LECTIO



[4] 16 DICEMBRE 2019
LECTIO DIVINA ALLA COMUNITA’ CRISTIANA DI SAN PIO X A BERGAMO
La condivisione della fedeltà divina: la visitazione
L’incontro della scorsa settimana ci ha introdotto nella personalità di Maria, che rivela il mistero di Dio, nel versetto con il quale si conclude l’annunciazione: - “Ecco la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”. E l'angelo partì da lei. - Riprendiamo quel dialogo finale che esprime la grandezza di Maria.
Innanzitutto, “Ecco”, “Eccomi”, la parola chiave di tutta la storia della salvezza con la quale Maria anticipa nella sua vita l’«Eccomi» di Gesù.  Ricordiamo sempre il capitolo decimo della Lettera agli Ebrei, che cita Il salmo 39: “Sacrificio e offerta non hai voluto, ecco io vengo Signore per fare la tua volontà”. Maria ha anticipato l’«Eccomi» di Gesù, come abbiamo intuito nell'orazione del giorno dell'Immacolata, perché il dono di Maria Immacolata nasce dalla Pasqua del Figlio: in previsione della sua morte fu liberata da ogni peccato. Maria è “Eccomi”, perché l’uomo, nel progetto di Dio, è “Eccomi”. È una verità fondamentale nel cammino della storia dell’umanità.
Servire
Perché “Eccomi, sono la serva del Signore”? Quando leggiamo il Vangelo di Luca e sentiamo la parola “servo”, occorre tradurre “colui che ascolta”. Noi con il termine “servire” intendiamo dire “fare tante cose”, mentre il servizio secondo Luca è ascoltare: “Eccomi, sono l'ascolto del tuo mistero!”. La beatitudine della Madonna è stata infatti: “Beata colei che ascolta la parola di Dio e la mette in pratica”. Il vero servizio è ascoltare, io ascolto perché sono proprietà di Dio.
Obbedire non è fare, il senso vero dell’obbedire è la gratitudine alla fonte della propria identità. Il quarto comandamento prescrive di obbedire ai genitori, perché l’obbedienza è l'espressione della gratitudine per il dono della vita. “Eccomi” perciò manifesta la vera vita interiore: sono tutto di Dio, sono tutto capolavoro di Dio, quindi ascolto, nasce in me la gratitudine ed “Eccomi”. La conclusione del Vangelo dell'annunciazione ritraduce la vera armonia che con Maria entra nella storia: “Eccomi”.
Partendo questa visione, ci accorgiamo che Maria vive in se stessa il mistero di Gesù. Lo osserviamo attraverso una sfaccettatura molto interessante. Qualche volta pensiamo che nell'annunciazione Maria abbia detto “Ecco” è il Verbo si sia incarnato Se entriamo in profondità, invece, tutta la vita di Maria è stata “Eccomi”, secondo un principio molto semplice: un genitore partorisce giorno per giorno i propri figli. Davanti alle vicende di suo Figlio, Maria ha sempre detto “Eccomi”, a partire dall’annuncio dell’angelo e per tutto il percorso successivo.
Ricordiamo, a conclusione dei Vangeli dell'infanzia, l'episodio di Gesù, che a dodici anni si perde. Maria e Giuseppe finalmente lo trovano nel tempio: - “Figlio, perché ci hai fatto questo? Tuo padre ed io dolenti ti cercavamo”. “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo fare le cose che piacciono al Padre mio?” Essi non compresero. Maria meditava intensamente nel suo cuore…” -. Meditare è partorire continuamente. “E il bambino scese con loro a Nazareth ed era loro sottomesso. Il bambino cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini”. Maria è la donna che obbedisce continuamente a Dio e alla storia del Figlio. La sua bellezza è il suo silenzio davanti al mistero del Figlio. Ecco perché io dico che quando una donna concepisce un figlio, in quel momento incomincia a adorarlo, domandandosi quale sia il mistero che è in quel dono la Trinità le dà. Idealmente ogni mamma è in ginocchio davanti al figlio, perché, in silenzio, vuol percepire la profondità del dono di Dio. La conclusione del Vangelo dell'annunciazione ha una rifrazione molto interessante per noi. Dicevamo la volta scorsa che il testo ha tre piani di lettura: Maria, la Chiesa e il cristiano. Questo ci dice che la vita è tutta ascolto. Cito sempre il profeta Isaia: “Fin dal mattino rende attento il mio orecchio, perché io ascolti come un iniziato”.
Davanti a questo mistero, metteremo a tema l’atteggiamento di Maria.
Luca 1, 39-46
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
Allora Maria disse: “L'anima mia magnifica il Signore...”.
In fretta
Una prima osservazione è necessaria davanti a questo mistero: Maria va “in fretta”. Qualche volta mi sono chiesto come mai, dopo quel grande evento, sia andata in fretta verso la Giudea. Nella nostra struttura esistenziale, ci saremmo soffermati un momento, avremmo riflettuto sul mistero che Dio ci aveva regalato e avremmo detto: “Grazie Signore, mi hai fatto un capolavoro!” No, Maria in fretta va, secondo me per un principio: i doni di Dio si conoscono regalandoli, quando si entra a contatto con la storia, con la fraternità, con la vita di comunione. Quell’ “in fretta” significa che Maria è depositaria di un dono che è per gli altri. L'incontro dell’annunciazione avviene in Galilea, in fretta poi Maria va in Giudea.
Che cos'è la Giudea? Gerusalemme. In certo qual modo Maria, che è la fedeltà di Dio, va a chi attende la fedeltà di Dio, Elisabetta. Dicevamo l'altra volta come l'annunciazione sia la presentazione del volto di Gesù a Israele, che lo sta aspettando, e che, per natura sua, è Gerusalemme. Maria quindi va a Gerusalemme, per dire a Israele: “Dio è fedele”. Il desiderio più profondo all'interno della storia di Maria è dire a Israele: “Attraverso la mia persona, attraverso il mistero nel quale sono stata introdotta, ecco la fedeltà di Dio si realizza!” È qualcosa di molto bello: regalare il mistero! La visitazione è condividere il mistero.
Spesse volte, in una lettura popolare, “in fretta” è stato interpretato come “andiamo a dare un aiuto a Elisabetta che, essendo avanti negli anni, ha bisogno di assistenza”. In questo modo applichiamo la nostra mentalità ad una realtà di 2000 anni fa, completamente diversa da come potremmo immaginare, perché i legami all’interno del clan, del gruppo di appartenenza, erano molto forti, non c'era il solipsismo della cultura contemporanea. “In fretta” non è pertanto da intendersi come risposta a un bisogno. Lo si capisce chiaramente dal particolare con il quale si conclude il Magnificat: “Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua”. Praticamente 6 mesi + 3 mesi: nel momento in cui Elisabetta dà alla luce il bambino, Maria torna a casa?
Il canto
Il senso è un altro, ed è molto bello. Che cosa ha cantato Maria nel Magnificat? A livello letterario il Magnificat è come il Cantico del mare, al capitolo 15 dell’Esodo. Passato il Mar Rosso, Mosè canta il Cantico del mare. Al termine del passaggio dalla Galilea alla Giudea, Maria canta il Magnificat. È il canto della libertà. È la bellezza di condividere le meraviglie di Dio. Questo atteggiamento va applicato anche alla nostra esistenza: le meraviglie che Dio ci offre continuamente devono esplodere, regalarsi. Faccio un esempio molto semplice: a Pentecoste i 120 escono dal Cenacolo, cantando le meraviglie di Dio.
Non avete mai pensato che cos'è il sagrato di una chiesa? Quando si esce dalla chiesa, sul sagrato si cantano le meraviglie di Dio. Come entrando in chiesa, nel silenzio, ci si accosta al mistero, così alla fine si esce, cantando Il mistero. Le persone che ci vedono uscire dalla celebrazione dovrebbero domandarsi che cosa sia accaduto di meraviglioso in quel luogo, se, come la Madonna, “in fretta” proclamassimo le meraviglie del Signore. La testimonianza, che Maria, e di riflesso la Chiesa dà, è l'esuberanza dell’entusiasmo, l’esuberanza di una pienezza. Noi qualche volta andiamo a incontrare il Signore soltanto per chiedergli qualche cosa, “ti do, perché tu mi dia”. Noi andiamo invece a gustare, come Maria ed Elisabetta, la fedeltà di Dio, per uscire cantando.
Il saluto
Ora entriamo nel dialogo profondo tra Maria ed Elisabetta. Ci siamo accorti che Maria non ha parlato. -Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.  Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne!” -.
Nasce immediata la domanda: come poteva Elisabetta fare un atto di fede così grande nei confronti di Maria? Maria non le aveva narrato niente. È l’incontro. Entriamo allora nella ricchezza del saluto. Che cosa significa salutare? Noi viviamo in modo molto superficiale i linguaggi della vita. Dovremmo fermarci e interrogarci sul senso dei gesti che poniamo. Mi riferisco ai gesti più ordinari. Cerchiamo i gesti straordinari e perdiamo il senso dei gesti ordinari. Che cosa significa salutare, se non regalare se stessi all'altro? Il Vangelo dice che, entrando in casa di Zaccaria, Maria salutò Elisabetta: le regalò il suo mistero.
