27 marzo 2017

IV DOMENICA DI QUARESIMA - Anno A -

1 Sam 16,1.4.6-7.10-13 Ef 5,8-14      Gv 9,1-41               
OMELIA
Il fascino di Gesù ci accompagna in questo tempo quaresimale perché possiamo ritrovare la bellezza d'essere discepoli. Dopo aver desiderato quell'acqua che zampilla per la vita eterna, oggi Gesù ci dice che dall'esperienza dell'acqua dobbiamo passare all'esperienza della luce, vivendo la bellezza del salmo “Come una cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima anela a te, o Dio”.

L'uomo assetato desidera la luce, il desiderio brama il compimento. Riusciamo a comprendere l'espressione che Paolo ha usato per definire il cristiano come “figlio della luce”. La bellezza d'essere discepoli si incarna nell' entrare nella luminosità di Cristo. Questo grande orizzonte che illumina i nostri passi e ci dà il desiderio di una trasfigurazione esistenziale passa attraverso l'itinerario cui è stato sottoposto il cieco nato dove, in quella guarigione, c'è tutto il contesto e la modalità per diventare “figli della luce” e quindi per giungere a una feconda professione di fede.

Se guardiamo attentamente il momento in cui Gesù realizza quel miracolo, ci accorgiamo che il grande protagonista è Lui; è lui che pone l'interrogativo ai discepoli, è lui che pone il gesto nei confronti del cieco nato, è lui che lo invia, è lui che lo guarisce.

La bellezza di essere nella luce è di essere oggetto della libera e assoluta gratuità di Dio dove l'uomo deve semplicemente entrare in stato di obbedienza. È quello che il salmo ci insegna: "Alla tua luce vediamo la luce".

Il cieco nato è davanti a Gesù e Gesù assume un comportamento che, in modo immediato, può sembrare molto strano: quell’uomo è cieco e attraverso quell'impasto lo rende ancora più cieco.

La bellezza del cammino della fede è entrare nel mistero di Dio attraverso la disponibilità del cuore a lasciar operare Dio: è il coraggio d'accedere al buio luminoso della scelta credente. Ci si ritrova ancora nel salmo: “Come una cerva anela ai corsi d'acqua così l'anima mia anela a te, o Dio”. È Dio che genera la sete, è Dio che opera il miracolo.

Il buio nel quale il cieco nato entra, essendo un buio che egli vive nell'obbedienza, diventa un meraviglioso mistero di luce.

È molto bello come l'evangelista interpreti il nome della piscina “Siloe” con quella espressione “Inviato”. Quando sentiamo quella traduzione “inviato”, immedia-tamente andiamo a Gesù: “sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo”. Gesù è il punto di partenza, è colui che opera il miracolo, Gesù è colui che realizza il tutto ponendo il cieco nato nella sua persona, in lui inviato dal Padre. Il cieco nato nel farsi lavare nella piscina viene lavato da Gesù, entra nella storia di Gesù. Noi tante volte, infatti, ci chiediamo come quella sete che Gesù ha messo in noi possa diventare un intenso desiderio di luce. Gesù attraverso questo miracolo ci dice una cosa molto semplice: davanti alla tua storia non portare i tanti interrogativi per essere immediatamente risolti, come se li sono posti i discepoli nella domanda rivolta a Gesù “Ha peccato lui o i suoi genitori perché è nato cieco?”

Gesù ci invita a entrare nella storia di Dio. Davanti al buio della vita accostiamoci a quel Dio che, nella storia, si rivela meraviglioso. I gesti di Gesù sono rivelativi della misteriosa gloria di Dio. Essere figli della luce è essere la vivente storia di Dio.

Infatti, se guardiamo attentamente l'esperienza della Chiesa, ci accorgiamo che dall'acqua battesimale si giunge alla luce ma cos'è quell'acqua battesimale dalla quale si giunge poi alla luce, se non il segno della incarnazione della storia di Dio? Dio ha creato il mondo dall'acqua, nell'acqua del diluvio ha distrutto l'uomo vecchio, ha liberato dall'Egitto attraverso l'acqua del Mar Rosso.  È quell'acqua in cui Gesù è stato battezzato al Giordano, è quell'acqua uscita dal costato di Cristo. Chi entra nel mistero dell'acqua si accosta alla luce e in quell'acqua diventa la storia di Dio. Il cieco nato entrando in quella storia di Dio espressa nell'essersi immerso nella piscina ha acquistato la luce. È il metodo che Gesù meravigliosamente ci regala questa mattina.

