Chiunque
segua il Maestro in tutto l'itinerario della sua esistenza giunge a fare
l'esperienza della risurrezione. Chi ha le stimmate della passione ha anche la
luce della glorificazione. È il mistero nel quale noi siamo stati introdotti
nel triduo pasquale e che oggi ha la sua manifestazione nell'apparire del Risorto
in mezzo a noi. Immersi nel mistero, oggi godiamo una presenza perché la Pasqua
di risurrezione non è una data, non è una festa, la Pasqua di risurrezione è
una presenza poiché il cristiano ormai non conosce più nessuna festa, in lui
c'è solo una festa, l'esperienza del Cristo risorto; ecco perché il cristiano
oggi è nella gioia non perché Gesù non è semplicemente risorto, ma perché Gesù
ci è apparso, ci sta apparendo e avvolge le nostre persone della sua persona.
Ecco perché il cristiano vive del Risorto nel quale ritrova la bellezza, il
senso e la profondità della sua esistenza.
Ma
come il cristiano entrando in questo mistero questa mattina può veramente
vedere il Risorto come il criterio portante della sua esistenza? L'apostolo
Pietro rivolgendosi al centurione Cornelio nel discorso che abbiamo poc'anzi
udito ci dice chiaramente come, oggi, possiamo veramente vedere il Risorto.
Infatti l'apostolo ha detto Gesù è
apparso a testimoni prescelti, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui e
che ci ha resi testimoni dell'evento della risurrezione. Questi sono i tre
passaggi sui quali nello Spirito Santo vogliamo soffermarci perché la festa di
Pasqua non sia una festa ma un incontro trasfigurante.
Innanzitutto
questa meravigliosa esperienza non è di tutti, ma di coloro che sono stati
prescelti da Dio, coloro che dal Cristo sono stati iniziati al mistero
dell'oggi del Padre per potere godere di Cristo stesso. Paolo nella
meravigliosa sintesi che ci ha offerto nella seconda lettura è stato molto
chiaro: la nostra vita è ormai nascosta
con Cristo in Dio, la gioia del Risorto è per coloro che sono di Cristo,
che appartengono a Cristo, e han fatto di Cristo il senso portante della loro
esistenza. Il Risorto è un invisibile, concreto, che appare a ciascuno di noi;
concreto perché non è un'illusione, è luminoso nell'oggi, e nello stesso tempo è
invisibile perché siamo introdotti nella fedeltà misteriosa di Dio. Il cristiano
vede perché ha seguito, vede perché si è lasciato condurre, vede perché ormai
la sua esistenza è radicata nella sua Persona. Ecco perché il cristiano vede
con gli occhi del cuore il Risorto.
In
seguito a un simile dono, il Cristo appare ai discepoli prestabiliti, a coloro che hanno mangiato e bevuto con
lui dopo la resurrezione. Infatti come i discepoli hanno fatto, hanno
potuto fare l'esperienza del Risorto? E allora l'affermazione di Pietro è molto
bella: a noi che abbiamo mangiato e
bevuto con lui. Qual è il senso di questa espressione dell'apostolo attorno
alla quale ruota tutto il senso della bellezza della risurrezione? Se ci
poniamo la domanda sul cosa significhi “mangiare e bere”, noi intuiamo che
mangiare e bere sia accogliere un Signore che, diventando pane e vino,
trasfigura progressivamente la nostra esistenza; non è l'apparire di uno
accanto ad un altro, ma il manifestarsi di uno che entra dentro di noi ed
entrando dentro di noi vivifica la nostra esistenza facendoci comprendere che
lui è dentro di noi. Spesse volte noi non riusciamo a cogliere questa presenza
del Maestro perché la vediamo come qualcosa che è fuori di noi, la nostra
fantasia ci porta qualcosa che è fuori di noi, ma la bellezza del vedere è che
lui è dentro di noi, è lui che è dentro di noi diventa il motore vivente della
nostra storia e non c'è come nella realtà del banchetto che è lui che ci
trasfigura. Dove conosciamo il Signore se non dove il Signore si fa conoscere
da noi? È molto bello come l'evangelista Giovanni, volendo dare ai suoi
discepoli il testamento della sua presenza, ha affermato che i discepoli sono
chiamati a conoscerlo, a lasciarsi permeare, trasfigurare, glorificare nella
sua persona attraverso la convivialità. L'eucaristia non è semplicemente andare
ad ascoltare o a mangiare e bere, ma l'eucaristia è lasciarci penetrare da una
presenza che è dentro di noi prima ancora che ne prendiamo coscienza per
entrare nella sua luminosità che è il criterio portante della nostra vita. Ecco
perché ogni domenica noi ci ritroviamo nell'eucarestia perché vogliamo
lasciarci penetrare, lasciarci far conoscere dal Maestro divino.