Vi faccio un esempio che dovremmo vivere nella liturgia. La celebrazione eucaristica inizia con il saluto del presbitero, che, con le mani aperte, dice: “Il Signore sia con voi”. Noi gli rispondiamo “E con il tuo Spirito”. È il Risorto, che davanti a noi spalanca il suo mistero d'amore. Ci lasciamo avvolgere da questo mistero di amore e diciamo: “Lo Spirito che è in te, Gesù, è anche dentro di me. Viviamo la comunione con lo stesso mistero.”, perché salutare è regalare la propria identità all'altro. Qualche volta per noi il saluto è un gesto formale, abitudinario, privo del calore di una vita che viene regalata all'altro.
Il saluto di Maria dice invece la fedeltà di Dio, che si regala a chi sta aspettando la salvezza, l’Antico Testamento, Elisabetta. È un incrocio tra la gratuità che regala e una gratitudine che accoglie. Nell'incontro fra le due mamme c'è l'incontro dei due figli, perché in essi c'è tutta la storia di Dio: Maria- Gesù, Elisabetta- il Battista. Il Battista accoglie il saluto di Gesù e gli risponde. Per questa ragione, nelle narrazioni evangeliche dell’avvento, la figura del Battista è importante: esprime la persona di chi è oggetto di amore e ci prepara a Gesù. Egli ci richiama con le sue tre caratteristiche: genera la sete di Gesù, presenta Gesù e si ritira, perché gli uomini gustino Gesù.
L’attesa e il compimento
Elisabetta fa un’autentica professione di fede. “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo. A che devo che la madre del mio Signore venga a me?”. È la professione di fede che caratterizza la bellezza di Maria e si ritraduce nel linguaggio di Elisabetta, che è la donna dell'attesa, davanti a Maria che ne è il compimento. Maria dà pienezza all’attendere. Ecco perché noi ci accorgiamo, nella successione delle letture della Divina liturgia, che, chi non conosce Giovanni, chi non diventa suo discepolo, non può diventare discepolo di Gesù.
Quando si dice che sono cugini, si indica il legame che li unisce.  Giovanni genera l’attesa, Gesù è il compimento dell'attesa e questo secondo un principio che è nell’ordine della storia della salvezza, ma anche della nostra struttura psicologica, per cui l'incontro con l’altro è tanto ricco, quanto è bello nell'attesa.  Quando eravamo ragazzini, per noi aspettare Santa Lucia era dormire. Santa Lucia era una cosa improvvisa, che nessuno sapeva. Oggi invece è contrattuale, perché i bambini sanno quello che arriverà e non c'è più lo stupore.
Per il cristiano, la bellezza dell'attesa è creare il terreno per accogliere la grandezza della fedeltà di Dio. Lo stupore non è davanti a ciò che conosciamo, ma davanti a qualcosa di insperato. Noi abbiamo pianificato tutto e abbiamo perso una delle coordinate fondamentali dell'esistenza: lo stupore dell'attesa. È interessante rilevare che nel Vangelo Gesù generava stupore. Gli unici a non provare stupore erano gli scribi e i farisei, perché al cuore puro dei discepoli contrapponevano il loro cuore duro. Ecco perché questo incontro è sicuramente un'esperienza molto bella: c'è questa comunione- condivisione tra chi attende e chi dà compimento.
Sarebbe interessante chiedersi che cosa stiamo attendendo in questo tempo di avvento. La bellezza è attendendo la creatività di Dio nei confronti della persona.
Il primato dell’invisibile
Maria regala il saluto, Elisabetta lo accoglie e diventa feconda nella professione di fede: “Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore”. C’è uno stretto rapporto tra “Eccomi sono la serva del Signore, si faccia di me Secondo la tua parola” e “Beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore”, perché il discorso della fede si costruisce sull'accoglienza della Parola: “Così dice il Signore!”. È quello che oggi chiamiamo il primato dell'invisibile. Tra Maria e Elisabetta si afferma il primato dell'invisibile che le unisce e porta Elisabetta alla professione di fede. Questo è il senso della visitazione: una condivisione di cuori, una condivisione di attesa-compimento, una condivisione delle meraviglie di Dio. Il risultato è: “L’anima mia magnifica il Signore, il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”.  Nella liturgia copta, egiziana, la prima parola con la quale si inizia la giornata è Il canto del Magnificat, perché l’uomo, usando l'immagine del salmo, di notte attende l’alba, attende l'aurora, attende l’incontro con il Signore risorto, per cantare la propria gratitudine: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”.
Proviamo a chiederci che cosa significa “magnifica il Signore”: è l'espressione della gioia di fronte a qualcosa di non conosciuto. Ciò che manca alla vita del cristiano è lo stupore, la bellezza di Dio. Oggi si sta recuperando questa dimensione, ritenuta sostanziale per riavvicinare l'uomo alla fede. E la bellezza dello stupore genera la bontà del cuore. La bontà è uno stupore che ha permeato talmente le nostre persone, che diventiamo bontà. Qualche volta noi non riusciamo ad essere bontà, perché diventiamo noi protagonisti. La bellezza è un fascino che, penetrando nel cuore dell'uomo, gli dice: “Sii bontà!”. La bontà è la bellezza in azione. Dovremmo imparare a cantare: “L'anima mia magnifica il Signore:”.
Dobbiamo fare una sottolineatura importante. Come facciamo a conoscere Gesù, che non conosceremo mai? Come facciamo ad entrare in quella comunione tra Maria ed Elisabetta, che per me è l’eucaristia? Ci è possibile, perché, quando l'uomo entra in una fase di stupore, ha già superato il limite dell'intelligenza e il cuore diventa canto. Allora vediamo l'infinito. Io uso questa immagine: quando si sta sulla riva del mare calmo, in quel momento lo sfondo è l'infinito e davanti al bello non si ragiona, ma si canta, magari non verbalmente, ma sempre cardiacamente, perché il bello conquista, il bello affascina, Il bello attira. È l'esperienza della fede.
Quante volte vogliamo entrare nella bellezza della fede ragionando, con il solo risultato di consumare le cellule cerebrali e di ritrovarci esauriti. La bellezza della vita è cantare e quando l'uomo canta si rigenera esistenzialmente. Mi dicevano che il cardinale Martini, tra una conferenza e l'altra, per ritrovare l'armonia della sua persona, metteva le cuffie e ascoltava la musica classica, che ha la capacità di portare l'uomo nell'armonia. Quando l'uomo è nell'armonia, incomincia a cantare: “L’anima mia magnifica il Signore”, “Sei straordinario, Signore!”. Secondo me, quando moriremo, faremo un’operazione di tipo oftalmico e vedremo la gloria di Dio. Diremo: “Come sei bello Gesù, non credevo fossi così bello!”. E lo diremo per tutta l'eternità. Dobbiamo entrare in questo stupore, per poter vedere Maria che, con Elisabetta, canta le meraviglie di Dio.
Una vita abitata da Dio
È importante considerare la seconda parte del versetto: “e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore”. Abbiamo celebrato la festa dell'Immacolata, la festa umanamente incomprensibile della maternità verginale, ma Maria “esulta in Dio mio salvatore”, abita nelle meraviglie del Signore. Ha coscienza di essere intrinsecamente un capolavoro e lo ha capito regalando il suo mistero ad Elisabetta.
Qualche volta siamo tanto concentrati sull'io, sulle paure dell’io, da non riuscire a gustare la bellezza della nostra identità, regalandola, nell'entusiasmo della vita. Nei nostri incontri dovremmo avere la serenità del cuore, la tranquillità degli occhi, la calma nel porre la mano e nel dire: “Buongiorno!”. Rileggendo i Vangeli nella prospettiva della vita quotidiana, potremmo trovare tante soluzioni ai nostri interrogativi. Allora è bello essere dei tapini: “ha guardato la tapineità”, perché lui è grande. Nel testo di Isaia si legge che i brontoloni non avranno accesso al regno dei cieli. I brontoloni sono quelli che hanno allergie oculistiche: non sanno vedere l'invisibile meraviglioso nel visibile storico.
Occorre ritrovare la bellezza. Io devo essere bello, perché sono riflesso della bellezza di Dio. Una preghiera deve essere bella, perché il cuore bello, illuminato, canta le meraviglie di Dio. L’episodio della visitazione è molto più che una corsa a fare la carità: è una corsa per condividere la bellezza di Dio.
Per concludere la riflessione sull’annunciazione e sulla visitazione, vi dico che, ogni volta che andiamo all’eucaristia, viviamo questi due misteri. L’annunciazione è la nostra vita abitata da Dio: è una cosa sulla quale noi riflettiamo poco. Penso al battesimo di Origene. Suo padre Leonida, non appena il figlio fu battezzato, fece un rito che io ripeto, quando battezzo. Prese il bambino e lo baciò sul petto, perché stava baciando la Santissima Trinità. L’inabitazione della Trinità è la bellezza della nostra esistenza, che condividiamo nell’assemblea eucaristica. Noi non andiamo a messa, andiamo a condividere le meraviglie del Signore, nelle nostre povertà storiche. Condividendo le meraviglie del Signore, ecco “L’anima mia magnifica il Signore”: “E’ veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza rendere grazie, sempre e in ogni luogo, a te, Signore, Padre grande”.
L'evangelista Luca incomincia il suo Vangelo con la Madonna eucaristica e lo conclude con l'episodio eucaristico dei discepoli di Emmaus, che, in casa, cantano le meraviglie di Dio, l’eucaristia, “e lo riconobbero allo spezzare il pane”.
