21 aprile 2019

DOMENICA DI PASQUA - RISURREZIONE DEL SIGNORE (ANNO C) - SOLENNITA'


At 10,34.37-43                   Col 3,1-4                   Gv 20,1-9

OMELIA

La gioia d'essere discepoli del Signore porta inevitabilmente ad un'esperienza dell'evento della risurrezione. Tutta la storia di Gesù è focalizzata su questo avvenimento centrale che è la luce che illumina chiunque voglia ritrovare la bellezza e il gusto della vita. E questa esperienza noi la viviamo incarnata nel misterioso personaggio che corre con Pietro e giunge per primo al sepolcro: il discepolo che Gesù amava. In questo discepolo che Gesù amava noi ritroviamo il vero volto di chiunque voglia fare l'esperienza del Risorto poiché in ognuno di noi c'è l'esigenza di essere incontrati da Gesù risorto, essere avvolti dalla sua presenza per entrare nella verità e nella pienezza della vita. Ed è molto bello come la figura del discepolo che Gesù amava appare nell'ultima cena nel contesto del tradimento perché, la bellezza del discepolo, è la bellezza di assumere la personalità di Gesù. Se guardiamo questo misterioso personaggio nel contesto dell'ultima cena troviamo quello che è l'atteggiamento di fondo di chiunque voglia essere nel Maestro autenticamente se stesso. Il discepolo che Gesù amava era accanto a Gesù, e ha reclinato il suo capo sul petto di Gesù. Due movimenti che qualificano la vocazione del discepolo essere accanto, essere accanto in un contesto di convivialità d'amore come era appunto l'ultima cena di Giovanni. Il discepolo che Gesù amava era un amato dal Maestro, condivideva l'amore di Gesù per il Padre e l'intera umanità. La convivialità dell'essere accanto deve ritradursi in un atteggiamento di intimità. Il discepolo che Gesù amava ha reclinato il capo sul petto di Gesù. La convivialità deve diventare intimità e in quella intimità dove l'orecchio del discepolo è sul petto di Gesù noi percepiamo un flusso di vita interiore. Il Maestro che intensamente ama questo discepolo, genera e fa desiderare nel processo di attrazione che il discepolo entri nel suo cuore.

È molto bello intuire come la grandezza d'essere discepoli sia l'intimità con il Maestro, percepire i flussi d'amore che sono superiori a qualunque tradimento. Il discepolo che Gesù amava è immerso nel contesto esistenziale dell'ultima cena: avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine. Il discepolo è all'unisono con i battiti del cuore di Gesù. E questo è veramente possibile perché il Cristo dimora in lui e questa sua presenza lo attira ad assumere la sua sensibilità, la sua affettività, il suo modo di leggere e di vivere il reale. Quante volte magari ci poniamo la domanda: cosa voglia dire essere cristiani? E la risposta che l'evangelista Giovanni ci dà è molto semplice ed è molto lineare: lasciati attirare da colui che dall'eternità ti ha amato! E questa attrazione fa sì che la nostra interiorità sia sempre in intimità con il cuore nel mistero di Gesù. E' una intimità che permette al discepolo di vedere la bellezza profonda, al livello di cuore, di quel sangue e di quell'acqua che sono usciti dal costato di Gesù. Il discepolo è un uomo interiore, ed è talmente uomo interiore che ci accorgiamo della bellezza di questo fatto, rileggendo attentamente il brano evangelico che abbiamo poc'anzi ascoltato. Come mai il discepolo che Gesù amava, nel correre, arriva per primo? Quando l'evangelista Giovanni compone il suo Vangelo, nel dare risposte alla realtà delle chiese dei suoi tempi, che era già in situazione critica, venuti meno gli apostoli, veniva meno l'ispirazione divino-umana del cuore di Gesù. Il discepolo, che Gesù amava, corre e arriva per primo perché chi vive un intimità profonda con il Maestro corre sempre perché non può vivere senza di lui e in questa condizione si riscopre come uomo libero da ogni segno strutturale. Chi si lascia amare corre sempre perché non può vivere lontano dalla persona che lo ha profondamente conquistato.

Ecco perché Pietro arriva più tardi. Le strutture sono una pesantezza per il discepolo, è il dramma all'interno della vita cristiana, un dramma che è iniziato già a metà del primo secolo perché era difficile vivere la purezza del cuore voluta da Gesù. La bellezza affascinante del Maestro porta l'uomo ad una profonda libertà interiore che gli permette di vivere la storia con il suo cuore e la sua mente.

