27 novembre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Vegliate perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà



I DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A)

Is 2,1-5                     Rm 13,11-14             Mt 24,37-44

OMELIA

La festa di Cristo Re ha collocato la nostra attenzione sulla pienezza della gloria. La vita è un cammino verso l'incontro trasfigurante con il Maestro divino e davanti a questa grande meta nasce il tempo dell'attesa. Il tempo dell'Avvento allora va letto come il tempo dell'accoglienza di questo Signore che è il criterio di fondo della nostra esistenza. Cristo è presente, si fa attendere e sarà la pienezza della nostra vita: questi tre aspetti devono diventare motivo della nostra riflessione.

Noi innanzitutto aspettiamo Colui che è già presente, qui, ora, anzi potremmo dire che “Lui in noi si fa aspettare”. Si tratta di quella profondità del senso del desiderio che abita nell’interiorità di ciascun uomo, il desiderio della realizzazione della vita, il desiderio della giustizia, della verità e dell'autenticità, secondo quanto ci ha suggerito il profeta Isaia nella prima lettura: il desiderio della armonia cosmica, dove tutti i popoli, nella luce del Signore, potranno finalmente incontrarlo nella pace. È una verità questa presente nella persona umana, la quale intensamente desidera entrare in questo mondo di novità di vita. Attendere il Signore è attendere questa bellezza, dove ogni uomo sarà tutto nell'Uomo per eccellenza, Gesù, Signore della storia. Occorre però che noi ci facciamo guidare ogni giorno dall’atteggiamento, che è lo specifico del cristiano, che noi chiamiamo la speranza. Tutto il cammino dell'uomo nella storia deve essere animato dalla speranza. È molto bello quello che l'apostolo Paolo, iniziando la lettera ai cristiani di Colossi, afferma: “Rendo grazie al Signore per la fede in Cristo, la carità verso i santi, la speranza che ci attende nei cieli”. Il Signore è presente e si fa aspettare. Attendiamo colui che si fa attendere. Ecco perché il cristiano è così concentrato su questa presenza del Signore, su questo primato dell'invisibile che anima la storia visibile. Lui è la presenza di un mistero che avvolge la nostra vita, dalla nascita alla morte. Noi, nella nostra superficialità, spesso non ne siamo consapevoli. Abbiamo dimenticato nel nostro parlare l’espressione “mistero”, perché abbiamo dimenticato di essere mistero nel mistero. Forse non ci rendiamo più conto della grandezza del nostro essere uomini, creati a immagine di Dio, per diventare sua somiglianza. La condizione per entrare in questo cammino è prendere coscienza che lui è presente. L'uomo è sogno, l'uomo è attesa. L'uomo è un’intensa tensione verso il futuro, ma tutto prende significato da come costruiamo il presente e il presente è gustare ogni istante una presenza. Spesse volte nasce la domanda “Cosa vuole dire essere cristiani?”. L'unica risposta che noi possiamo dare è: “Cristiano è chi vive di Gesù, l’uomo autentico, l’uomo perfetto, l’uomo per eccellenza. Solo in lui l'uomo ritrova i parametri della sua vita”. L'attesa è propria di chi vive di lui: vive della sua presenza che dà senso a ogni esperienza, a ogni scelta, a ogni avvenimento. Attendere il Signore non è un'illusione, attendere Il Signore è percepire questa sua attualità nel nostro oggi. Quel Gesù, nel quale prende un significato nuovo tutta la storia, è in mezzo a noi, costruisce insieme a noi, se noi desideriamo colui che si fa desiderare, se non possiamo stare senza la sua persona. Questo secondo me è uno dei criteri fondamentali dell'Avvento: noi usiamo molti riti, utilizziamo molte riunioni, ma la bellezza della fede è il rapporto con il Maestro, nel quale ritroviamo la bellezza e l'autenticità della nostra storia. Ecco perché il secondo passaggio che dovremmo riuscire a cogliere fino in fondo è che questo Gesù, presente in mezzo a noi, è da noi intensamente desiderato. La speranza è la consapevolezza che Gesù in noi si fa desiderare. E allora il terzo passaggio che dovrebbe alimentare ulteriormente la speranza è attendere il Signore che verrà sulle nubi del cielo. La pienezza della nostra vita è il paradiso. Noi spesse volte non rivolgiamo lo sguardo verso questo orizzonte, perché abbiamo sostanzialmente un grande dramma spirituale: vogliamo vivere in modo assoluto le cose contingenti, che finiscono per dominare i nostri pensieri, le nostre relazioni, ogni nostra scelta. Ci privano della libertà autentica e ci fanno dimenticare la presenza che ci fa uomini. Dovremmo imparare a elaborare uno stile di vita nel quale Cristo Gesù sia il Signore, il Dio tutto in ciascuno di noi.