Alla luce di queste semplici sottolineature, la Madonna diventa per noi matrice di novità di vita. L'importante è non trattenere tutto per sé, ma regalare.  Allora anche noi, quando usciamo di chiesa, regaliamo, perché abbiamo fatto l'esperienza delle meraviglie del Signore. Uscire di corsa, controllando l'orologio, è segno positivo di fede negativa, perché le cose belle non prevedono l’orologio. Pensate ai genitori, quando i figli o le figlie escono con i fidanzati: li attendono con l'orologio, dimenticando di aver fatto la stessa cosa quando erano giovani. Quando mettiamo l'orologio alle cose belle, diventano già stancanti. L’uomo di oggi non è più in festa, perché corre sempre e non ha più la gioia di condividere la bellezza.
Quando entriamo in chiesa, vediamo sempre l’immagine Madonna. Io non concepisco una chiesa senza l'iconografia mariana. Possiamo togliere le immagini dei santi, ma non quella di Maria, che è il sorriso di chi ha detto “Ecco”, e corre e canta. Se entrassimo in questa esperienza, la vita sarebbe diversa. I Bizantini cantano sempre, perché cantando respirano già l'eternità beata.
È il mistero del Natale. Ricordate sempre come la chiesa utilizzi per il Natale: “Nel mezzo della notte, quando tutte le cose erano in silenzio, la tua Parola dall’alto dei cieli venne in mezzo a noi”. È lo stupore! Viviamo il Natale, condividendo lo stupore di Maria, che ci educa ad essere, giorno per giorno, autentici discepoli di Gesù.


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[3] 9 dicembre 2019
LECTIO DIVINA ALLA COMUNITA’ CRISTIANA DI SAN PIO X A BERGAMO
Maria nell’annunciazione: la tipologia del cristiano
Nel nostro cammino verso la grande venuta del Signore, dopo aver incontrato la figura di Giuseppe, uomo giusto, che viveva continuamente dell'oggi misterioso del Padre, questa sera spostiamo la nostra attenzione sulla figura di Maria nell'episodio dell'annunciazione.  Come nel caso di Giuseppe siamo stati invitati ad applicare alla nostra esistenza il suo mistero, così anche davanti al Vangelo dell'annunciazione dobbiamo tenere presenti tre livelli di lettura, che ci possono aiutare: il mistero di Maria, il mistero della Chiesa, il mistero del cristiano. Ogni volta che incontriamo un testo evangelico, non dobbiamo ritenere che riguardi il passato, riguarda la nostra storia oggi! Nel testo dell'annunciazione siamo invitati, guardando Maria, a ritrovare la nostra identità di discepoli, che vivono il mistero della Chiesa, perché i Vangeli narrano la storia del passato per interpellare il presente.
Luca 1, 26-38
Al sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio a una città della Galilea, chiamata Nazareth, ad una vergine promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei disse: “Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te”
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse quel saluto. L'angelo le disse:” Non temere Maria, perché hai trovato grazia presso Dio, ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce. Sarà grande e verrà chiamato figlio dell'Altissimo. Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine.”
Allora Maria disse all'angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”.  Le rispose l’angelo: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra, perciò colui che nascerà sarà Santo e sarà chiamato figlio di Dio. Ed ecco Elisabetta nella sua vecchiaia ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era ritenuta sterile: nulla è impossibile a Dio.  Allora Maria disse: “Ecco la serva del Signore, avvenga per me secondo la tua parola”. E l'angelo si allontanò da lei.
Due annunciazioni
Occorre fare una precisazione, per riuscire a leggere in profondità questo racconto. Se apriamo il Vangelo alla pagina precedente, abbiamo l'annunciazione a Zaccaria. L'evangelista mette in stretto rapporto le due annunciazioni perché, sullo sfondo dell'annunciazione a Zaccaria, emerga tutta l'originalità dell'annunciazione a Maria. Luca infatti ha costruito i due racconti con un parallelismo eccezionale, per farci intuire la luminosità dell’annunciazione nella storia della Chiesa e di ogni battezzato.
Il primo elemento da tenere presente è il contesto delle due annunciazioni, che ci aiuta a intendere e comprendere il testo. Nell'annunciazione a Maria si legge che l'angelo Gabriele fu mandato a Maria, in una città della Galilea, chiamata Nazaret, quindi l'annunciazione avviene in un momento di vita ordinaria.  Proprio per evidenziare il valore della vita ordinaria, ecco l’annuncio a Zaccaria:
“Al tempo di Erode, nella Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
 Avvenne che, mentre Zaccaria faceva le sue funzioni davanti al Signore, durante il turno della sua classe, gli toccò in sorte, secondo l'usanza del servizio sacerdotale, di entrare nel tempio del Signore per fare l’offerta dell'incenso”. (Lc 1, 5-9)
La vita ordinaria
È interessante il contesto. Da una parte la vita feriale: Nazareth, una situazione storica    diremmo noi di emarginazione, Ricordiamo sempre nei testi giovannei:” Che cosa vuoi che venga di buono da Nazareth?”, nel dialogo tra Bartolomeo e Filippo; “Studia e vedrai che non viene un profeta dalla Galilea”, quando i sacerdoti rispondono a Nicodemo. L’angelo Gabriele appare in una realtà feriale, non importante, ai confini della Palestina, mentre nell’annunciazione a Zaccaria c'è tutta la dimensione rituale: il tempio, il rito, Gerusalemme. La bellezza del rivelarsi di Dio sta nel fatto che non avviene nella solennità del tempio di Gerusalemme, durante il rito dell’incenso, ma nella ferialità nascosta. Dio, per venire nella storia, sceglie ciò che è ordinario, che non è valutato dalle categorie comuni.
C'è una bella espressione, sempre nel Vangelo di Luca, che possiamo applicare al brano che stiamo analizzando. Dopo che i discepoli sono tornati dal viaggio missionario, sono ricchi di entusiasmo. Gesù li raffredda subito: “In quello stesso istante, esultando nello Spirito Santo, Gesù disse: “Ti ringrazio, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose a quelli che contano e le hai rivelate a quelli che non contano (Lc 10,21-22). L'esperienza di fondo che determina la rivelazione è la radicale povertà dell'uomo.   Quando Maria canta il Magnificat, noi traduciamo “Ha guardato l'umiltà della sua serva”, ma se leggiamo il testo greco troviamo “Ha guardato alla tapineità della sua serva”. Dio non colloca il suo rivelarsi nella discendenza di Aronne, non in un rito che avveniva nel tempio, in corrispondenza delle preghiere del pio ebreo, ma in una situazione feriale, dove la persona non conta agli occhi degli uomini.  Questo è un aspetto da tenere ben presente: la gloria di Dio è l'amore al concreto di tutti i giorni, è la vera liturgia dell’uomo, che costruisce l’esistenza nell’atteggiamento di Maria. Sullo sfondo di questo contesto, il volto di Maria appare in tutta la sua bellezza.
La verginità
Continuando ad esaminare il rapporto tra l'annunciazione a Zaccaria e l'annunciazione a Maria, osserviamo le figure di Elisabetta e Zaccaria. Sono vecchi, avanti negli anni, ed Elisabetta è sterile. Dall'altra parte l’angelo appare ad una giovane, vergine, che vive la sua esistenza nel mistero di Dio. La rivelazione è nella giovinezza, perché la giovinezza è apertura alla vita. In questo senso il rapporto con Giuseppe è significativo, perché sognare appartiene alla giovinezza, non esprime la sterilità, ma la fecondità. Appare allora il volto di una donna che costruisce la sua esistenza attraverso la bellezza della sua persona, che consiste nell’ essere vergine. Qualche volta, distratti dai quadri, quando pensiamo al mistero dell'annunciazione, collochiamo Maria in un luogo, pensiamo all'angelo che le appare e immaginiamo che questa rivelazione sia avvenuta in uno spazio e in un tempo definiti.  Il testo dice che l'angelo entrò da lei, fuori dallo spazio e dal tempo, in una comunicazione che è rivolta alla sua persona. Luca usa l'articolo determinativo, per evidenziare la caratteristica di Maria: la vergine si chiamava Maria.
Cerchiamo di comprendere il significato della verginità, che è il luogo nel quale l'angelo sì rivela e rivela la volontà di Dio. “Vergine” è una parola che noi tante volte interpretiamo negativamente, mentre la verginità è l'apertura a 360° all'invadenza di Dio, è un fatto interiore dove tutta la persona è conquistata da Dio: è un meraviglioso dialogo interiore, fondamentale nell'esistenza di Maria. Torniamo a Giuseppe, il sognatore. Era un uomo giusto, e, come Maria, radicalmente aperto a Dio. Dopo il sogno, obbedisce. Maria vive questa radicalità nella apertura del cuore. L'unica rappresentazione che mi ha dato l’idea di questo evento è nel film Gesù di Zeffirelli, quando l'angelo è una grande luce che invade Maria e Maria si lascia invadere. La bellezza della verginità è un cuore aperto, che si lascia catturare dalla gratuità di Dio e Dio in lei liberamente fa cose grandi.
Il mutismo e il canto
Come mai Zaccaria diventa muto, mentre Maria canta il Magnificat? Nel testo che riguarda Zaccaria, egli risponde obiettando che è vecchio e sua moglie non è più nell'età: ha come riferimento se stesso. Davanti all'accadimento di Dio, considera le sue possibilità. Maria invece, essendo vergine, è aperta alla libertà, gratuita, benevolenza di Dio.
