non incontrerà mai il
Cristo, chi non ne diventa discepolo non ne potrà mai godere la gloria di Dio.
Di
fronte a una simile prospettiva ci chiediamo come Giovanni questa mattina ci possa
aiutare per intuire il mistero verso il quale stiamo andando, creando in noi le
condizioni perché tale verità si possa realizzare e come noi, con occhio
limpido, possiamo contemplare la gloria che è il desiderio dei nostri desideri.
L'evangelista
Marco ci introduce in tre passaggi del mistero della persona del Battezzatore, e
questo fatto ci aiuta a entrare in questa meravigliosa esperienza.
Innanzitutto
egli battezza con acqua. Questo rito ritraduce una condizione esistenziale:
essere battezzati con acqua vuol dire crescere continuamente nella sete, nella
sete della pienezza di vita. La fecondità di un desiderio è la sete della
novità che opera continuamente nel nostro cuore. L'uomo che non desidera, non
incontrerà mai nessuno, poiché corre il rischio di atrofizzarsi. Giovanni il battezzatore
attraverso quest'acqua fa crescere in noi questa sete della pienezza della vita.
La volontà d'essere battezzati per la remissione dei peccati vuol dire che ogni
giorno siamo desiderosi di purezza di cuore perché la luce di Dio possa
veramente inebriare i nostri cuori.
Il
cammino della vita di un cristiano è allora un coniugare continuamente l'acqua
della sete e il desiderio del gusto di una pienezza. Questo primo aspetto è
fondamentale nello sviluppo della nostra identità: chi non desidera non
incontrerà mai nessuno, e chi desidera si lascia purificare per gustare
l'esultanza dell'incontro.
Ma
c'è un secondo aspetto che l'evangelista Marco evidenzia nel brano evangelico
che abbiamo ascoltato, dove si colloca l'annuncio di Giovanni e il suo
ministero nell'obbedienza alla Parola di Dio.
È
molto bello come Marco citi due testi, l'uno di Malachia e l'altro di Isaia,
per inquadrare il ministero di Giovanni perché il ministero di Giovanni è
l'incarnazione della parola di Dio che vuol consolare il suo popolo.
Dio
parla perché vuole creare nell'uomo quella sete della verità attraverso la Parola.
Siamo chiamati nella fede a desiderare sempre più la Parola fatta persona.
Ecco
perché il cristiano attende il Signore godendo della Parola!
Troppi
desideri l'uomo ha, ma il vero desiderio nasce da Dio che parla. Tutto il resto
è destinato a frantumarsi.
Noi
dovremmo andare incontro al Signore ruminando continuamente la divina
rivelazione perché se ruminiamo con cuore puro e con continuità la divina
rivelazione, quando la rivelazione ci apparirà saremo veramente in condizione
di poterla accogliere. Noi non potremo essere battezzati nello Spirito Santo se
prima, attraverso la Parola, non nascesse in noi un'intensa vitalità, che si
ritraduce con l'invocazione “parla o Signore!”. Non per niente il testo di
Marco incomincia con “Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” e
subito dopo incontriamo l'annuncio profetico. Un simile procedimento ci insegna
che non possiamo entrare nella bellezza del Vangelo, che è una persona, se non
ci alleniamo continuamente all'ascolto della Parola di Dio.
Dio
parla nel primo testamento, parla nel secondo testamento perché possiamo di conseguenza
incontrare la Parola.
La
venuta del Signore la può gustare solo chi è innamorato della Parola. Se mancasse
questo criterio, avremmo tanti desideri che, usando l'immagine apocalittica della
seconda lettera di Pietro, si dissolveranno in nulla. La bellezza della Parola
è l'eternità di Dio che si fa desiderare per giungere a contemplarne il
mistero.
Il
terzo atteggiamento che l'evangelista ci offre nella figura di Giovanni il
battezzatore è la sua asceticità dove questa asceticità è la traduzione
letteraria della figura di Elia il quale, ha camminato 40 giorni e 40 notti
nutrendosi solo di quello che Dio gli regalava, per avere quella purezza di
cuore e di sguardo. La conseguenza di tale cammino si è ritradotto in una
meravigliosa esperienza: ha goduto il respiro di Dio sul monte Oreb. L’asceticità
è un cammino che ha come criterio stimolante il desiderio di costruire in
continuazione la finezza interiore. In questo noi intuiamo come il trinomio che
l'evangelista ci offre di Giovanni è essenziale per incontrare il Signore. Il
dramma che noi dovremmo avere a livello interiore è quello di non entrare in
questo spirito del natale. Infatti il Natale "consumistico" o "
folklorico" una volta celebrato scompare.
La
bellezza dell'Avvento è questo orientamento a gustare il respiro di Dio in una
sete inesauribile del suo volto, alunni solo della sua Parola. Veramente gusteremmo
l'andare incontro al Signore per goderne la luminosa presenza. Se noi
entrassimo in questo itinerario di vita, ci semplificheremmo, metteremmo tutte
le cose al loro giusto posto e non faremmo delle cose contingenti degli
assoluti. Se non sappiamo cogliere il Signore come il vero desiderato del cuore
umano, tutto il resto potrebbe diventare una distrazione che ci impedirebbe di
vedere la Luce che non conosce tramonto.
L'anima,
se vuole andare incontro al Signore, deve sempre semplificarsi. Quando con lo
stile di vita di Giovanni ci lasciamo semplificare, allora vedremo la gloria di
Dio, saremo consolati e gusteremo la bellezza di Dio. In un simile percorso di
vita avvertiremmo quello che Isaia nel suo Libro della consolazione ci dice molto
chiaro: l'Infinito ama quel vermiciattolo che è Israele, che è ognuno di noi.
La bellezza di andare incontro al Signore ci permette di gustare una sponsalità
finale, dove saremo avvolti da quella luminosità divina che è il senso portante
del nostro nascere, del nostro vivere e del nostro combattere.
Andiamo
alla scuola di Giovanni il battezzatore, entrando in questo esodo dove gustiamo
la sete, intuiamo la profondità della Parola e ci lasciamo purificare in modo
da giungere a quella terra promessa, a quei cieli nuovi e quella terra nuova,
dove l'uomo godrà l'esultanza della sua esistenza.
La
bellezza dell'eucaristia è per chi è assetato, per chi vuole andare ad
accogliere la Parola per entrare nel respiro di Dio, il corpo e il sangue del
Signore. Se noi entreremo in questo itinerario interiore, allora gusteremo una
presenza nel cui confronto le luci della storia sono ben poca cosa.
La
bella immagine della luminosità divina, che abbiamo ascoltato dai profeti, ci
permette di contemplare una luce superiore a quella della luna, superiore alla
massima grandezza del sole perché entreremmo in una luminosità che non conosce
tramonto.
Questa
sia la luce che vogliamo insieme vivere e condividere per non essere distratti
né dalle vacanze, né dai regali, né dalle musicalità folkloriche, né da tutto
ciò che è contingente. Un cristiano che vedesse solo l'esteriorità dell'Avvento,
non gusterebbe l'essenzialità di Dio. Dobbiamo sempre ricordarci che quando si
vedesse veramente il Signore, lo si gusterebbe. Entriamo nel deserto di
Giovanni e vedremo la bellezza di Dio che è l'eucaristia che stiamo celebrando.
Qui vivremo il desiderio del volto del Signore che ci affascina sempre di più e
ci dice “Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto
viene dal Signore egli ha fatto cielo e terra".
Con
Giovanni accediamo alla freschezza dell'incontro con il Signore che viene.
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