At 10,34a.37-43 Col 3,1-4 Gv 20,1-9
OMELIA
Il cammino quaresimale lentamente ci ha condotti a percepire
questa meravigliosa presenza del Risorto; un po’ alla volta il Risorto è
entrato nella nostra vita e oggi noi ne facciamo una grande esperienza, una
esperienza che nasce dal vissuto che noi stiamo effettivamente vivendo. Ma la
domanda che ci poniamo questa mattina è questa: qual è la condizione perché
possiamo veramente fare l’esperienza del Risorto? La soluzione ce la dà
l'evangelista Giovanni presentandoci quella figura misteriosa che ci aiuta a
entrare nel mistero della Risurrezione: il discepolo che Gesù amava.
Ed è interessante la sottolineatura che l'evangelista ci offre
presentandoci la sua figura: il discepolo che Gesù amava corre più veloce,
entra, vede e crede. Egli diventa la strada da percorrere per gustare il
misterioso evento della Risurrezione. Qual è lo sfondo esistenziale in base al quale
il discepolo che Gesù amava fa questa esperienza? Ci può essere di aiuto quello
che emerge dalla figura di Pietro che arriva in ritardo, che vede ed entra, ma
di lui non si dice che vede e crede perché per entrare nell'esperienza della
Risurrezione ci vuole uno spirito di vita interiore. Il discepolo è un
sacramento vivente di vista spirituale, di vivente imitazione del Maestro.
Pietro rappresenta il linguaggio esteriore della Chiesa, e non sono le cose o
l’attivismo che aiutano a credere, non sono le strutture che stimolano a porre
l'atto di fede perché potrebbero coltivare semplicemente le apparenze o
l’attivismo. La bellezza della fede, che è l’incarnare la gioia d’incontrare il
Risorto, è propria del discepolo che Gesù amava. Solo entrando nella sua
interiorità possiamo fare questa meravigliosa esperienza che appartiene al
vissuto, a qualcosa che determina la nostra esistenza.
È importante sottolineare che il discepolo che Gesù amava ci
appare nell'ultima cena, per cui potremmo veramente affermare che il mistero
eucaristico è l'esperienza quotidiana del vissuto del Risorto. In tale contesto
sacramentale qual è l'atteggiamento del discepolo che Gesù amava? In esso
troviamo l'itinerario per poter veramente conoscere Gesù: reclinò il capo sul
petto di Gesù. Veniamo di riflesso
stimolati ad approfondirne il valore dinamico.
In una lettura immediata possiamo cogliere due aspetti di questo
atteggiamento, che ci permette di entrare nella vita di Gesù cogliendone la
fonte per accedere al mistero di Risurrezione. Innanzitutto intuiamo la
profondità spirituale del contatto con il petto di Gesù. Il discepolo che Gesù
amava vive il silenzio della reciprocità, i battiti del cuore del Maestro
entrano nell'esperienza del discepolo: è quella profonda vita interiore che
qualifica la relazione. Il discepolo che Gesù amava è un uomo interiore, che si
è allontanato dai rumori della storia, è entrato nella intimità del suo Signore
e ne coglie tutta la vitalità, una vitalità che nel discorso della lavanda dei
piedi è stato molto chiaro: condividere e vivere l'amore fino al massimo di
dedizione, un amore superiore ad ogni tradimento, un amore che rifà la creatura
umana. In tale intensità di vita interiore, il discepolo che Gesù amava vive il
principio di fondo dell'ultima cena, come ce lo presenta l’evangelista
Giovanni: Prima della festa di Pasqua
Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre,
dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Siamo di
fronte ad amore di dedizione assoluta: è la bellezza di una intimità dove il
discepolo impara ad amare in modo assoluto, sullo stile stesso di Gesù. Ecco
perché il discepolo che Gesù amava vive questa interiorità, che è la condizione
per cogliere la profondità del mistero. Un mistero più grande del tradimento.
E’ molto bello come l'evangelista Giovanni narrando l'ultima cena per ben tre
volte parla del tradimento di Giuda nei confronti di Gesù, ma l'amore è più
grande dei fallimenti. Gesù ama fino in fondo e dona se stesso a tutti, perché
tutti gli uomini sono destinatari della sua assoluta oblazione di amore. Di
riflesso, gustiamo la bellezza di questo discepolo che impara il senso della
lavanda dei piedi. Gesù regala la sua personalità all'uomo perché l'uomo sia
veramente se stesso. Quindi il discepolo che Gesù amava è un discepolo che si
lascia invadere dalla personalità del Maestro, la sua vita interiore è il
Maestro. In simile condizione esistenziale ecco che egli corre più veloce
perché il Maestro è diventato il mistero della sua vita. Il Maestro è diventato
il suo vissuto, il Maestro ha così penetrato in modo profondo la sua esistenza
che vede i segni, gusta il mistero e lo contempla: entrò […] e vide e credette.
La contemplazione dell’evento della Risurrezione rappresenta il
sacramento esperienziale di una vita interiore che ci qualifica nel più
profondo, che ci aiuta ad essere quegli uomini che hanno come criterio la
dedizione incondizionata del Cristo all'uomo perché l'uomo sia se stesso. E’
quello che Paolo ci ha regalato in modo favoloso nella seconda lettura quando
ci ha detto che la nostra vita è ormai
nascosta in Cristo. Se vogliamo veramente avere la gioia della Risurrezione
dobbiamo essere uomini interiori. Il rumore che ci circonda è una distrazione
continua, le parole che tante volte ci raggiungono ci creano uno spirito di
confusione, il correre tante volte - anche nelle stesse realtà ecclesiastiche -
ci possono fare dimenticare il Maestro. Nel gusto del silenzio profondamente
amato e interiorizzato possiamo diventare il discepolo che Gesù amava, che
significa l’immagine viva della vocazione presente in ciascun di noi. Ecco
perché Giovanni volendo darci un'immagine ha costruito questo misterioso e
meraviglioso personaggio, per dirci il grande ideale che deve animare il nostro
vissuto: l'intimità con Gesù, l'importanza di amare la gioia d’essere uomini e
la valorizzazione del nostro cuore, un cuore abitato, alimentato, trasfigurato
dalla presenza del Divin maestro. Se noi vogliamo entrare in questa visione il
fatto che l'evangelista Giovanni ci abbia presentato il discepolo che Gesù
amava nel mistero eucaristico è perché l'Eucaristia è questa scuola dove il
Maestro ci insegna ad amare fino in fondo, ad avere una grande libertà
interiore davanti alla storia, per regalare all'uomo la bellezza della sua
umanità. Ecco la gioia della Pasqua! La Risurrezione è una vita accolta,
vissuta, condivisa, in modo che l'esperienza di Gesù divenga veramente vita della
nostra vita.
Viviamo questa esperienza in modo che anche attraverso i segni che
la Chiesa ci offre possiamo sempre dire: sto
vedendo il Risorto! Come il
discepolo che Gesù amava, anche di noi si potrebbe dire: entrò… e vide e credette. Intuiamo allora che la nostra stessa vita
è il Signore!
Anche noi in questa Eucaristia viviamo questa esperienza con
coraggio e con serenità in modo che possiamo dire: Gesù è veramente risorto non perché ce l'hanno detto, ma perché abbiamo
gustato, attraverso i testimoni e la celebrazione ecclesiale, la sua presenza.
E l'Eucaristia è la presenza che trasfigura la nostra vita facendola risorgere
continuamente. È la esultanza propria delle nostre persone che hanno l’ebbrezza
d’essere in modo teologale il discepolo che Gesù amava.
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