02 settembre 2018

XXII DOMENICA T.O. - ANNO B -


Dt 4,1-2.6-8             Giac 1,17-18.21-22.27                Mc 7,1-8.14-15.21-23     

OMELIA

La Provvidenza ci offre il tempo e lo spazio perché possiamo lentamente maturare nella conoscenza di Gesù, assumendone la mentalità, in modo da generare un mondo nuovo secondo i dettami del Vangelo.

Per vivere questo grande mistero, che è la fecondità divina nella storia, oggi la parola che abbiamo ascoltata ci invita a essere persone che vivono continuamente in dialogo con Gesù. Quello che abbiamo ascoltato e dal libro del Deuteromio e dalla lettera di Giacomo ci stimola a costruire la nostra esistenza come dialogo tra Dio e ciascuno di noi, superando in tal modo la mentalità religiosa secondo la quale il cristiano è chiamato a essere tale compiendo tante cose.

La bellezza dell'essere discepoli è vivere abitualmente in dialogo dove il grande protagonista è Gesù. Infatti se guardiamo attentamente il cammino della rivelazione, ci accorgiamo come nella nostra storia è il Verbo stesso che viene nel mondo e dialoga con noi, è lui che ci affascina con la sua persona e si pone abitualmente in relazione con noi, egli ci parla e ci educa poiché possiamo progressivamente assumerne la sensibilità; anzi, egli entrando nella storia condivide il suo mistero di amore generando quella comunione fraterna che è il contesto per essere continuamente trasfigurati in lui e, nello stesso tempo, ci purifica perché possiamo gustare la bellezza e la verità del suo mistero. Egli ci genera continuamente.

Il Dio della rivelazione non è mai un dio che impone, il Dio della rivelazione è innamorato della libertà dell'uomo. Ecco perché abbiamo ascoltato, sia dal Deuteromio che dalla lettera di Giacomo, l'importanza di poter ascoltare la parola divina. Per poter veramente ascoltare dobbiamo spalancare il nostro cuore alla relazione con lui: è la gioia di lasciarci ricreare.

A tale riguardo è sempre importante intuire cosa voglia dire che Dio ci parla. Dobbiamo innanzitutto chiederci cosa significhi esistenzialmente essere in dialogo. Noi qualche volta abbiamo un'immagine distorta di dialogo dove l'importante è dato dallo scambio di parole. Tuttavia se guardiamo attentamente la Rivelazione, ci accorgiamo che il dialogo che Dio costruisce con noi è un dialogo creativo. Usando l'immagine cara alla tradizione dell'antico testamento si rivela estremamente vera l'affermazione: Dio disse e le cose furono fatte. Dio ci parla creandoci e creando. È la bellezza della Rivelazione. Dio prima di offrirci stimoli per costruire il Vangelo nella nostra vita ci ricrea continuamente; ogni giorno che Dio ci regala è essere generati dalla sua parola: Egli parla, crea, penetra in noi, crea in noi il contesto per essere generati nel suo amore. Non per niente l'atto di fede è paragonato dagli studiosi a un atto generativo e come atto generativo è un dolore che dà alla luce la vita. In tal modo la bellezza della fede è una parola che penetrando in noi genera, attraverso la sofferenza, la possibilità di vivere come Gesù e in questo avvertiamo tutta la pregnanza dell'atto di fede.

Il cristiano nel cammino della sua esistenza è un generato continuo dove l'atto di fede non è la conclusione di un ragionamento, ma la fecondità esistenziale di una presenza creatrice. Il cristiano perciò non è un esecutore, ma colui che ha il gusto di partorire la novità di Dio.

Da questo punto di vista il discepolo è continuamente innamorato del suo Signore; in certo qual modo il cristiano è come quei pii ebrei del tempo di Gesù che costruivano la loro esistenza meditando ogni giorno uno stesso versetto delle divine scritture. Noi cadremmo facilmente in una condizione di noia… eppure partendo dal principio che Dio è nuovo ogni giorno, la medesima parola ha risonanze diverse alla luce del “come” Dio agisce dentro di noi. È la novità del Vangelo! È quel cuore nuovo a cui Gesù implicitamente ci ha richiamati nel testo evangelico.

Ora questa affascinante avventura è in certo qual modo oggetto di non poche difficoltà perché l'uomo è facilmente condotto a ritradurre nei linguaggi culturali l'anima del Vangelo e questo è normale, perché quando uno ha una forte interiorità esprime questa interiorità nelle parole, nei comportamenti, nella gestualità, nelle tradizioni usando il linguaggio del Vangelo, ma il rischio nel quale noi cadiamo è che i linguaggi diventino  un assoluto, che il mistero di Gesù diventi così implicito nel nostro stile interiore di vita che le tradizioni divengono il valore. Il dramma del cristiano è presumere di essere cristiano perché inventa o esegue le tradizioni, mentre le tradizioni sono fenomeni culturali, contingenti, ai quali noi non dobbiamo affidare la nostra vita. Noi affidiamo la nostra vita alla Parola, a Dio stesso che entra in relazione con noi ed è sempre nuovo nel nostro cuore. Spesse volte nel cammino della nostra esistenza pensiamo di essere cristiani perché eseguiamo le pratiche religiose e rituali, che sono una compensazione di un cuore non sempre pienamente credente e allora andiamo sempre alla ricerca di cose concrete perché non lasciamo pulsare il cuore in un dialogo profondo con il Signore, è quella interiorità a cui ci ha richiamati Gesù: l'uomo è il suo cuore.

È molto bello come il testo all'Alleluia sia stato estremamente significativo per sua volontà il Padre ci ha generati per mezzo della parola di verità. Il cristiano è la parola vivente di Dio incarnata nella originalità di ciascuno di noi.

La bellezza della Chiesa è di essere una comunità generata dalla Parola, dove ognuno ha una sua risonanza particolare in una sintonia che canta la grandezza di Dio, attraverso le scelte di tutti i giorni.  Allora stiamo attenti a non dire che è vangelo ciò che è un semplice tradizione storica, stiamo attenti a dire è vangelo tutto ciò che è miracolistico, stiamo attenti a non dire vangelo quello che ci siamo costruiti noi per un vuoto interiore.

Dovremmo nella nostra esistenza essere sempre attenti a questa creatività divina. La nostra esistenza è un dialogo per cui quando noi incontreremo il Signore nell'ultimo giorno e il Signore ci chiederà: qual è stato il criterio della tua vita? Noi diremo al Padre: le parole del tuo Figlio hanno guidato le nostre scelte. E allora quando l'uomo si lascia guidare dalla parola di Dio, ha quel desiderio di dare alla luce - pur nel tormento - la bellezza della vita per crescere nella verità.

È quello che stiamo celebrando. Nel momento in cui ci accosteremo al segno del pane e del vino saremo dei generati da questo dialogo sacramentale in cui il Risorto, regalandoci nel segno il suo corpo il suo sangue, ci dice: sei uomo nuovo, rifatto, ricco di speranza e tutta la tua persona è intrinsecamente rigenerata. È la bellezza, fin dal mattino, di rendere attento il nostro cuore a questa parola creatrice.

Chiediamo allo Spirito Santo di intravedere questa bellezza in modo da non essere catturati dai devozionalismi che non hanno niente a che fare con la devozione cristiana, per avere quella libertà del cuore di accogliere il Maestro e di dare alla luce un mondo nuovo nel quale il Signore è il Signore, e noi tutti, pur perdonandoci giorno e notte i nostri peccati, cresciamo in quella novità di vita che è la vera fraternità attorno alla parola che è Gesù Cristo figlio di Dio.




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