Quando
l'apostolo Pietro, ritraducendo le catechesi della chiesa di Gerusalemme, ha
affermato che Gesù non è apparso a tutti, ma a testimoni prescelti, a noi che
abbiamo mangiato e bevuto con lui, ci ha chiaramente detto che l'esperienza della
risurrezione è qualcosa di trasfigurante la nostra persona, come può essere
l'alimento nella nostra fisicità.
Se
noi entriamo in questo itinerario, possiamo veramente annunciare il Risorto che
non è un insieme di parole, ma una sensibilità condivisa, è il traboccare di
un'esperienza di Spirito Santo che ci dice che è bello vivere nel Risorto! La
vera testimonianza non sono le parole, che non sono più credibili nella cultura
odierna; non sono solo le azioni che in certo qual modo appaiono come il
respiro che c'è e poi scompare. La testimonianza è una persona che si sente
talmente immersa nel Maestro da regalare la bellezza, il gusto, l'armonia della
vita ai fratelli nel cammino della storia. È il traboccare di qualcosa di
grande che è penetrato fino in fondo nella nostra storia. Questa è la testimonianza.
Perché
tante volte noi non riusciamo più a credere? Forse perché abbiamo tanti
linguaggi senza contenuti, perché non siamo più la memoria del Cristo; parliamo
di Cristo senza gustarne il mistero; siamo persone che nel cammino
dell'esistenza -tante volte- non hanno il gusto di regalare nella semplicità
del feriale la bellezza di appartenere ad una Persona. Ecco perché Paolo è
stato meraviglioso in quella sintesi quando ha detto se siamo risorti con Cristo cerchiamo le cose di lassù non quelle della
terra la vostra vita ormai è nascosta con Cristo in Dio e quando Cristo
apparirà si manifesterà nella gloria. È il gusto dell'invisibile che fa
desiderare quella pienezza gloriosa della visibilità della gloria nella
liturgia del cielo. Ecco perché il cristiano è contento, non perché celebra una
festa, ma perché è posseduto da una persona che è la sua festa.
Allora
questo mangiare e bere è un lasciarsi trasformare, trasfigurare da una presenza
che ci fa gustare l'eternità beata. Noi facciamo nostro sempre in ogni
eucarestia nella parola proclamata e nel mangiare il pane e il vino questo
mistero di Gesù che è bello perché è invisibile nella concretezza sacramentale
e l'invisibile ci porta in un orizzonte infinito, è quel desiderio di eternità
beata che è il senso vero delle celebrazioni pasquali.
In
questo ritroviamo la sintesi della nostra vicenda quotidiana di discepoli: dal
mistero del morire - risorgere di Gesù fino a gustarne la presenza nel cammino
della Chiesa, nella prospettiva della glorificazione eterna nella quale noi
saremmo veramente creature nuove.
E
allora, entriamo questa mattina in questo mistero, non lasciamoci prendere
dagli auguri che non hanno senso, sono flatus vocis, cose tradizionali che non
dicono niente, ma lasciamoci prendere da una Persona sentendoci veramente
risorti perché lui è il Signore. Allora, pur nelle tribolazioni, pur nei mali
morali e fisici cammineremo nel gusto di una presenza e questa presenza è
un'eternità pregustata che si fa attendere e che è l'anima di ogni desiderio
mentre siamo in cammino in questo mondo.
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