At 10,34.37-43 Col 3,1-4 Gv
20,1-9
OMELIA
La gioia
d'essere discepoli del Signore porta inevitabilmente ad un'esperienza
dell'evento della risurrezione. Tutta la storia di Gesù è focalizzata su questo
avvenimento centrale che è la luce che illumina chiunque voglia ritrovare la
bellezza e il gusto della vita. E questa esperienza noi la viviamo incarnata
nel misterioso personaggio che corre con Pietro e giunge per primo al sepolcro:
il discepolo che Gesù amava. In questo discepolo che Gesù amava noi ritroviamo
il vero volto di chiunque voglia fare l'esperienza del Risorto poiché in ognuno
di noi c'è l'esigenza di essere incontrati da Gesù risorto, essere avvolti
dalla sua presenza per entrare nella verità e nella pienezza della vita. Ed è
molto bello come la figura del discepolo che Gesù amava appare nell'ultima cena
nel contesto del tradimento perché, la bellezza del discepolo, è la bellezza di
assumere la personalità di Gesù. Se guardiamo questo misterioso personaggio nel
contesto dell'ultima cena troviamo quello che è l'atteggiamento di fondo di
chiunque voglia essere nel Maestro autenticamente se stesso. Il discepolo che
Gesù amava era accanto a Gesù, e ha reclinato il suo capo sul petto di Gesù.
Due movimenti che qualificano la vocazione del discepolo essere accanto, essere
accanto in un contesto di convivialità d'amore come era appunto l'ultima cena
di Giovanni. Il discepolo che Gesù amava era un amato dal Maestro, condivideva
l'amore di Gesù per il Padre e l'intera umanità. La convivialità dell'essere
accanto deve ritradursi in un atteggiamento
di intimità. Il discepolo che Gesù amava ha reclinato il capo sul petto di
Gesù. La convivialità deve diventare intimità e in quella intimità dove
l'orecchio del discepolo è sul petto di Gesù noi percepiamo un flusso di vita
interiore. Il Maestro che intensamente ama questo discepolo, genera e fa
desiderare nel processo di attrazione che il discepolo entri nel suo cuore.
È molto
bello intuire come la grandezza d'essere discepoli sia l'intimità con il Maestro,
percepire i flussi d'amore che sono superiori a qualunque tradimento. Il
discepolo che Gesù amava è immerso nel contesto esistenziale dell'ultima cena: avendo amato i suoi che erano nel mondo li
amò sino alla fine. Il discepolo è all'unisono con i battiti del cuore di
Gesù. E questo è veramente possibile perché il Cristo dimora in lui e questa
sua presenza lo attira ad assumere la sua sensibilità, la sua affettività, il
suo modo di leggere e di vivere il reale. Quante volte magari ci poniamo la
domanda: cosa voglia dire essere cristiani? E la risposta che l'evangelista
Giovanni ci dà è molto semplice ed è molto lineare: lasciati attirare da colui
che dall'eternità ti ha amato! E questa attrazione fa sì che la nostra
interiorità sia sempre in intimità con il cuore nel mistero di Gesù. E' una intimità
che permette al discepolo di vedere la bellezza profonda, al livello di cuore,
di quel sangue e di quell'acqua che sono usciti dal costato di Gesù. Il
discepolo è un uomo interiore, ed è talmente uomo interiore che ci accorgiamo
della bellezza di questo fatto, rileggendo attentamente il brano evangelico che
abbiamo poc'anzi ascoltato. Come mai il discepolo che Gesù amava, nel correre,
arriva per primo? Quando l'evangelista Giovanni compone il suo Vangelo, nel
dare risposte alla realtà delle chiese dei suoi tempi, che era già in
situazione critica, venuti meno gli apostoli, veniva meno l'ispirazione
divino-umana del cuore di Gesù. Il discepolo, che Gesù amava, corre e arriva
per primo perché chi vive un intimità profonda con il Maestro corre sempre perché
non può vivere senza di lui e in questa condizione si riscopre come uomo libero
da ogni segno strutturale. Chi si lascia amare corre sempre perché non può
vivere lontano dalla persona che lo ha profondamente conquistato.
Ecco perché
Pietro arriva più tardi. Le strutture sono una pesantezza per il discepolo, è
il dramma all'interno della vita cristiana, un dramma che è iniziato già a metà
del primo secolo perché era difficile vivere la purezza del cuore voluta da
Gesù. La bellezza affascinante del Maestro porta l'uomo ad una profonda libertà
interiore che gli permette di vivere la storia con il suo cuore e la sua mente.