Il vegliare nel tempo di Avvento diventa così attendere la trasfigurazione dell’intera umanità, la revisione del mondo che entra nella verità, nella giustizia e nella autenticità. Ecco perché l'Avvento è un proiettarsi in avanti in una pienezza di vita nella quale Gesù sarà tutto in ciascuno di noi. È molto bello come l'apostolo Paolo, delineando il senso della vita, ci illumina sul nostro futuro, quando Cristo ci collocherà nella gloria del Padre, dove realizzeremo il nostro sogno della pienezza della vita! Ecco allora il trinomio che ci deve condurre in questo tempo dell'Avvento, fondato su una certezza: il Signore è presente! Siamo immersi in una relazione continua che egli vuole stabilire con ciascuno di noi. La sua è una presenza intensamente desiderata perché, nella sua essenza, è l'anima della nostra anima e, di riflesso, è una presenza che si compirà nell’incontro definitivo con lui, quando passeremo da questa storia all'eternità e lo vedremo luminoso, così come egli è, in una gloria che non ha confini.

Ecco perché il tempo dell'Avvento è il tempo della speranza: Dio è in mezzo a noi; è il tempo dell'attesa: Dio sarà la pienezza della nostra vita; è il tempo del coraggio di seguirlo senza dubbi e senza paure: chi può essere contro di noi? E allora l'Eucaristia che stiamo celebrando è il tempo dell'attesa. Ricordiamo sempre quelle espressioni che noi meccanicamente ripetiamo, senza coglierne la pregnanza: “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione nell'attesa della tua venuta”. Ci ritroviamo per maturare la gioia dell'attesa, gustando una presenza che avvolge, trasfigura e dà speranza ai nostri passi. E allora riusciamo a capire perché la Chiesa, nel tempo dell'Avvento, continuamente canti “Vieni, Signore Gesù, Maranatha!” È una presenza che illumina il nostro istante e allora, nell’Eucaristia che stiamo celebrando, cerchiamo di entrare in questo mistero, che è una realtà non facile da intuire nella cultura di oggi, ma se il Signore oggi è con noi, nell'Eucaristia il modo particolare è in mezzo a noi, noi abbiamo la certezza che stiamo proiettandoci verso la pienezza della vita, quando “Dio sarà tutto in ciascuno di noi”. Vegliare è stare svegli, animati in tutto il nostro essere da questa attesa, perché il Signore introduca ciascuno di noi nel suo grande mistero d'amore.

 

24 novembre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina



21 novembre 2022

20 novembre 2022

XXXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – NOSTRO SIGNORE GESÚ CRISTO RE DELL'UNIVERSO – ANNO C – SOLENNITÀ

