1Re 17,10-16 Eb 9,24-28 Mc 12,38-44
OMELIA
La gioia di ritrovarci ogni domenica a celebrare i Divini Misteri si costruisce nell'ascolto di quello che il Maestro ci regala perché possiamo diventare sempre più suoi discepoli. Ora, attraverso il racconto parabolico che abbiamo poc'anzi udito dal testo evangelico, noi veniamo educati a come costruire ogni istante della nostra esistenza attraverso le tre immagini che appaiono nel brano evangelico:
-lo stare alla presenza di Dio, atteggiamento che viene espresso
nell'immagine del tempio,
-la spiritualità scritturistica della figura della vedova,
-il senso del rendimento di grazie per il dono della storia della
salvezza.
Questi tre elementi rappresentano il cuore di chi veramente vuole
essere discepolo, in un continuo processo di maturazione spirituale. Infatti la
sintesi esistenziale di questi tre aspetti costruisce la personalità credente
di ogni battezzato.
Innanzitutto focalizziamo la nostra attenzione all'immagine del
tempio che ritraduce una certezza nell'ambito del cammino di Israele: il tempio
è il luogo della presenza di Dio e il luogo del rivelarsi della sua gloria. Il tempio
è il luogo sacramentale nel quale Dio viene celebrato come il Signore di
Israele. Usando un'immagine molto cara al popolo ebraico, quando avviene la
dedicazione del tempio al tempo di Salomone nel primo libro dei Re, si dice che,
la gloria di Dio ha avvolto il tempio.
Una simile constatazione ci fa comprendere che tale visione del tempio
rappresenta la condizione dell'uomo la cui esistenza è un costante respirare il
respiro di Dio. Quando noi poniamo l'interrogativo a noi stessi - cosa voglia
dire essere discepoli - ecco la risposta: noi respiriamo la fedeltà di Dio! È
un criterio questo che dovremmo assumere in modo profondo. La chiesa è il luogo
nel quale noi gustiamo lo stare davanti al Signore, in un profondo silenzio
interiore dove noi intuiamo e sperimentiamo il darsi della bellezza del suo
cuore: stare davanti a Dio! È un criterio questo che non dovremmo mai
dimenticare. Tante volte noi pensiamo che lo stare davanti a Dio sia costituito
dal fare tante cose anche religiose o rituali; lo stare davanti a Dio è gustare
la sua fedeltà che è al di là dei nostri meriti o dei nostri demeriti, Lui è lì
presente!
E in questo contesto ecco ci appare la figura della vedova.
Avviando una semplice ricerca dell'esperienza scritturistica per comprendere la
profondità di tale visione, il volto della vedova rappresenta il linguaggio
usato dalla tradizione scritturistica che ritraduce l'esperienza dell'anima che
non può vivere senza il suo Signore. La vedova è una ricercatrice dell'Amato, è
la ricercatrice del volto del Signore, è la ricercatrice del senso della
salvezza. Se noi guardiamo attentamente anche solo le narrazioni evangeliche,
soprattutto dell'evangelista Luca, la vedova è una donna che attende la venuta
del suo Signore, e quindi un'esistenza di ricerca. La donna che va nel tempio è
la vedova che va dal suo Signore. E’ questa un'esperienza fondamentale nel
cammino della vita di un discepolo. Chi è il discepolo se non colui che non
solo vive nella nube del mistero, ma ricerca il volto di chi ama sul serio. La
bellezza di stare in chiesa è sentirsi ricreati da una meravigliosa presenza,
ecco perché il cristiano ama il silenzio per stare alla Presenza e ogni rito è
la musicalità di un cuore innamorato del Signore, dove si entra in una bellezza
che qualifica profondamente l'uomo. Chi celebra i divini misteri se non chi non
può vivere senza il suo Signore? E’ la gustazione di una identità. Nella storia
dell'arte basilicale scopriamo che San Bernardo attraverso l'architettura
cistercense diede un grande insegnamento: le pietre della basilica sono senza alcuna
decorazione perché l'anima non si distraesse mai dal cercare il volto di Dio!