Se
guardiamo attentamente quanta stanchezza esistenziale appesantisca l'esistenza
del cristiano, quando cerca forme, strutture, organizzazioni, comprese le
complessità rituali. La bellezza
dell'essere discepoli è correre, e chi corre, ed è la bella conclusione
dell'evangelista Giovanni, ci permette di “vedere” e di “credere” dove le due
parole sono significative di questo cammino interiore: vide.
Il vedere
ritraduce l'esperienza di lasciarsi invadere da qualcosa di più grande! Il
discepolo “vede” i segni della risurrezione, ma poiché sono segni, il discepolo,
che vive in intimità con il Maestro, ne gusta anche la presenza. Quando uno è nell'intimità
si accorge che l'amato è goduto attraverso i segni semplici e quotidiani della
sua presenza. Vide! E’ il vedere
dell'occhio che è puro davanti alle complessità della storia e che illumina con
l'evento cristiano ogni frammento dell'esistenza cristiana nel quotidiano.
L'uomo deve
essere quel discepolo che intensamente Gesù amava e che si è lasciato
coinvolgere nel mistero di quel cuore, quello del Maestro, che gli fa
desiderare solo il Maestro. E allora quel vedere diventa credere, lasciar abitare,
in modo luminoso la personalità del Maestro. Il vedere è del cuore innamorato
che fa da tramite con la persona amata per farla entrare nella definitività
della propria persona, ecco perché Gesù ha detto nei suoi discorsi che chi crede è già passato dalla morte alla
vita poiché in noi abita la vita! E allora la bellezza di lasciarci
attirare continuamente da Gesù ci libera da tanti condizionamenti storici che ci
impediscono di avere quel respiro di vicinanza con il Maestro che è la bellezza
della vita. Allora se noi entriamo in questa visione, la resurrezione è una
realtà quotidiana. Ogni giorno dilatiamo in noi le potenzialità del Risorto che
lentamente pervade tutta la nostra persona e ci dà la leggerezza della vita
perché ci permette di leggere col cuore libero gli avvenimenti di tutti i
giorni.
Credo che
se noi vedessimo veramente la bellezza del discepolo che Gesù amava, capiremmo la
affermazione quando Gesù manda in missione Pietro e il discepolo che Gesù amava;
Pietro dà la vita con il martirio, il discepolo che Gesù amava rimane nel
cammino della comunità cristiana, perché è in ognuno di noi che nell'essenzialità
e nella semplicità della vita gustiamo l'oggi del Maestro divino. Questa
esperienza noi la stiamo vivendo. Dicevamo all'inizio che il discepolo che Gesù
amava appare nel contesto dell'ultima cena. Nell'ultima cena si rivela a
ciascuno di noi la vocazione ad essere discepoli e nell'ultima cena noi veniamo
rigenerati: è l'eucarestia che stiamo celebrando! Usando un'immagine che può aiutarci
ad intuire a livello interiore quello che Giovanni ci ha detto: ritrovarci
nell'eucarestia è ritrovarci accanto al Risorto il quale ci attira talmente a
sé attraverso la sua personalità che ci ama, da reclinare le nostre persone sul
suo petto e sarà il momento della comunione dove noi saremo attirati ad entrare
in quell'intimità. In quell'intimità berremo l'acqua del mondo nuovo e gusteremo
quel sangue, entrambi usciti dal sangue di Cristo in croce. Reclinare il capo
sul petto di Gesù è entrare in quel sangue, entrare in quell'acqua, che è l'Eucaristia
quotidiana della Chiesa. Se noi riuscissimo a percepire una simile bellezza, non
ci lasceremmo disperdere da tante cose che hanno la capacità di farci
dimenticare Gesù. Entriamo in questo mistero, facciamo nostra la bellezza dell'Eucaristia,
che non è fare la comunione ma accostarci alla Fonte del gaudio della nostra
vita. Il Signore infonde in noi in modo continuo ed inesauribile quell'amore
che è più grande di tutti tradimenti personali, ecclesiali e comunitari.
L'intimità con Gesù è la freschezza di un sangue che ci rifà continuamente. Viviamo
così questa domenica di risurrezione come la bellezza d'essere discepoli per
poter camminare in quella novità di vita che nel Risorto è sempre attuale, in
attesa di quella novità finale, quando con i 144.000 dell'Apocalisse, che hanno
lavato le vesti nel sangue dell'Agnello rendendole candide, ci lasceremo in
quel canto finale, dove gusteremo tutta la gioia eterna di chi, nell'essere
discepoli di che Gesù amava, gode la novità della propria esistenza.
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