2 Sam 5,1-3               Col 1,12-20                Lc 23,35-43

Omelia

La Chiesa, convocandoci a celebrare la solennità di Cristo Re, vuol aiutarci a ritrovare l'unità nella nostra vita. Il cristiano è il sacramento del Cristo vivente. Abbiamo ascoltato l’inno proprio della lettera di Paolo ai Colossesi, che è tutto incentrato sulla persona di Gesù nella prospettiva di ricapitolare in Cristo tutte le cose. La bellezza della nostra vita si chiama Gesù Cristo e questo è estremamente importante nella cultura di oggi che è tanto distratta, che non riesce a trovare il nucleo fondamentale della sua esistenza, ma nello stesso tempo sta vivendo un cammino di ricerca del significato della propria esistenza. La solennità di Cristo Re ci educa a dire “Gesù” nel cammino della nostra storia. Su questo sfondo risulta molto stimolante rivedere una parola cara all’ evangelista Luca che abbiamo poc'anzi ascoltato oggi sarai con me in paradiso. Siamo chiamati a vivere l’oggi del Padre in Gesù. E’ molto bello vedere come nell'evangelista Luca la parola “oggi” sia estremamente importante. Al momento dell'Incarnazione gli angeli proclamano: oggi è nato per noi il Salvatore; all'inizio della sua vita pubblica il Maestro afferma: oggi le scritture si sono realizzate, nella conversione di Zaccheo egli dice: oggi la salvezza è entrata in questa casa, per cui questa mattina abbiamo sentito: oggi sarai con me in paradiso. Questa visione ci permette di rileggere in modo nuovo la nostra esistenza, inserendola in quella di Gesù.

Noi siamo catturati dallo scorrere del tempo, dimenticando che la bellezza della salvezza è oggi, oggi il Signore è in mezzo a noi, e questo ci dovrebbe fare intuire che ciò che conta per il cristiano è continuamente assimilare la personalità di Gesù. Infatti Gesù - dice la lettera agli Ebrei - è ieri oggi e domani -.  Ricordiamoci sempre che il cristiano è la vivente storia di Gesù.

Una delle drammatiche realtà di oggi è che Gesù è il grande dimenticato. E’ molto bello come papa Benedetto nel suo documento sull'inizio dell'anno della Fede ponga in luce tre aspetti fondamentali nel nostra cammino di credenti: l'amicizia di Gesù, la signoria del Risorto, il dramma del pragmatismo ecclesiastico. Queste tre dinamiche nella festa di Cristo Re devono diventare tre pensieri che animano il senso di questo “oggi”. Oggi Gesù è il nostro amico. Ricordiamo sempre la bella espressione dell'evangelista Giovanni Voi siete miei amici, è la dimensione relazionale della nostra esistenza, ogni giorno il Signore è colui che ci apre alla sua amicizia, è questo fascino che penetra in noi e ci dà il senso della nostra esistenza. Oggi il Signore è in mezzo a noi, oggi si incarna, oggi ci spiega le Scritture, oggi ci dona la novità della vita, oggi ci porta in paradiso. L'uomo è catturato dallo scorrere del tempo e dimentica la bellezza di questo “oggi”. Ecco perché un primo elemento che deve farci pensare della festa di oggi è rappresentato l'amicizia di Gesù. Ecco perché abbiamo ascoltato l'inno della lettera al Colossesi in un contesto culturale nel quale si dimenticava lentamente l'esistenza di Gesù e il valore del mistero della chiesa nella costruzione della comunità dei discepoli: ricapitolare in Cristo tutte le cose. Il principio, lo scorrere del tempo e la sua fine hanno il loro nucleo in Cristo Gesù centro del cosmo e della storia. E’ determinante oggi lasciarci prendere dal mistero di Gesù come il criterio fondamentale della vita.  Gesù il Risorto è il vivente in mezzo a noi. Se noi ci ponessimo la domanda - quale sia il senso portante della nostra esistenza - troveremmo questa risposta: oggi vivere di Gesù. E’ molto bello, usando l’immagine a chi ci ponesse la domanda: ma lei dove abita? recuperare quello che Paolo ci direbbe: abitiamo in lui! In Cristo Gesù! In tal modo siamo invitati a ritrovare la bellezza della nostra esistenza nel mistero di Cristo. Il cristiano, se sa coniugare questi due aspetti dell’amicizia di Gesù e della nostra abitazione in lui, supera il dramma di quello che Papa Benedetto chiama: l'ateismo pragmatico: pensiamo che l'essere cristiani sia fare tante cose…E’ molto bello come oggi gli studi dicono che esistono due tentazioni forti per non credere: i riti e l'organizzazione. La bellezza della vita è il Risorto che qualifica la nostra storia e ci dà il senso della vita. Se noi vivessimo i 4 oggi a cui abbiamo accennato - oggi è nato per voi un Salvatore - oggi le scritture si sono realizzate - oggi la salvezza è entrata in questa casa - sapremmo costruire anche oggi sarai con me in paradiso. Vivere il presente con tutta la sua pregnanza: oggi! E questo noi lo cogliamo se per un momento ci soffermiamo a riflettere: cos'è la vita? Perché ci ha creati il Padre? Qual è il metro a cui noi facciamo continuamente riferimento per essere noi stessi? la risposta sarebbe una sola: il Cristo!