Se guardiamo attentamente quanta stanchezza esistenziale appesantisca l'esistenza del cristiano, quando cerca forme, strutture, organizzazioni, comprese le complessità rituali. La bellezza dell'essere discepoli è correre, e chi corre, ed è la bella conclusione dell'evangelista Giovanni, ci permette di “vedere” e di “credere” dove le due parole sono significative di questo cammino interiore: vide.

Il vedere ritraduce l'esperienza di lasciarsi invadere da qualcosa di più grande! Il discepolo “vede” i segni della risurrezione, ma poiché sono segni, il discepolo, che vive in intimità con il Maestro, ne gusta anche la presenza. Quando uno è nell'intimità si accorge che l'amato è goduto attraverso i segni semplici e quotidiani della sua presenza. Vide! E’ il vedere dell'occhio che è puro davanti alle complessità della storia e che illumina con l'evento cristiano ogni frammento dell'esistenza cristiana nel quotidiano.

L'uomo deve essere quel discepolo che intensamente Gesù amava e che si è lasciato coinvolgere nel mistero di quel cuore, quello del Maestro, che gli fa desiderare solo il Maestro. E allora quel vedere diventa credere, lasciar abitare, in modo luminoso la personalità del Maestro. Il vedere è del cuore innamorato che fa da tramite con la persona amata per farla entrare nella definitività della propria persona, ecco perché Gesù ha detto nei suoi discorsi che chi crede è già passato dalla morte alla vita poiché in noi abita la vita! E allora la bellezza di lasciarci attirare continuamente da Gesù ci libera da tanti condizionamenti storici che ci impediscono di avere quel respiro di vicinanza con il Maestro che è la bellezza della vita. Allora se noi entriamo in questa visione, la resurrezione è una realtà quotidiana. Ogni giorno dilatiamo in noi le potenzialità del Risorto che lentamente pervade tutta la nostra persona e ci dà la leggerezza della vita perché ci permette di leggere col cuore libero gli avvenimenti di tutti i giorni.

Credo che se noi vedessimo veramente la bellezza del discepolo che Gesù amava, capiremmo la affermazione quando Gesù manda in missione Pietro e il discepolo che Gesù amava; Pietro dà la vita con il martirio, il discepolo che Gesù amava rimane nel cammino della comunità cristiana, perché è in ognuno di noi che nell'essenzialità e nella semplicità della vita gustiamo l'oggi del Maestro divino. Questa esperienza noi la stiamo vivendo. Dicevamo all'inizio che il discepolo che Gesù amava appare nel contesto dell'ultima cena. Nell'ultima cena si rivela a ciascuno di noi la vocazione ad essere discepoli e nell'ultima cena noi veniamo rigenerati: è l'eucarestia che stiamo celebrando! Usando un'immagine che può aiutarci ad intuire a livello interiore quello che Giovanni ci ha detto: ritrovarci nell'eucarestia è ritrovarci accanto al Risorto il quale ci attira talmente a sé attraverso la sua personalità che ci ama, da reclinare le nostre persone sul suo petto e sarà il momento della comunione dove noi saremo attirati ad entrare in quell'intimità. In quell'intimità berremo l'acqua del mondo nuovo e gusteremo quel sangue, entrambi usciti dal sangue di Cristo in croce. Reclinare il capo sul petto di Gesù è entrare in quel sangue, entrare in quell'acqua, che è l'Eucaristia quotidiana della Chiesa. Se noi riuscissimo a percepire una simile bellezza, non ci lasceremmo disperdere da tante cose che hanno la capacità di farci dimenticare Gesù. Entriamo in questo mistero, facciamo nostra la bellezza dell'Eucaristia, che non è fare la comunione ma accostarci alla Fonte del gaudio della nostra vita. Il Signore infonde in noi in modo continuo ed inesauribile quell'amore che è più grande di tutti tradimenti personali, ecclesiali e comunitari. L'intimità con Gesù è la freschezza di un sangue che ci rifà continuamente. Viviamo così questa domenica di risurrezione come la bellezza d'essere discepoli per poter camminare in quella novità di vita che nel Risorto è sempre attuale, in attesa di quella novità finale, quando con i 144.000 dell'Apocalisse, che hanno lavato le vesti nel sangue dell'Agnello rendendole candide, ci lasceremo in quel canto finale, dove gusteremo tutta la gioia eterna di chi, nell'essere discepoli di che Gesù amava, gode la novità della propria esistenza.




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