Davanti agli interrogativi della vita, apriamo il cuore alla storia di Dio, guardiamo la persona di Gesù e in lui troveremo la luce della vita. In certo qual modo davanti agli interrogativi della storia dobbiamo riscoprire la bellezza oculistica del cuore che ci permette di cogliere la bellezza del darsi di Dio.

Allora il cieco nato, giungendo a questa esperienza che lo pone nella condizione di vedere, si pone, a sua volta, la grossa domanda: "Come io posso credere?" Perché una cosa è essere il luogo delle meraviglie, una cosa è porre l'atto di fede e l'atto di fede passa attraverso un itinerario che l'evangelista Giovanni ci ha trattato nei tre quadretti:

o   il cieco nato deve superare il dramma della legge poiché Gesù ha lavorato di sabato,

o   il cieco nato deve passare attraverso la solitudine affettiva poiché i suoi genitori pensano più alla paura dei farisei che a riconoscere le meraviglie operate nel figlio,  

o   il cieco nato deve affrontare la prepotenza del potere, i farisei.

È un itinerario attraverso il quale le meraviglie di Dio lentamente vengono percepite.

La storia evangelica è una meravigliosa pedagogia che ci viene offerta per giungere a quel dialogo meraviglioso nel quale si sintetizza la bellezza della fede, dove il protagonista è ancora Gesù. Gesù ha compiuto il grande miracolo collocando il cieco nato nell'obbedienza; il cieco nato attraverso la storia -lentamente- entra in una solitudine, ma in questa solitudine è incontrato da Gesù… è quel meraviglioso dialogo tra un cieco nato che desidera conoscere chi lo abbia guarito e Gesù, che si rivela a lui. Ritorna di nuovo la sete del senso della vita.

Gesù non solo ha fatto meraviglie in quell'uomo ma Gesù va a cercare quell'uomo perché se gli uomini l’hanno collocato nella solitudine Gesù gli è accanto. E nel momento che gli è accanto nasce la fiducia: "chi è colui perché io possa credere in lui? e Gesù dice: Sono io!”

È molto bello come l'atteggiamento del cieco nato ritraduca la bellezza della fede, la bellezza di diventare figli della luce. Ci riempie di ammirazione l'espressione con la quale il cieco nato dice in modo veramente favoloso "Credo Signore!" E si prostrò dinanzi a lui. Qui siamo di fronte ad una parola legata a un gesto. In quel "credo!" il cieco nato afferma "Sei il senso della mia vita, sei colui senza del quale non posso vivere" e poiché la tentazione poteva essere semplicemente una forma orale, all'espressione “Credo, Signore!” l'evangelista aggiunge: "si prostrò".

Qui appare il valore della sua corporeità che entra nella signoria di Dio.

Essere nella luce vuol dire essere avvolti da una storia che diventa la nostra storia, vivere nella persona del grande maestro Gesù. Credo che anche noi dovremmo in questo itinerario di fede ritrovare il nostro cammino. Chiamati a essere la vivente storia di Dio che lentamente ci allontana da tante cose, siamo collocati nella solitudine di Dio e le meraviglie del Signore diventano il senso della nostra storia.

Guardiamo a Gesù!

Ecco perché è sempre bello il salmo con cui abbiamo cominciato: “Come una cerva anela ai corsi d'acqua, così la mia anima ha sete di te, o Dio!” Qui scopriamo la dinamicità di quel: Credo! Ecco la sete dissetata.

Quando noi entriamo in questo itinerario la vita diventa completamente diversa.

Perciò in questa eucaristia entriamo nella storia di Dio, nel momento in cui ci accosteremo a quel pane, a quel vino, entreremo nella storia di Dio e in questa storia di Dio passeremo dalle tenebre alla luce, dal peccato alla grazia, dalla schiavitù alla libertà e allora la nostra settimana sarà dire, attraverso la serenità dell'istante: credo Signore! E allora illuminati dal cuore, la mente penserà secondo Dio, saremo uomini nuovi e, guidati dallo Spirito cresceremo giorno per giorno in novità di vita.
 
 
 
 
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