OMELIA
La Chiesa nella sua
universalità ha sempre coniugato tre festività, che sono tre tessere l'una
accanto all'altra: il Natale, Santo Stefano e Giovanni Evangelista perché la
bellezza dell'esperienza del Natale è entrare nel mistero di Dio. Questa è
stata la sensibilità della Chiesa, prima dell'invadenza del teatro medievale
che ha creato il mistero del darsi di Dio nel presepio. Il folklore ci presenta
il dramma di nascondere la grandezza dell'amore divino rivelatosi nell'evento
dell'Incarnazione. Il motivo per quale la Chiesa ha coniugato fin dal secolo
quinto e sesto Natale e Santo Stefano e S. Giovanni evangelista è questo, il minimo
comune multiplo è questo: il Verbo è testimone della luce che è il Padre,
Stefano è il testimone del Cristo che legge la storia secondo il Padre,
Giovanni evangelista è il testimone del cuore di Cristo, la via, la verità e la
vita. Rimaniamo ai primi due
protagonisti di questi giorni: Gesù e Stefano. In loro si evidenziano due
realtà che la Chiesa antica gustava e che noi abbiamo perso perché è molto più
facile godere del presepio che adorare le profondità della rivelazione divina.
Cerchiamo di
coniugare queste due figure: Gesù testimone del Padre, Stefano testimone di
Gesù.
Innanzitutto Gesù è
testimone del Padre perché se noi leggiamo attentamente il Vangelo di Giovanni
noi ci accorgiamo che Gesù dice tutto e solo quello che il Padre gli comunica poiché
egli è testimone della verità, è testimone della comunione che lo unisce al Padre,
testimone della luce perché l'esperienza della relazione col Padre lo aiuta a
interpretare la storia. È la grande libertà di Gesù, Gesù nel cammino della sua
vita ha avuto come criterio il Padre. La bellezza del Natale è Gesù che nel
silenzio ci regala il volto del Padre in modo che la nostra esistenza possa
essere tutta nel Padre. Infatti se noi ci ponessimo la domanda “perché il Verbo
si è fatto carne?” la risposta ultima è: “Dio
mai nessuno l'ha visto il figlio unigenito che è nel seno del Padre lui ce lo
ha rivelato”.
Partendo da questa
figura di Gesù, entriamo nella pienezza della figura di Stefano. Per motivi
concreti non è possibile leggere tutto il capitolo settimo degli Atti degli Apostoli
perché sarebbe molto interessante ritrovare il motivo per il quale Stefano
viene lapidato. Infatti se leggessimo attentamente il capitolo settimo ci
accorgeremmo la grande luminosità di Stefano che interpreta tutta la storia
d'Israele alla luce di Gesù Cristo, perché il cristiano è testimone nel tempo e
nello spazio del modulo di interpretare la vita. Con la parola di Dio dovremmo
imparare a leggere il quotidiano per incarnarne il mistero nel quotidiano.
Qualche volta noi
dimentichiamo questo elemento fondamentale che ci dovrebbe continuamente
caratterizzare perché il cristiano è un modo di concepire la vita e leggere la
storia con l'ottica di Gesù è andare controcorrente. Il vero martirio proprio
del credente in Gesù si manifesta nel modo con il quale nel cammino quotidiano
rileggiamo continuamente la vita, partendo dal fascino di Gesù nella nostra
ferialità. Ad imitazione di Gesù, che è il rivelatore del volto del Padre, è
chiaro che noi siamo stimolati a leggere la storia con l'orizzonte della
grandezza di Dio: qui è la vera libertà del cuore. Quando l’uomo legge la
storia nell'orizzonte di questa grandezza divina la storia assume un volto
completamente diverso. La bellezza feconda del martirio è dire al mondo che in
Gesù rivelatore del Padre noi troviamo il senso della vita. Questa verità dovrebbe
pungolare il discepolo a costruire ogni frammento della sua vita nel silenzio
di Dio. È la bellezza della vita cristiana: riuscire a cogliere un angolo della
propria quotidianità in un silenzio dove con la parola scritturistica leggiamo
la vita e allora la sapienza del Vangelo, quella sapienza che ha illuminato
Stefano fino a dare l'impressione di avere il volto di un angelo, diventi
un'esperienza vera del martirio.
E' sicuramente molto
interessante entrare nel mistero che stiamo celebrando nell'eucaristia. Alla
luce dell'insegnamento che l'apostolo Paolo ci offre quando ci parla del
mistero eucaristico, dovremmo sempre riscoprire che la verità di ogni
celebrazione liturgica è vivere il martirio di Gesù, che Stefano ha incarnato
nella sua storia. Paolo, quando deve dire il senso del mistero eucaristico, usa
un'espressione molto forte “ogni volta che mangiate di questo pane e vi
accostate a questo calice voi annunciate la morte del Signore”. Qui scopriamo
che il cristiano è chiamato a vivere il Cristo e questi crocifisso.
L'espressione liturgica annunciare la morte del Signore significa proclamare
nel vissuto una mentalità che va controcorrente rispetto alla mentalità
contemporanea. Il cristiano, in forza della rigenerazione battesimale, ha la
vocazione intrinseca al martirio perché in certo qual modo egli legge la storia
non partendo dal mondo massmediatico ma legge la storia nel silenzio interiore
dello Spirito Santo alla luce della parola rivelatrice del volto del Padre. E
allora è bello entrare in questa mentalità: è il martirio - stillicidio del quotidiano:
ogni volta che siamo davanti ai fatti della storia dovremmo ritirarci, aprire
la Scrittura e dire a Gesù: nel tuo spirito dimmi come posso interpretare la
vita! E allora su questa parola lanceremo le reti nel costruire il vissuto
quotidiano. Quindi viviamo questa mentalità antica che abbiamo un po' persa
perché il teatro è preferibile al mistero della croce. Ed entriamo in questa
bellezza: leggere la nostra storia con il cuore di Dio. Dovremmo dire allo Spirito
Santo che ogni volta che andiamo all'eucaristia riceviamo la vocazione come
Stefano di leggere la vita con la luce che viene dall'alto. Quando ci porremo
in questa visione non avremo mai paura e non saremo affannati dalle paure
esistenziali. Chi con la parola leggerà la storia, nella parola sta già
risorgendo, e andando alla mensa del Padre, rigenererà sempre in se stesso
quella libertà che ha caratterizzato Gesù, ha qualificato la storia di Stefano
e gusteremo quella gioia che in paradiso avrà la sua pienezza.
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