Da questo punto di vista mi è sempre piaciuto il quadro del Beato Angelico, al museo di Cortona, dove l'annunciazione è costruita su due cerchi: il cerchio di Maria e Il cerchio dell’angelo, disposti sulla stessa lunghezza d'onda. La verginità è vivere sulla lunghezza d'onda del rivelarsi di Dio. In questo consiste la grandezza di Maria, lo ha detto molto bene Elisabetta nella visitazione: “E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore”. Zaccaria è rimasto muto, perché non ha creduto e non si è lasciato invadere dal mistero di Dio. Zaccaria diventa muto perché ormai il rito diventa muto. il chiasso non appartiene al rivelarsi di Dio: è una verità sul quale riflettiamo poco.  Il chiasso diventa muto, il vergine diventa canto.
Maria, pura di cuore
Pensiamo alla settima beatitudine: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”.  Dal punto di vista esegetico è una beatitudine liturgica. Beati quelli che sono spalancati con tutta la loro persona all'invadenza di Dio. A me piace rileggere questo incontro tra l'angelo Gabriele e Maria come un vedere la luminosità divina, che si ritraduce con il saluto dell’angelo:” Rallegrati piena di grazia, il Signore è con te”. È l'invadenza della fedeltà di Dio, poiché viene citato il testo di Sofonia, che realizza i tempi messianici nel “Sei tutta grazia, sei il capolavoro della gratuità di Dio”. Ormai noi guardiamo al cuore. Il cuore puro vede il rito come il dialogo con l'eterno.  il cuore non puro inventa tante cose. Nel primo caso c’è la libertà davanti a Dio, nel secondo caso l'uomo vuole impossessarsi di Dio.
Il rapporto narrativo tra Maria e l'angelo e tra l'angelo e Maria è l'esperienza del silenzio di Dio.  Ricordate che nella prima lezione ho fatto la distinzione tra la messa di mezzanotte e la Messa del giorno e vi dicevo che la messa di mezzanotte è nella notte, nel silenzio, perché in quella condizione si dà la fedeltà di Dio? Maria, nella sua verginità, è talmente aperta a Dio che anche il buio diventa luce. Qualche volta noi vorremmo capire tutto, ma l'uomo che capisce diventa protagonista. L’uomo che si abbandona nel suo cuore all'accadimento di Dio è un uomo che è ricolmato di Dio. Da questa angolatura, chi riesce a capire la gratuità di Dio? Solo il vergine. Ecco perché l'uomo di oggi non riesce a cogliere la rivelazione di Dio: non ha la purezza del cuore. Non ha la percezione del lasciarsi invadere, mentre il vergine ha come criterio l’oggi misterioso di Dio.
L’annunciazione, realizzazione dell’Antico Testamento
Sottolineo un particolare che può magari, in modo immediato, risultare un po’ difficile da capire per noi, ma mi permette di collegarmi alla genealogia. Dicevamo nella prima lectio sul testo di Matteo che l’evento dell'incarnazione è il frutto di una genealogia. Qui invece, ed è una cosa molto bella, che gli studiosi hanno scoperto, il racconto dell'annunciazione è una centonizzazione di testi dell'Antico Testamento. È po' come quando noi abbiamo il puzzle e ricostruiamo la figura originaria, mettendo Insieme i pezzettini, per cui riappare l’immagine iniziale. Nel testo greco, ogni parola dell’annunciazione si ritrova nell'Antico Testamento: il racconto dell'annunciazione a Maria è l'Antico Testamento realizzato, non più con la genealogia, ma con il genere letterario.
La povertà dell’uomo
Proviamo a pensare la nostra storia: è il puzzle della fedeltà di Dio. Vi ricordate che nel momento in si cui parla della Madonna, si parla di Maria, si parla della Chiesa, si parla del discepolo? La nostra storia è la storia di Dio. Questa storia di Dio è nel saluto: “Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te. A queste parole ella rimase turbata e si chiedeva che senso avesse un tale saluto”: non vuole capire, vuole collocare se stessa nel mistero di Dio.  Nel cammino di fede, noi usiamo molto il freno a mano, perché abbiamo paura di lasciarci invadere da Dio. La verginità del cuore è la nostra apertura a 360 gradi sul progetto di Dio e ci fa percepire una grandezza nella nostra radicale povertà. Ecco perché appare a Nazareth, in una realtà sociologica di povertà esistenziale, dove la vera povertà è essere affascinati da un Dio meraviglioso, nel quale la propria povertà diventa feconda. Noi nelle nostre povertà andiamo in corto circuito. Maria, nella povertà, si è aperta all'ineffabilità di Dio. È un mistero che non è facilmente percepibile nella nostra esistenza, eppure la bellezza del rivelarsi di Dio è questa povertà affascinata. In questo quadro l'angelo regala a Maria il progetto di Dio: “Non temere Maria, perché hai trovato grazia presso Dio: ormai tu sei un capolavoro!”  Qualche volta noi dimentichiamo questo mistero.
Le meraviglie di Dio
Zaccaria diventa muto, Maria canta e il canto del Magnificat è il canto del passaggio del Mar Rosso applicato al Nuovo Testamento: Dio si rivela meraviglioso. Una delle realtà che noi abbiamo dimenticato è che il Dio nel quale noi crediamo è il Dio meraviglioso. Si comprendono le parole di Maria: “Come avverrà questo, dal momento che non conosco uomo?”. È la coscienza del limite: come mai nel mio limite avvengono queste meraviglie? Spesso noi pensiamo alle nostre doti, più o meno eccellenti: segno positivo di verginità negativa.  Guardiamo a noi stessi: “Come è possibile che nella mia povertà Dio sia così grande?” La risposta è bellissima: “La potenza dell'altissimo ti coprirà con la sua ombra, perciò quello che darai alla luce sarà chiamato santo, figlio di Dio”.  Cogliamo una dimensione della Trinità che abbiamo dimenticato. Nel mistero dell'annunciazione, il Padre manda l'angelo e crea attraverso lo Spirito Santo. In tutti i Vangeli ogni azione del Padre, che Cristo rivela   agli uomini, avviene nello Spirito Santo, per cui io sono giunto a formulare l’ipotesi che lo Spirito Santo sia la femminilità della Santissima Trinità, la fecondità. Ripensiamo alle parole dell’eucaristia: “Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l'effusione dello Spirito”. Nel testo latino c'è un'espressione che non abbiamo in italiano: “Padre veramente santo, fonte di ogni santità, fa’ scendere la rugiada del tuo Spirito”: “tui rore spiritus”. E’ la verginità nell’evangelista Giovanni: “Non sappiamo donde venga, né dove vada”, perché la verginità è il luogo della libertà.
“Eccomi!”
Torniamo alla figura di Maria:” Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola”. “Eccomi” è l'atteggiamento di chi si colloca nelle mani di Dio. Quando ho scritto il mio libro sul matrimonio l'ho intitolato: Eccoci, o Signore!  Gli sposi infatti regalano la loro disponibilità alla fantasia di Dio, perché in quel momento si affidano alla creatività dello Spirito Santo. “Eccomi” e l'entusiasmo. Uno dei problemi dell'uomo di oggi è svegliarsi al mattino. Quando sentite la sveglietta suonare, è l'angelo Gabriele che vi appare.  Davanti a lui si dice: “Eccomi, sono tua proprietà”.  Il vergine è l'obbedienza di chi si sente proprietà di Dio.
Maria dice: “Sono la serva”, che propriamente significa: “Sono l'accoglienza del tuo mistero.   Anche Gesù dice: “Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Chi accoglie, concepisce e dà alla luce la novità di Dio: “Sono tua proprietà, perché tu possa essere il Signore della mia storia: si faccia secondo la tua volontà!”. Noi usiamo un'espressione che per me è pericolosa: “siamo chiamati a fare la volontà di Dio”. Ma per fare la volontà di Dio dobbiamo conoscerla e noi non la conosceremo mai.  Noi siamo chiamati ad essere nella misteriosa volontà di Dio.  Chi ha la bellezza della verginità, qualunque sia la scelta fatta nella vita, ha questa disponibilità all’oggi misterioso di Dio.
Il testo è iniziato con l'angelo Gabriele mandato da Dio a una vergine; l'angelo entra in Maria; dopo il dialogo l'angelo si allontana da lei.  Quindi: l'angelo appare a Maria; entra nel cuore verginale – “La potenza dell'altissimo ti ricoprirà”; “Eccomi!” - si pone in stato di gratitudine e nella gratitudine si realizza la fecondità; l'angelo ha compiuto la sua missione - “Si allontanò da lei”.
 Se riuscissimo anche solo a intravedere qualcosa in questa semplice lettura del Vangelo dell'annunciazione sullo sfondo dell’annunciazione a Zaccaria, ci accorgemmo di cose molto belle. Al mattino potremmo svegliarci nella coscienza che siamo capolavori di Dio.  Siamo il respiro di Dio, che è lo Spirito Santo. Allora: “Eccomi!” Incomincio la mia giornata, che diventa un culto a Dio gradito.
