At 6,8-12; 7,54-60 Mt
10,17-22
OMELIA
La Chiesa,
fin dall'antichità, ha coniugato la festa del Natale con la festa di santo
Stefano e l'elemento che unisce le due celebrazioni è la parola “testimonianza”.
Con l'evento dell'Incarnazione, ieri Gesù ha testimoniato di essere nell'amore
del Padre, di regalare l'amore del Padre, perché gli uomini potessero veramente
essere persone e dimorassero nel cuore del Padre. Nella figura di Gesù siamo
stati orientati a percepire il mirabile incontro con il Figlio, che dal Padre viene
a noi, per introdurci nella intimità del Padre.
Santo
Stefano diventa il testimone di questo mistero. Quello che Gesù nella sua vita
ha realizzato, Stefano lo ha compiuto, perché anche Stefano è diventato
testimone del mistero di Gesù. Ma come Stefano è stato testimone di Gesù? Penso
che tre aspetti della figura di Stefano siano per noi momenti importanti di
riflessione. Egli è l'uomo pieno della sapienza dello Spirito Santo; è l'uomo
che sa interpretare le Scritture come scuola di libertà interiore; è colui che
ha concluso la sua storia come Gesù.
Innanzitutto,
è uomo pieno di sapienza, di Spirito Santo.
Stefano è
colui che nel cammino della sua vita, come ogni discepolo del Signore, è stato
guidato dalla creatività divina. È pieno di Spirito Santo, perché la bellezza
dell'essere iniziati a Gesù Cristo si manifesta nell' essere ricolmati di Spirito.
Non si può infatti conoscere Gesù, non si può pronunciare il suo nome, senza la
potenza dello Spirito. Ce l’ha detto molto bene il testo evangelico, e, quando
l'uomo ha lo Spirito Santo come criterio di vita, interpreta la storia con
l'occhio di Dio.
Che cosa ha
suscitato la reazione dei Giudei nei confronti di Stefano se non
l'interpretazione che egli aveva dato alla storia, poiché la storia non è
nient'altro che il rivelarsi progressivo dell'ineffabilità dell'amore di Dio, che
pone l'uomo nella situazione di autentica libertà. L'uomo abitato dallo Spirito
Santo legge nella libertà la storia, perché la Parola di Dio è entrata nel
mondo per regalare all'uomo la libertà. È un'esperienza questa alla quale
dovremmo continuamente richiamarci: i parametri della nostra esistenza non sono
il mondo massmediatico, il “tutti pensano o dicono così”, il parametro della nostra
storia è la libertà dello Spirito Santo che legge la parola di Dio come scuola
quotidiana di liberazione.
Stefano, pieno
di Dio, gode la libertà di Dio.
Nello sfondo
culturale odierno, l’uomo ha perso la sua libertà, eppure il cristiano in
quanto tale è chiamato ad essere testimone di Gesù. Come il Figlio, dimorando
nel Padre, ne è testimone, così il cristiano, dimorando in Gesù, ne è testimone.
Nell'immagine che ci offre Luca, descrivendo la figura di Stefano come un uomo
così luminoso, che, guardandolo in faccia, sembrava di vedere il volto di un
angelo, il cristiano trova la libertà del cuore e della mente. Allora, se
veramente si lascia condurre e guidare dalla creatività dello Spirito, il
risultato è il martirio: morire come è morto Gesù. Se noi guardiamo
attentamente la descrizione che Luca ci fa della morte di Stefano, ci
accorgiamo che è la stessa descrizione che il medesimo evangelista fa della
morte di Gesù in croce: essere martirizzati è essere testimoni della verità.
È un
principio questo caro all'evangelista Giovanni, che Luca ci ha regalato questa
mattina nel narrare la morte di Gesù, dove il morire è l'espressione di una
vita di comunione. Gesù è morto nella comunione col Padre, la nostra esistenza è
una comunione vivente con il Figlio e allora il martirio è dire il primato
dello Spirito nella nostra vita, che, portandoci a rileggere la storia nella
prospettiva di Dio, ci dice: “Concludi la vita come Gesù!”. Come sarebbe bello
se il cristiano, al termine della propria esistenza, potesse dire come Gesù e
come Stefano: “Padre nelle tue mani
consegno il mio spirito”. È la bellezza del testimone che, nel morire, si regala
a Dio, senso di tutta la sua vita. Oggi si dice che uno muore come è vissuto. Quando
noi entriamo nella profondità del Vangelo di Luca e ci poniamo la domanda - che
senso avessero le parole che Gesù ha detto in croce – dovremmo rispondere facendo
nostre quelle parole, che sono lo stile interiore di Gesù. Anche noi, come
Stefano, nel momento del nostro morire storico diremo il senso più profondo
della nostra vita. Pieni di Spirito, leggiamo con lo Spirito e con la Parola la
nostra vita, per poterci poi restituire a Dio nello stile di Gesù e di Stefano.
È la bellezza, la profondità, il senso della nostra esistenza quotidiana.
In certo
qual modo noi rileggiamo questo stile ogni giorno, andando ai divini misteri. C'è
un particolare nella celebrazione eucaristica che, magari a causa della nostra abitudinarietà,
non abbiamo focalizzato: la grande preghiera eucaristica si conclude nell’atto
con cui il presbitero solleva i doni eucaristici e, contemplando la gloria del Padre,
glieli restituisce. In quell'ascensione dei doni, l'uomo si restituisce a Dio. Immerso
nella profondità del mistero dell'amore di Dio, che è il mistero eucaristico, egli
si sente talmente pieno di Spirito, da leggere la sua vita come annunciare la
morte del Signore e proclamare la sua resurrezione. Ritradotto, è l’oblazione dell'anima
che torna al Padre. Dicendo “Amen”, noi non diciamo semplicemente quello che è
avvenuto, ma quello che siamo. Come Stefano, pieni di Spirito Santo, la nostra
esistenza è talmente unita al mistero, da rendere tutto un'oblazione. Come
sarebbe bello se anche il nostro morire fosse il compimento della pienezza di
Gesù, perché, fissando gli occhi al cielo, potessimo restituirci nella
semplicità del cuore a Colui che ha costruito tutta la nostra vita. E allora, come
Gesù ieri è stato testimone del cammino che ci porta a entrare nell'intimità
del Padre; come oggi Stefano, guidato dallo Spirito legge la sua vita e la
storia di Israele e si colloca tutto nelle mani del Padre, ad imitazione di
Gesù; così anche noi dovremmo costruire la nostra esistenza in questa
meravigliosa esperienza: entrare in una ascensione continua verso la pienezza
della gloria.
L'Eucaristia
è attrazione nel seno del Padre, per poterne gustare fino in fondo la dolcezza
e la luminosità. Questo sia il senso della festa di oggi, in modo che ci possa
regalare nell'Eucaristia la concretezza dell'evento dell'Incarnazione. E allora,
incarnando la nostra vita nello Spirito, ci consegneremo al Padre nella totale libertà
del cuore, in attesa di quella pienezza che sta aspettandoci e che sarà
veramente il compimento di ogni nostro desiderio.
-
Nessun commento:
Posta un commento