Nel momento in cui dimenticassimo questo valore portante il contingente diventa un assoluto. Ecco perché è bello celebrare la festa di Cristo Re oggi, perché la bellezza del tempo è innamorarci giorno per giorno sempre più di Gesù che ci ha chiamati ieri alla fede e che oggi nel rito ci trasfigura perché nelle scelte di tutti i giorni costruiamo un'esperienza mistica. Affascinati veniamo ricreati per poter veramente diventare dei trasfigurati!

Ecco la bellezza della festa di oggi: ricapitolare in Cristo tutte le cose per poter gustare oggi sarai con me in paradiso.

In tale orizzonte chiediamoci: cos'è l'Eucaristia che stiamo celebrando? Ed è sempre bello andare alla frase del passaggio che in suo scritto ci offre Sant’Efrem a proposito dell’interrogativo: cos'è l'Eucaristia? Il centro del cosmo e della storia è Gesù, la celebrazione eucaristica è l’essere presi per mano da lui per essere condotti nel giardino del paradiso terrestre e per poterci accostarci al l'albero della vita. Quando sacerdote dirà all’inizio della preghiera eucaristica: - il Signore sia con voi! - il Risorto ci prende per mano, ci conduce nella grande preghiera, per essere trasfigurati in lui, per poterci poi alla comunione accostare all'albero della vita: Beati gli invitati alla cena della nozze dell'Agnello, Ci accostiamo all'albero della vita! E allora è bello nella festa di oggi percepire questa presenza di Cristo che ci trasfigura in atto e ci rende creature nuove. Se noi vivremo la nostra storia come “oggi”, ci accorgeremo che oggi Dio è fedele, oggi Dio ha fiducia di noi e si trasfigura, oggi ci dice con me sarai in paradiso! La comunione gloriosa risulta quanto mai evidente! Cerchiamo di chiedere allo Spirito Santo che in questa Eucaristia sappiamo vivere oggi il corpo di Cristo con l’entusiasmo del nostro Amen! In quel momento gusteremo quella eternità beata che è la delizia della sua vita e della nostra storia, dicendo al Signore: Vieni Signore Gesù! La bellezza di questa gustazione divina sta nell'Eucaristia che è il senso della festa di oggi! Chiediamo allo Spirito Santo che ci doni questa bellezza, questa soavità del cuore in modo che la presenza del Maestro sia la nostra letizia, il sacramento la nostra speranza, il vissuto, la gioia di attendere quell'incontro quando Cristo sarà tutto in tutti nella luminosità gloriosa del paradiso.

 

Oggi, qui, Dio ci parla...

Oggi sarai con me in paradiso



13 novembre 2022

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C -

Ml 3,19-20               2Ts 3,7-12                Lc 21,5-19

OMELIA

Il cristiano costruisce la sua storia quotidiana fondandosi sempre più su Gesù Cristo, senso della vita. Anzi, ci accorgiamo che, nello scorrere del tempo, si dilata in noi il desiderio di conoscere il Maestro divino: il tempo è il luogo per innamorarci sempre più di Gesù. In simile orizzonte, il testo evangelico di questa mattina ci aiuta a scoprire alcuni valori, ai quali dobbiamo fortemente rimanere ancorati per costruire in modo autentico la nostra esistenza, e ci ricorda come la venuta del regno di Dio passi attraverso la violenza, la drammaticità e l'oscurità delle vicende umane.