 Concluderemo il ciclo del Natale con la presentazione di Gesù al tempio. Perché questo rito del riscatto è così solenne? Maria e Giuseppe portano Gesù al tempio e offrono i doni attraverso la figura levitica. Adesso non c'è più il tempio, perché il tempio è Gesù; non c'è più l’offerta, perché l'offerta è Gesù; non c'è più il sacerdozio, perché il sacerdozio è Gesù. Allora come faccio a rendere la mia vita un culto a Dio gradito?  In me abita Gesù; in me, Gesù diventa la mia offerta di vita; Gesù, in me, mi rende proprietà del Dio Altissimo: questo è il sacerdozio dei fedeli. Proviamo a pensare alla semplice azione quotidiana del lavare i piatti: è Cristo che offre, attraverso il lavare le stoviglie, il sacrificio a Dio gradito, la storia di tutti i giorni.  Ecco perché approfondire questo testo non è facile: Maria si gioca tutta sul cuore, Zaccaria tutto sul rito.  Maria si sente invasa, Zaccaria si sente bloccato e diventa muto. Noi dobbiamo ritrovare la bellezza di dire “Eccomi, tu Signore cammini sempre in novità di vita”.  Non per niente quando Gesù muore, lo abbiamo ascoltato nel Vangelo della domenica di Cristo Re, dice: “Nelle tue mani consegno il mio spirito”. Maria nella sua vita ha vissuto il mistero di Gesù in anticipo. Se noi riuscissimo a entrare in questa visione, poiché la nostra vita è piena di decisioni, il nostro decidere sarebbe proprio un decidere alla luce del ”Eccomi!”.  Impariamo da Maria la purezza del cuore e lasciamoci invadere in modo radicale da questo amore divino, nel quale ritroviamo veramente noi stessi.


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[2] 2 dicembre 2019
LECTIO DIVINA ALLA COMUNITA’ CRISTIANA DI SAN PIO X A BERGAMO
La figura di Giuseppe: la bellezza di sognare nell’obbedienza
La settimana scorsa ci siamo soffermati sul prologo di Matteo, che può essere considerato la sintesi delle tematiche di tutto il suo Vangelo. Con quello schema di fondo, ci introduciamo nel brano successivo, che ha al centro la figura di san Giuseppe, una figura che ha avuto un grande successo nell’800, nel contesto della valorizzazione della Sacra Famiglia, ma che oggi è passata in secondo piano, anche se la si sta riscoprendo, perché si afferma che dialogare con san Giuseppe permette di trovare risposte ai problemi attuali.
Leggo quindi il brano che sarà oggetto della nostra riflessione questa sera, partendo dalla conclusione della genealogia: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo“(Mt 1,16).
Matteo 1,18-25:
18Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. 20Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”.
22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
23Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio con noi. 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa; 25senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù”.
Per affrontare correttamente il tema di San Giuseppe nei Vangeli dell’infanzia, occorre porsi in una visione che superi le letture improprie del passato.  Vorrei delinearne il volto, anche alla luce degli ultimi studi, partendo dal testo di Matteo.
LA COMUNIONE TRA GIUSEPPE E MARIA
Incominciamo con una riflessione. Quando pensiamo a san Giuseppe e al suo rapporto con Maria abbiamo l’idea che Giuseppe fosse all’oscuro di quanto stava accadendo, mentre, ed è la ragione per cui oggi si sta riscoprendo la spiritualità di Nazareth, Giuseppe e Maria insieme stavano vivendo un mistero. La figura di Maria era un mistero per Giuseppe, ma lei condivideva con lui questo mistero: è la bellezza della famiglia di Nazareth, dove l’uno è per l’altro e con l’altro. Giuseppe non era spettatore di quanto stava accadendo a Maria: tra i due c’era un rapporto autentico. Noi abbiamo un concetto di verginità poco interpersonale, invece la vera verginità è una relazione della mente e del cuore. Se non partiamo da questa convinzione, non riusciamo a cogliere l’atteggiamento di Giuseppe. Entrambi erano all’interno di un progetto che non conoscevano. Luca ci fornisce un particolare importante: la bellezza di Maria era il silenzio. Noi pensiamo che la vita sia capire, mentre essa è il silenzio nella reciprocità.
All’inizio del brano che abbiamo ascoltato, immediatamente troviamo l’affermazione: “Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (1,18). Entrambi erano davanti ad un grande mistero.
La figura di Giuseppe è estremamente moderna, perché la bellezza di ogni rapporto interpersonale è amare il mistero che è l’altro, il mistero che è l’altra, dove nella reciprocità ci si comprende, proiettandosi in avanti verso il mistero di Dio. Il rapporto tra Giuseppe e Maria non è il rapporto tra due sconosciuti, ma tra due persone che vivono un’autentica vita familiare.
Oggi si sta scoprendo che Gesù, specialmente nel Vangelo di Matteo, usa un linguaggio che ha acquisito dai genitori. L’esempio che noi portiamo più facilmente sono le parabole, soprattutto quelle culinarie, che Gesù ha imparato stando con Giuseppe e Maria. Oggi addirittura c’è tutto un capitolo interessante di “Gesù cuoco”; addirittura c’è un libretto, La cucina del Risorto, dove si sottolinea come nella sua famiglia Gesù abbia goduto di quel clima di comunione da cui egli è nato, secondo un misterioso progetto divino.
GIUSEPPE, UOMO GIUSTO
Se partiamo da queste considerazioni, riusciamo a comprendere il passaggio successivo che, soprattutto nella lettura contemporanea, ha un significato molto profondo: “Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto” (1,19). La parola chiave è “giusto”, che nella tradizione dell’Antico Testamento definisce un uomo “innamorato della volontà di Dio”. Il pio ebreo sapeva che nella sua storia era chiamato a leggere e a vivere la sua esistenza alla luce della storia di Dio, così come ci dice il salmo 118 (119), il più lungo del Salterio, dove egli meditava continuamente la legge del Signore. Non per niente il cardinale Martini sulla propria pietra sepolcrale ha fatto scrivere “Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino” (Sal 119,105).
Perché era un uomo giusto Giuseppe? Teniamo presente che il pio ebreo, andando alla sinagoga continuamente, era educato alla storia di Dio. Entrando in una sinagoga, al centro si vede il Santo dei Santi, il quale contiene la Parola di Dio, che non è un libro: è Dio che si rivela! Quindi era un uomo abituato alla rivelazione di Dio, ecco perché viene definito “uomo giusto”: la sua esistenza ricercava continuamente quello che Dio voleva. Giusto è l’uomo che nel cammino della vita ha la Parola come anima della sua storia e sa di doversi porre davanti al mistero.
IL MISTERO
Ecco il passaggio nuovo, che fatichiamo a interpretare. Davanti al mistero dice: “Non sono idoneo”.  Questo significa la frase che abbiamo ascoltato, riferita a Giuseppe che vuole dimettere Maria. Noi leggiamo questa sua reazione, secondo le categorie morali (“chissà cosa dirà la gente…?”), soprattutto del passato. Giuseppe non ha allontanato Maria, ma ha pensato che il mistero di Dio era più grande delle sue possibilità. Per lui Maria era il disegno di Dio e, poiché era uomo giusto e aveva coscienza dei suoi limiti, si è domandato: “Quale grande disegno il Signore mi vuole affidare?”. La risposta immediata è stata: “Non sono degno”. Uso un’immagine per essere più chiaro: “Ma Signore, va’ a suonare il campanello di qualcun altro per il tuo disegno di salvezza. Perché vuoi proprio me?”. È l’uomo povero, biblicamente, il quale, vivendo della Parola di Dio, si riconosce inadeguato. È l’atteggiamento caratteristico dei grandi uomini della Bibbia, pensiamo ai profeti. Quando Dio appare a Isaia e lo manda ad evangelizzare, il profeta chiede: “Come posso io, uomo dalle labbra impure, andare a evangelizzare?”. La risposta è l’angelo che con le pinze prende il carbone di fuoco e gli brucia le labbra (Is 6). Per inciso ricordo che quel gesto che il profeta subisce da parte dell’angelo è l’eucaristia! L’eucaristia non è un pane: il pane è il fuoco di questo carbone ardente che brucia tutte le povertà dell’uomo! Il profeta Geremia balbetta, Mosè balbetta: il Signore chiama chi ha la consapevolezza di essere povero. Dio dice a Giuseppe: “Ecco il disegno che io ho preparato per te!”. Giuseppe risponde: “Io non ne sono degno.”. L’uomo ritiene di non essere in grado di affrontare il disegno di Dio, ma il Signore gli dice: “Non temere, sei nel mio mistero!”.
IL SOGNO
La volta scorsa abbiamo ascoltato il lungo elenco di 42 personaggi che rappresenta la fedeltà di Dio alla storia degli uomini e Giuseppe è il 42° di quella numerazione. Ma come si rivela la fedeltà di Dio? In sogno! Allora è importante soffermarsi sul significato biblico del sogno: esso è il momento in cui avviene la rivelazione di Dio. I personaggi più importanti della Scrittura sognano: il patriarca Giuseppe è un sognatore e diventa la salvezza d’Israele, quando è in Egitto; Giuseppe di -Nazareth sogna; per ben tre volte Paolo sogna. Il sogno ritraduce un atteggiamento spirituale.
Il sogno avviene di notte, ma noi non abbiamo il concetto della notte, dove l’assenza della luce costringe all’ immobilità. Nel buio totale, senza nessuna fonte di luce, è impossibile vivere. In questa condizione, il sogno è l’incontro tra il limite dell’uomo e la creatività di Dio, che ama rivelarsi di notte per porre la sua potenza nell’impotenza dell’uomo. Sogna l’uomo disponibile alla creatività divina. Giuseppe, uomo giusto, ha tutti gli interrogativi dell’intelligenza, ma nel suo cuore sa che Dio è il suo Signore: di notte, gli appare l’angelo, cioè Dio gli dà la sua comunicazione. Noi qualche volta non riusciamo a essere credenti, perché vogliamo capire. La bellezza della fede è accogliere la libertà di Dio. Giuseppe ce lo insegna. Dio non è determinato dall’uomo, ma l’uomo che crede si lascia determinare da Dio.
