Sir 27,5-8 1Cor
15,54-58 Lc 6,39-45
OMELIA
Il discepolo
è chiamato a vivere la luminosità del Maestro, poiché un discepolo ha la sua
consistenza nell’imitarlo ogni giorno, ce lo ha detto molto bene Gesù questa
mattina. In questo noi non facciamo nient'altro che rivivere in modo continuo
la nostra vocazione a essere viventi imitatori di Gesù, costruendo ogni istante
nello stile autentico del Vangelo.
Davanti a
questa grande meta, Gesù oggi, di fronte all'interrogativo che può nascere in
noi “Come, Signore, nella mia povertà posso veramente avere te come maestro?”,
noi viviamo una intensa provocazione esistenziale, sapendo che esiste un forte
distacco tra lo stile di vita di Gesù e il nostro stile di vita. Potremmo
riuscire a entrare in questo itinerario attraverso una semplice affermazione:
prendere coraggiosamente coscienza dei nostri limiti. Quanto più noi entriamo
nell'esperienza di Gesù, quanto più ci lasciamo affascinare dal suo volto;
quanto più in noi c'è la tensione per andare verso il Mistero, più ci
accorgiamo di essere persone “povere” e incapaci. Abbiamo infatti una chiara
convinzione che tutta la vita è una dialettica tra l'amore inesauribile di Dio
e la fragilità dell'uomo che nel cammino della sua storia non riesce a vivere
come il Maestro. Questa presa di coscienza si rivela fondamentale per ritrovare
l'armonia in noi stessi: chi ama i suoi limiti comprende d'essere un capolavoro
dell'amore del Signore, chi ama le proprie povertà viene arricchito da una luce
ineffabile; chi nel cammino della storia si sente peccatore canta la gioia di
lasciarsi perdonare. Gesù non vuole le nostre depressioni ma regalarci
continuamente un respiro di speranza.
Il dramma
dell'esperienza morale è quella del vedere soprattutto il negativo. La bellezza
della nostra esistenza è quella di ritrovare la bellezza della grandezza
d'essere uomini e l'uomo tanto più è grande quanto più prende consapevolezza della
propria radicale povertà. La vera povertà dell'uomo è amarsi così come si è,
perché amandoci così come siamo entriamo nel misterioso progetto divino e
possiamo essere il luogo della continua ricreazione dello Spirito Santo. L'uomo
che gode del mistero del Dio che lo perdona, l'uomo che gode dei suoi limiti è
quell'albero che dà frutti buoni. Infatti chi nel cammino della sua vita
ritrova e riscopre continuamente i limiti ha, come conseguenza logica, la viva
convinzione che i limiti li hanno anche gli altri fratelli. L'uomo che sente
nella propria storia la coscienza di essere peccatore sa che anche il fratello
è un peccatore. Quando l'uomo nel cammino della sua vita si sente un fallimento,
sa che anche gli altri sono fallimento. La bellezza d'essere cristiani è
condividere nella nostra povertà la grandezza inesauribile dell'amore del
Signore.
In certo
qual modo quando la storia ci fa percepire qualche esperienza limitante la
nostra esistenza, dobbiamo dire grazie al Signore perché, in quel momento,
veniamo raggiunti da una esperienza amorosa di Dio che va al di là di ogni
nostro desiderio. L'uomo che si sente un limite gusta l'infinitezza di Dio.
Questa è l'esperienza che noi dovremmo continuamente ritrovare per riscoprire il
coraggio di costruire nella nostra storia il suo mistero di amore.
Troppe
volte noi siamo abili nel compilare l’elenco dei difetti e quando l'uomo
diventa l'elenco dei suoi limiti entra in depressione e si costruisce una
corazza che gli impedisce qualunque forma di relazionalità. Quando l'uomo
invece riesce a percepire che anche nelle sue fragilità c'è una grandezza
incommensurabile, anche nel rapporto con l'altro, egli ha una certezza: Dio
resta questa meravigliosa ricchezza nella nostra esistenza quotidiana. La
fraternità è l'incontro di poveri che si sentono amati dal medesimo mistero che
opera nelle fragilità di ogni persona.
Questa
rilettura del quotidiano ci stimola a pensare che l'uomo, nelle problematiche
feriali, non deve mai avere paura e quando nella esistenza quotidiana recepisce
dentro di sé i limiti nella propria storia e della storia dei fratelli, vive la
convinzione che è bello essere limitati perché è favoloso lasciarci amare in
una profonda reciprocità di misericordia.
È bello in certo qual modo scontrarci
nella realtà quotidiana con i fratelli quando il tutto non corrisponde ai
nostri ipotetici sogni per dire: siamo la gratuità incommensurabile della
misericordia di Dio che ci ricostruisce fraternamente ogni giorno. Il discepolo
è innamorato di un Maestro e questo Maestro ha un amore inesauribile per
l'uomo. A noi il compito quotidiano di lasciarci profondamente amare da questa
grande Maestro per ritrovare tanta speranza nella fraternità. Allora saremo un
albero buono che produce frutti buoni. Amati nella povertà, attraverso le
nostre povertà, regaliamo la grandezza di Dio ad ogni fratello.
È quella
luminosità di cui ci ha parlato l'apostolo Paolo, dove la luminosità è già in
atto nella nostra vita. Nei nostri rapporti dobbiamo regalare la bellezza di un
Dio che è innamorato dell'uomo, così come profondamente regala luce all'uomo.
Se noi riuscissimo a cogliere questa verità, non ci sarebbe più nessun
moralismo; il moralismo è la capacità di non respirare, il moralismo è
depressione psicologica in atto, il moralismo è l'uomo autosufficiente che
vuole essere “buono”. La bellezza della vita è lasciarsi amare regalandoci
nelle nostre fragilità.
Se dovessimo
formulare uno slogan potremmo dire così: amati, ci amiamo, per diffondere
amore. Siamo l'albero buono perché siamo capolavoro della gratuità di Dio,
facciamo frutti buoni, la gratuità misericordiosa condivisa con i fratelli per
diffondere serenità nel cuore di ogni umana creatura. E questa è la
comunicazione e la condivisione della luminosità divina.
È bello questa mattina, ritrovandoci
nell'Eucarestia, regalare le nostre povertà alla Fonte di ogni dono. L'Eucarestia
è dei poveri, l'Eucarestia è dei peccatori, l'Eucarestia è di quelli che nel
tempo e nello spazio si sentono fallimento, l'Eucarestia è il Signore che
assume i nostri limiti e ci dice: sei un capolavoro!
E allora il
cristiano supera i facili moralismi che tante volte serpeggiano nella nostra
esistenza e che non ci permettono di gustare la vita dove Dio, nel suo amore
incommensurabile, è molto più ampio delle nostre povertà. Quando l'uomo apre la
finestra delle proprie povertà alla grandezza di Dio, il sole lo illumina, lo
riscalda, gli dà il gusto di una giornata nuova.
Viviamo
così questa Eucaristia, al di là dei conflitti che tante volte possiamo sentire
dentro di noi, per ritrovare una povertà arricchita all'ennesima potenza dal Corpo
e dal Sangue del Signore per ritornare poi a casa non guardando più ai limiti
della storia, ma alla bellezza di eternità che ha invaso la nostra esistenza.
Camminiamo in questo modo, saremo ricchi di fiducia e di speranza e il Signore
attraverso le nostre righe storte scriverà quelle diritte e saremo sempre nella
speranza che viene dall'alto.
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