1Sam
1,20-22.24-28 1Gv
3,1-2.21-24 Lc 2,41-52
OMELIA
La
fecondità del mistero dell'Incarnazione ci porta giorno per giorno ad entrare
nella esemplarità di Gesù. Egli è entrato nella nostra storia per educarci a
gustare la nostra umanità, collocandola nel progetto eterno del Padre. Questo
emerge molto bene nel dialogo che abbiamo ascoltato tra Maria e Gesù; davanti
alla preoccupazione di Maria Figlio
perché ci hai fatto questo? Gesù ci offre la risposta che rivela il mistero
della sua vita Perché mi cercavate, non
sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? In questo dialogo
da una parte c'è l'interrogativo dell'uomo davanti alla storia, davanti alle pressanti
domande che essa pone, davanti alle oscurità che tante volte entrano nella
nostra sensibilità. Di fronte a tutto questo insiemi di problemi che
travagliamo l'uomo dei nostri giorni, Gesù ci offre la grande risposta: occorre
continuamente essere attenti al Padre.
L'uomo,
posto dinanzi all'esistenza con tutte le sue implicazioni e complicazioni,
riceve da Gesù la fondamentale risposta: essere attenti al Padre, entrare nel
suo mistero, gustarne la sintonia esistenziale. E questo l'evangelista Luca ce
lo ha chiaramente detto nella lettura che egli dà di questa “scomparsa di Gesù”
che viene ritrovato nel tempio, a Gerusalemme, dopo tre giorni. In queste
sottolineature appare chiaro cosa voglia affermare Gesù dicendo “devo essere attento alle cose del Padre”
perché Gerusalemme è il luogo del Dio fedele. Essere nella fedeltà del Padre
rappresenta il criterio portante della sua esistenza. Gerusalemme costituisce
per Israele il luogo del rivelarsi della misteriosa volontà fedele di Dio. Tale
verità s'incarna nel fatto che il Ragazzo viene ritrovato dopo tre giorni, e in
questa datazione ci ritroviamo nel mistero della morte, sepoltura e resurrezione
del Signore. Davanti agli interrogativi dell'esistenza Gesù ci dice: siate
attenti al mistero dell'amore del Padre, guardate in alto, guardate in un
orizzonte che va al di là dei nostri parametri o dei nostri desideri, entrate
nel flusso della vita di Dio, poiché l'uomo quando, nel cammino della sua
esistenza, ha come criterio interiore il mistero del Padre, entra nella vera
libertà. Chi vive la fedeltà del Padre matura ogni giorno nella vera condizione
di libertà.
Se
guardiamo attentamente lo stile con il quale Gesù risponde a Maria, intuiamo la
presenza di una grande libertà nel cuore di Gesù perché la bellezza della vita
è essere nella libertà di Dio. Una libertà che noi il più delle volte non
comprendiamo, ma la libertà è la grandezza della vita dell'uomo. Nel tono della
risposta di Gesù si evidenzia la sua libertà. Egli non ha in primo piano la
preoccupazione di Giuseppe di Maria, ha in primo piano questa consapevolezza:
la sua esistenza è nelle mani del Padre, che non lo deluderà mai e questa
situazione esistenziale è una realtà da tenere sempre presente. Ma qui
incontriamo il grande paradosso della vita, il grande paradosso, soprattutto
nella cultura contemporanea, dove la vera libertà nasce dall'obbedienza. L'uomo
nell'obbedienza costruisce la vera libertà.
Ora se noi
guardiamo alla cultura di oggi difficilmente c'è questa attenzione al primato di Dio nel quale collocare la propria
obbedienza. Obbedire non è eseguire, obbedire, usando il linguaggio che abbiamo
ascoltato nella storia di Anna, è nient'altro che restituire con gratitudine
quello che Dio ha regalato. La vita è dono, l'esistere è la benevolenza divina
in atto, è camminare nel tempo e nello spazio nella certezza della fiducia che
Dio ha per noi…è quello che nel cuore dell'uomo dovrebbe essere sempre vivo. Utilizzando
il linguaggio dell'apostolo Paolo per
grazia sono quello che sono! Infatti, se noi entriamo nel più profondo
della rivelazione, ma anche nel più profondo dell'esistenza umana, noi ci accorgiamo
che la vita dell'uomo è tutta obbedienza. Partiamo da un elemento che è il più
naturale: perché l'uomo desidera mangiare?