IL SILENZIO
Una seconda caratteristica della notte è il silenzio, che rappresenta la notte esistenziale, nella quale Dio parla. Il silenzio è essere cuore a cuore con il Signore. Il cristiano, come Giuseppe, è colui che nella sua esistenza è cuore a cuore con Dio e il cuore ha visioni più profonde dell’intelligenza. La mia povertà mi dice: “Non accetto di essere in questo grande mistero, ma poiché so che Dio è fedele (la genealogia), so che Dio è il Signore della mia vita, so che ha un progetto su di me, mi pongo in silenzio perché il suo progetto si realizzi”. L’uomo di oggi è tanto scontento, perché non sa più fare silenzio.
Giuseppe, nella sua vicenda storica, ha saputo imparare ad ascoltare. Giuseppe e Maria erano in comunione e tra loro c’era una condivisione non di parole, perché la vera condivisione avviene con gli occhi e con tutto il sensitivo che comporta lo sguardo. Il linguaggio più profondo non è mai verbale, il linguaggio non verbale è molto più ricco! Giuseppe è abituato al sogno, perché nel suo rapporto con Maria c’è il senso di un mistero al quale con Maria egli si è affidato. In tutte le traversie essi erano insieme: Giuseppe era il sognatore, ma con Maria camminavano insieme.
È allora molto bello vedere come la bellezza di Giuseppe sia il silenzio dell’uomo che dice a Dio: “Sii libero nella mia vita”. Faccio un esempio molto semplice: quando due genitori danno alla luce un bambino, il progetto sul bambino è loro o devono obbedire al progetto di Dio su quel bambino?  Giuseppe e Maria sono insieme davanti al progetto di Dio, che si gusta nel silenzio. Quante parole ha detto Giuseppe? Nessuna, perché Giuseppe era un sognatore, uno che si fidava di Dio. Nell’affidarsi a Dio, Giuseppe è andato in Egitto. Prima di lui anche il patriarca Giuseppe era andato in Egitto e quelli che parevano essere i guai della sua vita si sono rivelati l’epopea di Dio per tutto il popolo d’Israele.
 L’OBBEDIENZA
“Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa” (1,24). L’uomo giusto conosce un unico atteggiamento: obbedire. L’’obbedienza è la bellezza dell’ascolto e il canto della gratitudine. I figli devono obbedire ai genitori per esprimere la loro gratitudine per quanto hanno ricevuto. Allo stesso modo, se il figlio è un dono di Dio, accogliere un figlio richiede ai genitori di vivere in stato di obbedienza al disegno di Dio su di lui.
Quindi si sveglia, Giuseppe prende coscienza del mistero e lo accetta, perché è entrato nella decisione di vivere la sua vita nel mistero di Dio. È interessante la conclusione del brano: «senza che egli la conoscesse, ella diede alla luce un figlio ed egli lo chiamò Gesù» (Mt 1,25). Accoglie il mistero.
Ora uso un’immagine che non è di Matteo, ma di Luca. Ricordate l’episodio di Gesù a 12 anni? Si perde nel tempio, lo vanno a cercare e Maria gli dice: “Tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Che cosa le risponde Gesù? “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero (Lc 2,48-50). Accogliere il mistero è rinunciare a volere capire. La bellezza della vita è fidarsi, affidarsi, perché, quando io voglio capire, riduco la realtà alla mia intelligenza, ai miei pensieri e non mi apro al mistero di Dio.
Giuseppe allora è, per l’evangelista Matteo, il grande protagonista dei Vangeli dell’infanzia. Si rivela   un uomo estremamente moderno e la sua figura diventa tipologia della nostra vita di fede. Infatti, così è scritto nel brano che abbiamo ascoltato: «Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele”, che significa Dio con noi» (1,22-23). È nell’obbedienza dell’uomo che la parola di Dio si realizza.
LA FEDE
Nel capitolo secondo, al versetto 14 di Matteo si legge: «Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall'Egitto ho chiamato mio figlio”». Dall’ Egitto poi   ritorna: «Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: “Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va' nella terra d'Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino”. Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d'Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nazareth, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”» (2,19-23).
Il principio, che ha guidato sempre Giuseppe, era: “Anche se non capisco, la Parola di Dio si realizza”. L’uomo che è affascinato dal mistero di Dio, ricerca l’oggi di questo mistero nella sua storia, all’oggi di Dio risponde positivamente e ha il risultato: oggi la volontà di Dio si realizza, come nelle Scritture. Alla fine, però solo alla fine, sarà chiaro il progetto del Signore. Noi vorremmo sapere fin dall’inizio! Quando dobbiamo decidere, vorremmo poter prevedere e pianificare, per avventurarci senza troppi rischi e imprevisti in esperienze nuove. Giuseppe non ha fatto così: si è affidato, usando la frase di Gesù nell’orto degli ulivi: «non la mia volontà, ma la tua sia fatta» (Lc 22,42). Ha scelto di essere nell’oggi misterioso di Dio. Per questo è moderno: ci insegna, nella cultura del consumismo, a sognare i sogni di Dio.
Concludendo questo discorso su Giuseppe, giungiamo alle parole finali della profezia: «l’Emmanuele, Dio in mezzo a noi». Egli viene in mezzo a noi, perché noi ci fidiamo di Dio! Se noi non ci fidiamo di Dio, dov’è l’Emmanuele?
Con la guida di Giuseppe, proviamo a riscoprire la bellezza della liturgia dei sacramenti, per gustare la libertà di Dio. Andando a un rito siamo poveri, ma ci fidiamo del Signore ed egli ci regala se stesso. Ricordate la bella preghiera che è diventata anche canto? “Questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua grandezza. Noi ti offriamo le cose che tu stesso ci hai dato e tu in cambio donaci te stesso”. Il Natale è la libertà di Dio.
Si dice, in Teologia Fondamentale, che se vogliamo costruire una Chiesa attuale, dobbiamo imparare che la fede è una intimità relazionale in una comunità che sta sognando il mistero di Dio. Fuori da questo orizzonte sono tutte strutture. Ecco perché Giuseppe diventa per noi il grande maestro per camminare con Gesù.  Ricordate quanto vi ho detto la volta scorsa? Nel presepe Maria e Giuseppe guardano il Bambino, ma il Bambino non guarda loro: li mette nell’ascensore del rapporto con il Padre e i due vivono il mistero di Gesù, come il Padre vuole.
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[1] 25 novembre 2019
LECTIO DIVINA ALLA COMUNITA’ CRISTIANA DI SAN PIO X A BERGAMO
La fedeltà di Dio alla storia: La genealogia di Matteo
Vorrei iniziare con la lettura del brano che sarà oggetto della nostra riflessione, un brano che normalmente noi fedeli comuni non ascoltiamo mai, perché i preti hanno la facoltà di ridurlo alla parte più semplice, l’ultima, ma, come cercherò di farvi vedere questa sera, è un testo fondamentale per capire i Vangeli dell’infanzia.
Matteo 1,1-17:
«Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadàb, Aminadàb generò Naassòn, Naassòn generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide da quella che era stata la moglie di Uria, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asaf, Asaf generò Giòsafat, Giòsafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosia, Giosia generò Ieconia e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleazar, Eleazar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
In tal modo, tutte le generazioni da Abramo a Davide sono quattordici, da Davide fino alla deportazione in Babilonia quattordici, dalla deportazione in Babilonia a Cristo quattordici».
LA GENEALOGIA NELLA LITURGIA
Questo è un testo che dobbiamo innanzitutto collocare nel contesto della preghiera della Chiesa ed è interessante che esso appaia quattro volte durante l’anno liturgico, perché esprime una dinamica teologica che io ho ritradotto con l’espressione: la fedeltà di Dio. I quattro momenti in cui questo testo appare sono: la nascita di Maria l’8 settembre; l’inizio della novena di Natale, il 17 dicembre; la messa vespertina della vigilia di Natale; ma, soprattutto, la veglia prima di mezzanotte. Quindi ci accorgiamo che questo testo è letto dalla liturgia all’inizio di un periodo importante per la storia della salvezza. La successione di tutti questi nomi, lo diremo più avanti, ha dietro un percorso teologico e di fede, oltre al principio che noi abbiamo nel libro dei Numeri del Pentateuco, dove troviamo il discorso delle genealogie.
 Come mai il primo luogo in cui si dà questo testo evangelico è l’8 settembre? Nella visione cara all’Oriente cristiano, l’8 settembre coincide con quello che noi chiamiamo inizio dell’anno liturgico (che corrisponde al vecchio inizio dell’anno liturgico ebraico), a settembre, perché all’inizio della storia di Dio c’è Maria. Infatti, la genealogia si conclude con la citazione della Madonna, per cui Maria è letta nella tradizione bizantina come colei che presenta la storia Dio agli uomini, nella cosiddetta “Icona della Platytera”: nel catino absidale delle chiese bizantine c’è una Madonna che fa da poltrona a Gesù bambino. Da Maria scaturisce la storia della salvezza e l’anno liturgico bizantino si conclude con la festa della Dormizione di Maria: con la Madonna, che è l’umanità, inizia la storia della salvezza e con Maria glorificata, la dormizione, si conclude la bellezza di questa storia. E quindi è importante, in questo racconto, percepire che il tempo non è la successione di giorni, ma è il luogo nel quale Dio rivela la sua fedeltà attraverso una storia, questa storia che racchiude il mistero dell’uomo. Ecco la prima sottolineatura. Noi abbiamo questo testo l’8 settembre, perché con Maria inizia la storia della salvezza e con Maria si conclude. Essendo Maria il tipo di ogni discepolo, la storia di un discepolo nasce con Maria e si conclude nella glorificazione di Maria.