Il linguaggio che Gesù ha usato è un linguaggio che noi potremmo applicare a qualunque periodo della storia, poiché oscurità, conflittualità, rotture storiche rappresentano una costante, se guardiamo attentamente l'accadere degli avvenimenti. Ma in tutto questo Gesù ci dice: “Io sono in mezzo a voi!”. Davanti al buio della storia possiamo gustare la luminosità della salvezza nella presenza del Signore. Il buio della storia ci fa innamorare sempre di più della sua luce, in modo che non ci lasciamo catturare dagli avvenimenti contingenti. Il dramma nel quale noi potremmo cadere, davanti alle situazioni caotiche del momento presente, è essere afferrati da realtà prodigiose, che vorrebbero in certo qual modo saziare il senso di curiosità e di superficialità dell'uomo, che, con il magico, tenta di riempire il proprio vuoto spirituale. La bellezza è ritrovare questa presenza di Cristo, che è la luce nelle tenebre. Il cristiano, conoscendo Gesù, è sempre nel mistero della luce. Allora, come possiamo accostarci a questo Cristo che è luce nelle tenebre? Sicuramente la nostra sensibilità umana va incontro a non poche difficoltà, ma la grande scoperta che Gesù ci offre, attraverso il testo evangelico e soprattutto attraverso le parole di Paolo, è la convinzione che il Signore è qui, in mezzo a noi, e opera sempre con noi. Il Signore nella sua esperienza abita in noi, il Signore è il nostro Amico! E quando l'uomo sa gustare la presenza di Cristo - l'Amico - la vita diventa diversa. Non è una presenza che esternamente affascini. È una presenza vera, ma nascosta, invisibile che anima il visibile. È il mistero di quella bella espressione di Gesù, che noi troviamo nel Vangelo di Giovanni: “Non vi chiamo più servi ma amici!”. E l'amicizia è un incontro di interiorità.

Spesse volte ci si pone la domanda: come possiamo veramente gustare la presenza del Signore? Il Signore è l'Amico che abita in noi e, quando si costruisce con il Maestro una profonda esperienza di amicizia, avviene quello scambio di interiorità tra il Maestro e noi, che ci dà certezza, sicurezza, superamento delle paure e delle tragedie storiche. Usando una frase di Paolo “Se il Signore è con noi, chi può essere contro di noi?” è quella intimità che noi dovremmo continuamente costruire nella nostra esistenza per cui, abitati da lui, abbiamo il gusto della sua presenza. E la presenza non è mai statica, la presenza non è mai fredda, la presenza non è mai asettica, ma è una relazione che coinvolge la persona in tutto il suo essere.

Noi cristiani qualche volta dimentichiamo questa coscienza di amicizia. È molto bello come papa Benedetto, aprendo l'anno della fede, ci abbia ricordato questa verità: chi è l'uomo credente, se non colui che ama essere amico di Gesù? E quando entriamo nell’amicizia con Gesù, la nostra persona è piena di qualcosa di eccezionale: il Signore nella nostra vita!

Nel momento in cui cogliamo questo primo aspetto, ci accorgiamo che, se anche la nostra vita è dispersa da tante preoccupazioni, abbiamo una solidità: “Solo in Dio riposa l'anima mia, da lui la mia speranza; solo in Dio riposa l'anima mia, da lui la mia salvezza”. È un'amicizia che determina la nostra vita e ci dà fiducia e speranza in qualunque avvenimento, allora l'ultima parte del vangelo è un po' un corollario. Spesse volte, soprattutto nei contesti odierni, ci si pone l'interrogativo: come ci dobbiamo comportare nelle scelte quotidiane? Quali dovrebbero essere gli atteggiamenti che dovremmo scegliere? Quali sono le parole a cui attingere il significato della nostra storia, per poter rendere la nostra esistenza veramente autentica secondo lo stile del vangelo?