Se
guardiamo attentamente, il mangiare nasce dall'obbedire alla volontà della
creatura che desidera vivere. Quando l'uomo si pone in relazione con qualcuno,
con tutta la sua dimensione affettiva, obbedisce alla bellezza di essere creato
a immagine del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo in un'esperienza di
radicale comunione. Obbedire è la
bellezza dell'amore alla vita. Perché i figli obbediscono ai genitori?
Perché amano il dono del vivere, obbedire è la gioia di consegnarsi ai genitori,
come gratitudine, davanti al dono della vita! I genitori obbediscono a Dio che
hanno avuto un dono, il figlio, e si pongono in ginocchio davanti al figlio
esistenzialmente per cercare di comprendere il mistero di Dio che è il figlio e
nel quale vogliono educare il figlio stesso. Tutta la vita è obbedienza!
La stessa
salute fisica non è obbedire ai meccanismi della corporeità e della psicologia?
Se guardiamo attentamente non esiste un istante in cui noi non siamo obbedienti,
e Gesù è l'esempio vivente di tutto questo: egli è nel Padre con gratitudine,
perché egli è la salvezza del mondo, ma, nello stesso tempo, è anche tutto
obbediente a Giuseppe e a Maria. È molto bella la pennellata finale del brano
evangelico odierno dell'evangelista: Scese
dunque col loro e venne a Nazaret e stava loro sottomesso. L'obbedienzalità
nelle mani del Padre diventa obbedienza alle realtà storiche. Ecco perché obbedire
è una libertà ricca di gratitudine, è la vivente fecondità del dono
dell'esistenza; ecco perché l'uomo di oggi non riesce più a vivere perché non
riesce più a percepire che l'esistenza è nient'altro che un atto della gratuità
divina, da costruirsi nella storia, per crescere nella vera libertà. Ecco
perché Gesù nel Vangelo di Luca conclude la sua esistenza con quella bellissima
frase Padre nelle tue mani consegno il
mio spirito, e questa espressione con la quale l'evangelista Luca conclude
il suo Vangelo è la frase che riassume tutta la vita di Gesù. Ogni mattina, uso
il linguaggio di oggi, con Gesù noi diciamo: Padre nelle tue mani consegno il
mio spirito. E questa esperienza è nient'altro che la gratitudine a Dio e agli
uomini per iniziare una nuova giornata.
L'obbedire
ai comandamenti di cui ci ha parlato la prima lettera di Giovanni è la
gratitudine a Dio nell'amare la storia quotidiana. Entriamo in questo mistero
anche se per noi, tante volte, diventa estremamente difficile perché è
difficile oggi dire a una persona: quanto più ami obbedire tanto più cresci
nella libertà, ma se guardiamo attentamente la bellezza della nostra esistenza,
questa è tutta racchiusa nella libertà che scaturisce dalla fecondità nell'obbedienza.
Qui
ritroviamo le motivazioni fondamentali per le quali ogni settimana celebriamo i
divini misteri. Ecco perché questa mattina nella potenza dello Spirito Santo ci
ritroviamo nella celebrazione eucaristica.
Il
cardinale Martini volendo rispondere all'interrogativo: Perché ci ritroviamo
settimanalmente nell'Eucaristia? ci dà una risposta favolosa: Per obbedire a Gesù, per entrare
nell'obbedienza di Gesù, per obbedire come Gesù. E Gesù in quella sua
obbedienza fino all'amore della croce ha acquistato la vera libertà, come esprime
molto bene l'evangelista Giovanni quando ci narra l'apparizione del Risorto la
mattina di Pasqua: è passato a porte chiuse.
Entriamo in
questo mistero che per la nostra sensibilità storica è un grosso punto di
domanda, ma il Vangelo è scuola quotidiana di libertà. Entrare nella morte,
sepoltura e resurrezione del Maestro è la grande libertà del cuore umano.
Chiediamo allo Spirito Santo che ci educhi a questa meravigliosa esperienza
perché possiamo veramente dire ogni sera al Signore, offrendogli il grazie per la
giornata: Grazie, Gesù, perché oggi mi
hai reso nel tuo amore uomo un po' più
libero.
Questa sia
la grande speranza che Gesù oggi ci offre per crescere evangelicamente nella
nostra identità umana.
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