 Il testo compare di nuovo all’inizio della novena di Natale, il 17 dicembre; nella messa vespertina della vigilia di Natale; nella veglia della notte di Natale. Per me è significativo che questo testo sia nella notte di Natale, perché noi abbiamo una concezione consumistica della notte di Natale. Precisiamo che la vera festa di Natale è il giorno, quando noi, radunati in assemblea liturgica, leggiamo il prologo di Giovanni, perché lì è il darsi del mistero di Dio. Come è nata la messa di mezzanotte? Da questo si capisce perché c’è questo testo di Matteo: la messa di mezzanotte è di notte, perché la Chiesa antica in quella notte celebrava il concepimento verginale di Maria. Le meraviglie di Dio avvengono di notte! Una delle percezioni che non abbiamo, perché abbiamo dimenticato il contatto con la realtà naturale, è che Dio si rivela sempre di notte! Noi non abbiamo un concetto di notte, perché abbiamo la luce elettrica: per noi la notte è inconcepibile. Proviamo a fare l’esperienza della notte, senza luci: è l’impotenza dell’uomo nella potenza di Dio. Il mistero dell’incarnazione, e quindi della concezione verginale di Maria, avviene di notte, perché è la gratuità di Dio che si rivela. Noi cristiani abbiamo perso il senso del mistero: vogliamo capire tutto! Ma la bellezza della rivelazione è il buio in un cuore innamorato della fede. È la bellezza, a livello interiore, di questa condiscendenza di Dio: di notte è concepito, al mattino appare - di notte si è in preghiera, Dio accade; al mattino, nella luce, Dio appare. Ascoltare questo racconto della genealogia è dire che la storia è di Dio, è dire che egli è libero e gratuito: Dio si rivela quando vuole e come vuole, perché è innamorato dell’uomo e l’innamorato è l’uomo della sorpresa. Ecco perché il criterio di questo brano nella liturgia è sostanzialmente la fedeltà di Dio.
UNA GENEALOGIA DI PECCATORI
Stabilito questo primo elemento, vi comunico una mia riflessione: quando leggiamo questo testo, ci accorgiamo che è molto monotono, è secondo lo stile sinagogale, quindi “generò, generò, generò, generò…”. Noi ci stupiamo, ma sotto c’è un’idea eccezionale: Dio è meraviglioso nella monotonia feriale. L’uomo di oggi non riesce più a gustare la vita, perché ricerca sempre la novità, dimenticando la bellezza del quotidiano, che io traspongo in termini di storia della salvezza.  Gesù ha vissuto trent’anni di vita nascosta e tre anni di vita pubblica: è necessario essere nascosti in Dio, per godere la presenza di Dio!
Evidenziato questo punto, cerchiamo di entrare nella genealogia che è considerata il prologo del Vangelo di Matteo. Noi tutti siamo abituati al prologo del Vangelo di Giovanni e voi sapete che il prologo del Vangelo di Giovanni è la sintesi di tutto il Vangelo; allo stesso modo, questo prologo di Matteo è, secondo me, la sintesi di tutto il suo Vangelo.
Vi propongo ora alcune semplici osservazioni.
Proviamo a guardare in faccia questi personaggi. Sicuramente, a livello esegetico, la successione non è storica, perché storicamente è più complicata la cosa, ma risponde ad un numero. Io mi sono posto la domanda: come mai un versetto scritturistico per un conto di matematica, cioè 14-14-14, che dà come risultato 42? Ma 42 cos’è? 7×6. 7 è la perfezione nel 6 che è l’incompiutezza, l’imperfezione. La storia di Dio è perfetta nella storia di un uomo, che è imperfetta. Infatti, subito dopo si dice “Ecco come nacque Gesù”: 7×7= 49, la pienezza della rivelazione! È una mia considerazione, della quale sono convinto. Questa enumerazione dunque ritraduce la certezza che nell’imperfezione storica noi gustiamo la perfezione di Dio. L’uomo è sempre tentato dall’essere perfetto; la gioia dell’uomo è invece la sua imperfezione, perché la perfezione è un dato che appartiene solamente alla storia di Dio. Questi personaggi, infatti, se li guardiamo attentamente, sono tutt’altro che santi, costituiscono una genealogia di peccatori. Mi sono chiesto: “Perché i peccatori nella genealogia?”. Allora ho fatto l’intervista al Vangelo di Matteo: “Perché sono così importanti i peccatori nella genealogia di Gesù?”. Ho trovato questa risposta: nel brano che vedremo la settimana prossima, anche se l’orientamento sarà diverso, nel sogno l’angelo dice a Giuseppe: “Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati”. (Mt 1,20-21)
Questa genealogia è per i peccatori, perché Dio è venuto per i peccatori. C’è un capitolo nel Vangelo di Matteo, che noi non conosciamo o trascuriamo per superficialità: Mt 18,15-20. È il discorso alla comunità, in cui c’è quel testo, che noi qualche volta citiamo non in modo proprio: “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”. Noi pensiamo che, per il fatto di essere insieme, ci sia la presenza di Cristo. Gesù non ha detto questo. “Quando due o tre sono riuniti nel mio nome…”: qual è il nome di Gesù? “Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Di conseguenza:” Quando due o tre sono riuniti perdonandosi i peccati, io sono in mezzo a loro.”.
Nel prologo di Matteo ritroviamo la bellezza della rivelazione. Perché tutti questi peccatori? Perché la comunità è peccatrice! Se voi leggete attentamente: “Se un fratello pecca, avvicinati a lui, rimproveralo…”. Che cosa vuol dire? Leggo direttamente il testo (Mt 18,15 ss.). Cosa vuol dire la parola “ammonire”? Noi diremmo: “Hai sbagliato? Ti correggo!”. No! “Hai sbagliato? Io pago per il tuo peccato, divento il tuo peccato e, dopo essere diventato il tuo peccato, ti do il perdono.”. Non posso dire al fratello “Sbagli”, se la sua colpa non l’ho assunta io. Dove due o tre assumono il peccato dell’altro, facendolo diventare la loro vita, io sono in mezzo a loro. Non avete mai pensato perché la divina eucaristia incomincia con l’atto penitenziale? Perché una comunità che si ritrova diventi il peccato dell’intera umanità! Ma il testo più bello è Mt 18,18. Gesù sta parlando alla comunità, non ai preti, né ai vescovi, né al Papa, sta parlando a tutti noi: “In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo”. Faccio subito un esempio in modo che sia chiaro. Marito e moglie, che alla sera, prima di addormentarsi, si confessano reciprocamente i peccati, esercitano quella che noi chiamiamo la “confessione ai laici”, che è avvenuta nella Chiesa fino all’epoca di San Tommaso. È lo scambio del perdono, dove: vado da …, dico il mio peccato, lui lo assume e mi dà la sua grazia, e viceversa. Questa idea, che per me è molto vecchia, è sostenuta anche dal cardinale Kasper, quando dice, l’esempio è riportato da lui, che marito e moglie si scambiano il perdono. È possibile essere marito e moglie e non scambiarsi il perdono alla sera, confessandosi reciprocamente, in tanta semplicità? E poiché ci si scambia il perdono nell’amore perfetto, secondo la dottrina tradizionale, saranno rimandati dopo al confessore, ma il perdono avviene. E allora, quando si vive così, il risultato è che, quando due o tre vivono così, Dio è in mezzo a loro! Ecco perché nella genealogia c’è tutta una serie di peccatori, perché la fedeltà di Dio è una fedeltà innamorata dell’uomo. E Dio è talmente innamorato dell’uomo che non fa nient’altro che perdonare. C’è ancora un brano molto importante di Matteo. Nell’eucaristia, al momento della consacrazione del calice c’è quell’espressione che è solo nel Vangelo di Matteo: “Questo è il sangue della nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti, in remissione dei peccati”. L’eucaristia è il vero perdono dei peccati! C’è un’immagine, cara alla teologia bizantina, sul pane eucaristico. Nel testo della vocazione di Isaia (Is 6), quando Dio chiama il profeta perché evangelizzi, il profeta chiede: “Come posso io, uomo dalle labbra impure, annunciare?” Allora un angelo prende con le pinze il carbone, glielo mette sulle labbra e brucia. Per i bizantini, la comunione è questo carbone acceso, perché, quando noi ci innamoriamo di Gesù nel mistero eucaristico, quell’eucaristia perdona tutti peccati. È un principio rivoluzionario: voi, pensate di essere perdonati dai peccati perché andate a confessarvi? La verità della penitenza e l’eucaristia; lì c’è il perdono vero, quando c’è l’intimità massima con il mistero di Dio e, poiché il Vangelo di Matteo è il Vangelo del perdono, dove una comunità si perdona, nella reciprocità ci si scambia il perdono dei peccati.
LE DONNE NELLA GENEALOGIA
Ma c’è un altro particolare nel Vangelo di Matteo: nella genealogia sono per ben cinque volte citate le donne. Nell’ambito veterotestamentario, perché Matteo è veterotestamentario, la donna non aveva importanza, tanto è vero che, quando si legge il libro di Giobbe, alla fine si dice che Dio diede tre figlie a Giobbe, le più belle del mondo e disse anche i nomi delle tre ragazze. È strano, ma è la rivelazione che si apre al nuovo. Matteo, attraverso queste cinque donne, dice che ci dobbiamo aprire all'orizzonte finale. Come si conclude il Vangelo di Matteo? “Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura”: a tutti.