Ecco perché il cristiano quando vuole definire veramente se stesso entra in
questo orizzonte.
L'acquisizione di tale verità ci porta ad intuire il significato
del terzo passaggio nella sottolineatura molto forte dell'evangelista: quella
donna dà tutto quello che aveva per vivere. Sicuramente ci troviamo di fronte a
un linguaggio parabolico e simbolico, non storico. Ma la parabolicità del
racconto è molto interessante: stando alla presenza di Dio, in un profondo
silenzio del cuore, la persona si riscopre capolavoro di Dio, si sente a tutta
Grazia, si sente un mistero d'amore che affascina. Il modo migliore per
esprimere una simile esperienza è il rendimento di grazie, restituire alla Fonte
di ogni dono se stessi. E’ la bellezza del rito dell'olocausto nel tempio di
Gerusalemme: alla presenza di Dio Israele brucia totalmente la vittima per
rendere grazie del dono della salvezza. E’una meravigliosa professione di fede.
Si è di fronte a quella libertà del cuore che costruisce continuamente la sua
storia in questo grande orizzonte di benevolenza divina. E’ molto bello come
nel rito bizantino non ci siano parole dette, c'è solo canto, colore,
musicalità, gustazione dell'Eterno, perché l'anima non deve essere disturbata
dalle parole umane, ma deve entrare in una empatia col mistero della gloria di
Dio. Questa è la bellezza dell'essere discepoli: stare alla Presenza,
desiderando il volto del Maestro in un atteggiamento di gratitudine. Allora il
cristiano che si ponesse in questo atteggiamento interiore cammina in costante novità
di vita mediante un processo inesauribile di conversione. E’ l'Eucaristia che
stiamo celebrando. Se guardiamo attentamente l'Eucarestia, ci accorgiamo come
essa sia stare davanti a Dio. Il linguaggio semplice, innamorato di tanto
silenzio nella divina liturgia, si comprende perché l'assemblea sta davanti a Dio.
E’ la bellezza del rendere grazie al Signore che ci dona questa grazia: stare
davanti a Lui, e mentre stiamo davanti a Lui noi cresciamo nel desiderio di Lui.
Quando noi ci accosteremo all'Eucaristia non faremo nient'altro che incarnare
questo desiderio del suo volto e della sua presenza. Attraverso il linguaggio
del Rendiamo grazie al Signore nostro
Dio è cosa buona e giusta, l'anima che vive abitualmente nella ricerca del
volto del Signore rende profondamente grazie e nella gratitudine gusta la
fecondità di Dio: il corpo e il sangue del Signore, divenendo il suo corpo
ecclesiale in un meraviglioso processo di glorificazione trinitaria. In un
simile atteggiamento noi ritroviamo la bellezza e la grandezza di essere noi
stessi. Credo che l'evangelista Marco costruendo questo racconto parabolico
voglia insegnarci quella che è la strada per essere veri discepoli: costruire
giorno per giorno la liturgia del cuore, di un cuore affascinato che canta la
gratitudine. E allora davanti alle tribolazioni della storia lo stare alla
presenza del Maestro con i fratelli nella fede, quale è l'assemblea liturgica,
rappresenta la bellezza fondamentale di ogni istante del nostro percorso
storico.
Viviamo così questa Eucaristia per poter essere veramente
rigenerati interiormente, ritrovare la bellezza di essere costruiti istante per
istante da un amore che va al di là di noi stessi. Viviamo così questa Eucaristia
nella semplicità, coscienti delle nostre radicali povertà, ma se il cuore
nell'Eucaristia si lascia prendere dal suo Signore canta la bellezza di appartenere
a Lui e, quando gli apparteniamo, siamo fecondi, siamo uomini ricchi di
speranza. E la speranza poi non delude perché
l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori: il corpo e il sangue
sacramentali del Signore infondono nelle nostre persone un costante desiderio
autenticità evangelica.
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