OMELIA
La gioia
del mistero del mistero dell'Incarnazione si ritraduce nella gioia della nostra
umanità: l'uomo nell'incontro con Dio fatto uomo ritrova la gioia d'amare se
stesso. Davanti a questo orizzonte che la Chiesa ci offriva ieri, la figura di
oggi del diacono Stefano ci aiuta a cogliere un parametro con il quale possiamo
riuscire ad entrare in questo mistero, ed è molto bello come Stefano sia
chiamato “diacono” poiché la bellezza di servire la Chiesa è essenzialmente ascoltare,
interiorizzare e incarnare. Chi vuol gustare il dono di voler servire i
fratelli riscopre inevitabilmente la fecondità di tre parole che ci possono
aiutare ad entrare nel mistero della gioia della nostra umanità. Ce le ha
regalate Gesù nel mistero della sua incarnazione, le ha vissute Stefano nella
sua testimonianza, le incarniamo noi tutti vivendo la presenza del Maestro
divino nella nostra ferialità.
Innanzitutto
è importante ascoltare, percepire il mistero che è ognuno di noi. Non c'è
servizio senza il gusto dell'ascolto, non c'è il gusto di essere uomini se non
ascoltando le dinamiche all'interno della nostra umanità. Il vero servizio è la
finezza dell'ascolto poiché la bellezza di Stefano è di essere stato uomo pieno
di Spirito Santo, pieno di sapienza, pieno d'attenzione alle meraviglie di Dio,
pieno di attenzione alla storia della salvezza per sottolineare la sua libertà
interiore. L'uomo ritrova la sua identità quando sa ascoltarsi, allora percepisce quella ricchezza interiore che è
la sua natura umana. Infatti il nostro ascoltarci non è altro che adorare
l'amore inesauribile di Dio presente e operante in ciascuno di noi. Dicevamo
ieri che l'uomo è la gioia creativa di Dio. Ora noi percepiamo la gioia
creativa di Dio vivendo in atteggiamento di ascolto. L'uomo è se stesso perché
ascolta il mistero della sua esistenza, e questo ascolto diventa
interiorizzazione dell'opera creatrice delle tre Persone divine. E’ la bellezza
di entrare in sintonia con l'atto creativo di Dio perché nel momento in cui
l'uomo entra in sintonia con l'atto creativo di Dio, è ricco di esultanza e percepisce
la responsabilità davanti a tale grandezza. L'uomo, quando si ascolta, avverte
le ricchezze della propria esistenza e, di fronte a tali ricchezze, avverte la
vocazione a ritradurle in modo personale nel vissuto di tutti i giorni. L'uomo
che non sa ascoltarsi non si conosce, e non conoscendosi, non può
interiorizzare nulla, e non è in grado di costruire la secondo nell'orizzonte
della storia divina.
Stefano,
pieno di potenza, di sapienza e di Spirito Santo, è colui che ha interiorizzato
la grandezza di Dio. Infatti se guardiamo alla storia di Stefano, il suo
carisma era stato quello di interpretare nella libertà di Dio la storia di
Israele. In questo Stefano diventa veramente, per ciascuno di noi, un grande
maestro di umanità. L'uomo è grande non per quello che dice, l'uomo è grande
non per quello che fa, l'uomo è grande quando con il cuore risponde con
riconoscenza all'esperienza d'essere capolavoro, dando alla luce un mondo
nuovo, in cui si incarna la vitalità del vangelo. L'uomo che corre in modo
costante non si rende conto della grandezza della sua umanità, è semplicemente
un robot. L'uomo deve ritrovare la gioia della sua umanità attraverso
l'interiorizzazione, per cui come Stefano spontaneamente ha annunciato la Parola,
spontaneamente ha rivissuto il mistero del destino di Gesù, spontaneamente il
suo cuore era un cuore perfettamente libero.
L'uomo è
uomo quando ritraduce nelle scelte quotidiane il mistero della sua persona: in
quel momento è veramente se stesso. Penso che la Chiesa, ponendo la festa di
santo Stefano subito dopo il canto gaudioso del Natale, abbia avuto una precisa
intenzione: questo grande evento del Dio innamorato dell'uomo deve portare l'uomo
ad amare se stesso come uomo e a darne una coraggiosa testimonianza. Chi ama
nel cammino della propria esistenza la propria umanità, sa amare anche
l'umanità misteriosa di chi gli sta accanto. La festa di oggi non è una festa -
potremmo dire di relax (scusate l'immagine) dopo i grandi festeggiamenti
natalizi -, ma diventa l'impegno storico di una contemplazione sempre attuale.
Entrati nel Natale, nella gioia di un evento, questo evento deve diventare la
vita della nostra vita. Lo stile quotidiano delle scelte di tutti i giorni deve
incarnare, nella semplicità, la gioia della propria umanità.
L'eucaristia
che stiamo celebrando è veramente il canto semplice, sereno, gioioso, di essere
contenti di essere uomini nell'uomo per eccellenza: il Verbo incarnato! E
quindi è una festa in cui gustiamo la dolcezza di essere noi stessi, la gioia
di cantare nel quotidiano la gratitudine d'essere uomini.
Viviamo
così questo mistero pasquale per cui nel momento in cui celebreremo
l'eucaristia ci sarà l'incontro tra due gioie: la gioia di Dio che ci dà
l'entusiasmo della vita e la nostra gioia di essere uomini nel disegno di Dio.
Allora
l'eucaristia diventa per ciascuno di noi la meraviglia di un incontro, non di
una gioia data da cose, ma la gioia di essere se stessi. L'uomo quando si ama
evangelicamente, ritrova il gusto della vita ed è serenità armonia e gaudio per
tutti fratelli. Questo sia il mistero che vogliamo condividere questa mattina
nel ricordo di Santo Stefano. La conseguenza di tutto ciò risulta molto chiara:
chi è nella gioia è anche martire nel quotidiano, perché canta l'ebbrezza
d'essere un capolavoro divino, ma anche la bellezza della gioia di essere
uomini secondo quel mistero che Dio ci regala ogni giorno che noi personalizziamo,
che diventa il principio delle scelte, che diventa condivisione gaudiosa di
quel cuore innamorato perché amato. Una simile esperienza ci stimola a donare a
tutti gli uomini la bellezza e il gusto e il canto della vita umana, nonostante
tutte le nostre povertà esistenziali.
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