Tra le donne, ce n’è una che è favolosa: Rut, la moabita! Noi sappiamo dalla tradizione dell’Antico Testamento che i matrimoni dovevano avvenire tra Ebrei, ma una donna moabita è nella di discendenza davidica! È una cosa, questa, che veramente fa pensare. È importante che siano citate le donne, perché il Vangelo deve essere aperto a tutta l’umanità.
LA GENEALOGIA, MEMORIA DELL’ALLEANZA TRA DIO E L’UMANITA’
E allora, che cosa possiamo dire ancora? Se noi guardiamo attentamente, questa genealogia parte da Abramo, l’uomo dell’alleanza. Mentre Luca ha il discorso della creazione, in Matteo si parte da Abramo, perché per Matteo la Chiesa è l’Israele realizzato, arrivato a compimento. E allora emerge una cosa molto bella: Abramo è colui con cui ha inizio l’alleanza nella fede. Dopo il caos di Babele, che si conclude con Gen 12,1-3, Dio non lascia l’uomo allo sbando, fa alleanza di nuovo con lui attraverso Abramo, l’uomo della fede. Guardate sempre quel bel testo “Vattene dalla tua terra, dalla tua casa, dai tuoi parenti ed io ti benedirò e ti darò una generazione che non finirà mai”, che richiama la finale di Matteo “Andate nel mondo intero, annunciate il Vangelo a tutte le creature”.
Nel Vangelo di Matteo ci sono due testi, che possono creare difficoltà. Il primo narra la missione di Gesù ai discepoli: “Non andate fuori dalle pecore d’Israele, dovete rimanere nel territorio”. Il secondo   racconta della donna siro-fenicia: quando ella chiede il miracolo e lui risponde “Non son venuto se non per le pecore perdute della casa d'Israele” (Mt 15,24). Perché? E qui è favoloso, Matteo. Gesù deve dare compimento all'alleanza con Abramo prima, con Mosè poi. Morendo in croce, apre l'alleanza con il mondo intero: è la fedeltà nell'obbedienza, che si apre all’intera umanità. Gesù è il compimento della fedeltà di Dio dell’Antico Testamento e, nel momento in cui muore, apre l’alleanza al mondo intero! E allora dal Natale nasce la vocazione universale, che noi ritraduciamo con i pastori che se ne vanno lodando il Signore: il mondo intero appare all’orizzonte.
 Ed è interessante che questa di genealogia esprima tutto il cammino dell’alleanza di Dio, tutta la sua fedeltà: l’alleanza con Abramo, la fede; l’alleanza con Mosè, la legge; l’alleanza con Davide, la discendenza davidica; l’alleanza profetica; il ritorno dall’esilio. Nel corso della storia della salvezza, Dio ha talmente amato l’uomo che, pur di non smettere di mostrargli il suo amore, cambiava anche i tipi di alleanza, le modalità per dialogare con lui. Quando noi leggiamo questo brano nel contesto del Natale, dobbiamo riscoprire un amore all’umanità che diventa fantasia: quando uno ama sul serio non è mai schematizzato, ma è creativo. Pensiamo alle mamme: per i loro figli fanno anche l’impossibile, sono creatrici. Ecco perché questa alleanza è la fedeltà di Dio in atto.
LA GENEALOGIA: IO SONO LA STORIA DI DIO
Ho affrontato solo alcuni passaggi, però penso che un testo, che può sembrare all’inizio proprio così arido, riletto in profondità, sia ricco di speranza. E quali sono gli elementi di speranza? Vorrei che non vi fermaste a Gesù Bambino. Se chiedessi a un ragazzo che cosa celebra a Natale e mi rispondesse: “Gesù bambino”, lo boccio! Un bambino di quattro anni diceva alla nonna: “Ma nonna, Gesù bambino non è già nato l’anno scorso?” Obiezione teologica, perché, nato una volta, non nasce più! Se fosse Gesù Bambino, ci limiteremmo ad andare davanti al presepe. Perché andiamo a messa, alla morte e resurrezione di Gesù? Noi siamo qui a prepararci al Natale con questo testo di Matteo, perché La nostra storia è nella storia di Dio: io, rileggendo la storia di Dio nelle genealogie, leggo la mia storia.  Sono peccatore, luogo della fedeltà di Dio, che ama l’uomo con un amore inesauribile, di un’apertura universale e scopro che Dio mi ama talmente, da cambiare i suoi progetti pur di salvarmi. Quindi la bellezza del Natale non è un bambino, ma l’amore di Dio che entra nella storia dell’uomo e gli dice: sei la mia storia.
Vi siete mai posti la domanda: perché quando si battezza un bambino si benedice l’acqua? Non è che si benedica l’acqua (l’acqua benedetta non esiste, perché sarebbe una magia medievale), ma perché si benedice l’acqua? Perché l’acqua è il segno della storia di Dio: l’acqua della creazione, l’acqua del diluvio, l’acqua del Mar Rosso, l’acqua del battesimo nel Giordano, l’acqua del costato di Cristo, l’acqua battesimale. Sono diventato la storia di Dio. Quindi il cristiano, quando si domanda: “Chi sono io?”, risponde: “Io sono la storia di Dio”. È una cosa, questa, che dovremmo riscoprire. Noi, meditando la storia di Dio, meditiamo la nostra storia: nel Verbo incarnato c’è la nostra storia.
 Dio ha creato l’uomo a sua immagine, perciò noi siamo la storia di Dio. È logico! E se siamo stati creati a immagine di Dio, la storia di Dio è nella nostra storia, ecco perché tutti andiamo in Paradiso. Avete capito adesso che la storia di Dio è portare tutti alla salvezza? Ecco allora il primo elemento, che a livello esistenziale noi dobbiamo cercare di avvertire.
Il secondo elemento: come possiamo inserire la nostra storia nella storia di Dio? Partendo da un principio: Dio è fedele, Dio mantiene le sue promesse. Non dobbiamo però mai chiedere quando e come. Dio ha fatto una promessa ad Abramo e quando l’ha realizzata? 1800 anni dopo, perché la fedeltà di Dio non è legata al tempo e allo spazio: oggi Dio è fedele. Io uso linguaggio molto semplice: stamattina ci siamo svegliati? Respiriamo? È la fedeltà di Dio. Quando noi ci svegliamo al mattino, l’ho insegnato ai ragazzi della cresima: “Vi svegliate, state respirando! Grazie Gesù, buongiorno Gesù, ti mando un bacio”. Per noi adulti, il risveglio è il bacio di Gesù che ci ama. È molto semplice, è questione di entrare in questa logica.
VERSO IL NATALE
Quindi Dio oggi è fedele, al di là di tutti gli schemi degli uomini. Pensate per una comunità come quella giudaica, che non dava importanza alle donne, che cosa significasse inserire le donne nella genealogia: è   stato stravolgere gli schemi. Il Natale allora è scuola della grande libertà interiore. Se io vi ponessi questa domanda: “Chi sono i discepoli di Emmaus?”, istintivamente voi direste: “Due uomini”. No, sono un uomo e una donna, infatti si cita solo un nome, perché l’altro era il nome di una donna e la donna non contava. L’eucaristia avviene in una famiglia, la famiglia della Chiesa.
La vita, alla luce della genealogia di Matteo, è un sognare continuo. Io uso una formula, che mi sono inventato: sognare vivendo e vivere sognando. È vivere nella fedeltà di Dio. Qualche volta non riusciamo a entrare nella fedeltà di Dio, perché abbiamo degli schemi precostituiti, che ci impediscono di entrare nella libertà di Dio, ma la salvezza è entrare nella libertà di Dio, che appare come e quando vuole.
Quando celebriamo un sacramento celebriamo la libertà di Dio, che non è mai ovvio: Dio è sempre nuovo! Quindi, quando sentirete “generò, generò, generò”, pensate che nella monotonia si rivela la libertà creatrice di Dio. E allora, la settimana prima di Natale, dal 17 in poi, andiamo a scuola di quella Parola.
Vi raccomando, non pensate ai regali, che fanno riferimento a riti arcaici. Il 21 dicembre ricorre il solstizio d’inverno. Le popolazioni agricole su che cosa costruivano la loro vita? Sul sole! Man mano che il sole decadeva, un agricoltore diceva: “Qui stiamo perdendo la vita, perché aumenta il buio”. Dopo il solstizio, incominciavano a prolungarsi le giornate: era la bellezza della vita che ritornava e queste popolazioni festeggiavano, scambiandosi i regali.
  Per noi invece a Natale appare Gesù, come compimento della fedeltà di Dio, che nella storia dice: “Sono la luce del mondo”. Nella notte di Dio c’è il mistero; nella luce appare la grandezza di Dio. Tutti quei riti notturni non sono biblici, sono consumistici, quindi occorre ritrovare proprio la bellezza di quel silenzio notturno di chi ha ruminato la storia di Dio. A chi rumina la storia di Dio, Dio è fedele. Allora riusciamo a capire “il terzo giorno è risuscitato”, perché Dio è fedele.
Ho fatto alcune considerazioni, è bello andare e approfondirle, perché dovremmo fare come quel pio ebreo, che per tutta la sua vita ha meditato sempre un unico versetto, lo stesso versetto per tutta la vita, perché la storia era nuova ogni giorno e il versetto aveva ogni giorno un significato nuovo.



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