At 15,1-2.22-29 Ap 21,10-14.22-23 Gv 14,23-29
Gesù ha lasciato ai suoi discepoli un grande testamento, che
l’evangelista Giovanni ha così espresso: Se
uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui
e prenderemo dimora presso di lui. Tale
affermazione sintetizza il testamento che Gesù ci ha lasciato. Il
contenuto del testamento è la sua persona che continua a vivere nella chiesa e in
ciascuno di noi. È la grande verità che Gesù ci regala questa mattina perché
noi possiamo diventare la sua presenza nella profondità del nostro modo di
essere, di vivere e di comportarci.
E allora tre aspetti determinano questo testamento:
Se uno mi ama,
osserverà la mia
parola e il Padre mio lo amerà
e noi verremo a
lui e prenderemo dimora presso di lui.
Noi siamo il luogo dell'incarnazione del Padre, del Figlio nello
Spirito Santo. Ma il primo elemento è Se
uno mi ama dove questa espressione la dobbiamo interpretare alla luce di
tutto il discorso dell'ultima cena di Giovanni. Così ci vuol dire Gesù: Se uno
vive la mia esistenza, la mia vicenda storica, se uno ha come criterio
fondamentale della sua persona la mia interiorità, quel “amare” è nient'altro
che entrare nella relazione profonda che caratterizza il rapporto meraviglioso
tra il Padre e il Figlio dove questo rapporto padre e figlio è un amore
inesauribile che abbraccia il mondo intero.
Se noi guardiamo la storia dell'uomo essa è tutta un atto della
grandiosa generosità trinitaria. Ecco perché il cristiano nel cammino della sua
vita è chiamato a prendere coscienza del grande mistero che avvolge la sua
storia: respiriamo il divino, respiriamo la trascendenza, respiriamo una
gratuità che va al di là di ogni nostro merito: siamo nella libertà creatrice
di Dio Padre, Figlio e Spirito per essere uomini autentici. Dovremmo tenere
sempre presente questo primo elemento Se
uno mi ama, se uno vive il mistero del mio rapporto con il Padre e lo
Spirito Santo, vive la gustazione di una presenza.
In tale luce questa presenza diventa osservare i suoi comandamenti
e immediatamente risuona alle nostre orecchie un'altra espressione del testamento
di Gesù nell'ultima cena Come il Padre
ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore… come io ho osservato i comandamenti del
Padre mio e rimango nel suo amore. Qui è chiaro che osservare i
comandamenti è gustare una presenza con il senso del rendimento di grazie.
Noi spesse volte pensiamo che osservare i comandamenti sia
eseguire.
Il mistero nel quale noi siamo inseriti è molto più profondo.
Quando l'uomo si sente collocato per pura grazia nella vita di Dio, ed essendo
nella vita di Dio per benevolenza divina, l'uomo nello stupore rende grazie. Osservare
i comandamenti è cantare la propria gratitudine. Ecco perché nella prima
lettera di Giovanni si dice e i miei
comandamenti non sono gravosi perché l'osservare i comandamenti è mettere
in luce la riconoscenza più profonda presente nel cuore dell'uomo davanti a
questa gratuità amorosa di Dio. Infatti, come noi riusciamo a cogliere la
bellezza dell'essere amati se non incarnando nell’ ordinario la presenza del
Divino. Vivere è il luogo per prendere coscienza delle meraviglie del Signore,
è il primato del vissuto. Noi qualche volta abbiamo una mentalità molto
illuministica e pensiamo che la verità sia l'esperienza di un “conoscere
intellettuale”: noi conosciamo vivendo. Nel momento in cui noi viviamo, in quel
momento impariamo a conoscere. Gesù dicendo: “Se uno mi ama osserverà i miei
comandamenti”, voleva sottolineare che se uno entra nella profondità del mio
mistero amoroso e vivrà questa esperienza, allora osserverà il comandamento. La
conseguenza è logica: E il Padre mio lo
amerà perché la bellezza dell'essere del mistero di Dio è entrare nella
grandezza del Padre. Sicuramente vivere questa mentalità nella cultura di oggi
è un grosso punto di domanda, perché questo senso della trascendenza noi lo
stiamo lentamente perdendo, non respiriamo più la bellezza di un divino che ci
avvolge e che diventa il respiro del nostro respiro. Ecco la bellezza! Se uno
mi ama osserverà, canterà la gratitudine, la bellezza di vivere la vita di Dio.
Ricordiamo sempre che noi siamo immagine di Dio, la vita divina è il senso
della nostra persona, è in certo qual modo la straordinarietà della nostra
storia.
Se noi sappiamo cogliere questi primi due aspetti, il terzo è
eccezionale: il Padre mio lo amerà e noi
verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. È molto bello intuire come la nostra esistenza sia legata allo
spazio e al tempo, e Gesù utilizza tali categorie: verremo presso di lui e
abiteremo, cioè nel tempo e nello spazio, è l'accadimento di Dio in ogni istante
raggiunto da Dio che si incarna. Ogni istante è l'incarnazione del Dio che ama,
ma il tempo si colloca nello spazio, verremo
ad abitare presso di lui: siamo il sacramento della presenza Divina, è la
eccezionalità dell'esperienza della fede che è la gustazione di questa inabitazione.
Come l'uomo, diceva Kant, vive di spazio e di tempo anche il credente vive di
spazio e di tempo, oggi siamo nell'accadimento di Dio. Tanto è vero che quando
a volte si parla di Gesù si parla di Gesù come colui che accade, che viene, che
entra nella nostra storia e noi che viviamo nel tempo veniamo inebriati da
questa meravigliosa certezza: siamo il suo testamento.
Se questi tre aspetti diventano problematici per ciascuno di noi,
abbiamo la certezza della presenza dello Spirito Santo Paraclito, il difensore,
colui che difende i diritti di Gesù in noi e, in certo qual modo, il dono dello
Spirito è nient'altro che il dono di colui che fa sì che il Cristo e il Padre
siano vivi, attuali, creativi in ciascuno di noi. È la bellezza della nostra
esistenza: siamo il testamento trinitario. Se noi riuscissimo anche solo in
parte a cogliere la bellezza di questo mistero, l'essere testamento di Gesù è
una cosa molto semplice: è gustare quello che si ama, percepire nella
profondità del nostro cuore una grandezza che ci avvolge e che determina il
nostro istante, siamo sacramento della Trinità vivente, dove ciò che conta è
prendere coscienza del vissuto di sentirci amati, di rendere grazie nella docilità
alla creatività dello Spirito Santo. Ecco il testamento! Sicuramente entrare in
questo orizzonte è estremamente arduo per l'uomo di oggi, legato a quello che fa,
a quello che compie, ai risultati che ottiene; dovremmo imparare a gustare
l'istante in questo clima trinitario, dove la bellezza della nostra vita è
cantare con stupore la nostra gratitudine e quando noi entriamo in questa
bellezza la vita diventa diversa: è questione di oculistica interiore. Impariamo
a percepire nel gusto la divina Trinità presente, amare è la vita trinitaria
vissuta e condivisa e la speranza della nostra storia.
Tutto questo ragionamento non è una ipotesi di lavoro, la
celebrazione eucaristica è lasciarci amare dalla Trinità, l’Eucarestia è la
vita divina che si espande nel rendimento di grazie davanti alle meraviglie del
Signore, è quella convivialità che ci trasfigura nel profondo della nostra
persona. L'Eucaristia è: Oggi Dio viene, abita in noi e ci rende persone
innamorate della divina presenza.
Entriamo in questo mistero con tanta semplicità, è questione solo
di un momento di riflessione davanti al dramma del correre che ci fa dimenticare
la bellezza per cogliere questa grandezza divina che è il senso portante della
nostra storia. Entriamo in questo mistero, chiediamo allo Spirito Santo che ci
tenga sempre svegli per queste meravigliose verità per cui possiamo respirare
la bellezza divina come la speranza nel nostro cammino quotidiano al di là
delle ostilità o delle solitudini che la vita tante volte presenta.
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