Gesù ci ha detto che non dobbiamo preoccuparci. In quel “Non preparate per tempo la vostra difesa” scopriamo l'espressione della vera amicizia con Gesù.

Quando la persona è intimamente unita al Signore, il Signore che è in noi, l'Amico per eccellenza, ci suggerisce le parole… Non siamo noi che parliamo, ma il Cristo, dimorando in noi, diventa la parola che regaliamo ai fratelli. Siamo il volto luminoso di Cristo e abbiamo il coraggio di dire nella concretezza della storia: Gesù è il nostro Signore!  Quando c'è interiorità profonda fra due persone, non si preparano mai discorsi, ma nasce spontaneo il linguaggio e il Signore che è in noi fa cose grandi! Ecco perché Gesù ci dice, ed è l'ultima parola del Vangelo, “Con la vostra perseveranza salverete le vostre vite”. Se veramente ci lasceremo configurare da questa presenza del Maestro, non abbiamo paura, siamo nel suo mistero. Se anche la storia, in un modo o in un altro, ci potesse schiacciare, in lui che è fedele noi ritroviamo la bellezza e la potenza della vita. Il cristiano non si lascia abbattere dagli avvenimenti, perché il suo cuore è nell'amicizia di Gesù. Nell'amicizia c'è una comune sensibilità, c'è un camminare insieme attorno a comuni ideali, c'è la certezza di non essere mai soli e, quando l'uomo non è solo, è coraggioso. Portare la storia in due dà speranza, soprattutto se quei due siamo io e il Signore. La nostra esistenza diventa l'incarnazione semplice e quotidiana dell'intimità con Gesù. Ricordiamo sempre il testo evangelico “Perché gli uomini vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli. Chi fa la verità viene alla luce, perché sia manifesto che le sue opere sono state compiute in lui”.

Le nostre azioni ritraducono la certezza: abbiamo l'amicizia di Gesù! E quindi, davanti alle difficoltà, entriamo in noi stessi, scopriamo la bellezza di questa presenza creatrice di Gesù, che fa di noi persone nuove: è questa è la nostra speranza! Non lasciamoci distrarre dalle tante organizzazioni storiche, che sono una delusione, ma lasciamoci prendere da questa amicizia, da questa interiorità di Gesù, che diventa l'anima della nostra anima. Chi abita in noi, agisce in noi. Il nostro cuore, abitato dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, sarà la speranza della nostra quotidianità.

Ecco perché Gesù questa mattina ci ha condotti qui, alla celebrazione dell'Eucaristia, il centro della nostra amicizia, che è l'intimità tra lui e noi. Nel momento in cui ci accosteremo ai doni eucaristici, il pane e il vino entreranno in noi e l'intimità di Cristo ci sarà regalata. Quando entriamo in questa intimità con Cristo, allora, qualunque cosa avvenga, il Cristo è in noi e ci fa ritrovare quello slancio interiore che ci dà speranza, nonostante gli avvenimenti di tutti giorni. Il Signore è in noi! Fuori piove, ma noi siamo nella luce di mezzogiorno.

Questa è la bellezza che dovremmo ritrovare attraverso il cammino della nostra fede, per poter essere il Signore che regala la sua speranza e, mentre regaliamo la sua speranza, egli è ancor più radicato nelle nostre persone.

 

Oggi, qui, Dio ci parla...

Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita



11 novembre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva



06 novembre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C -

2 Mac 7,1-2.9-14               2 Ts 2,16-3,5                     Lc 20,27-38

OMELIA

La ricorrenza del ricordo dei nostri defunti ci pone la domanda circa il senso della vita, poiché l'uomo muore nello stile nel quale è vissuto. Nella bellezza feconda della fede sappiamo che non esiste la morte come meta dell’esistenza, ma la vita che anima ogni istante del nostro cammino quotidiano. E’ la meravigliosa bellezza del cammino credente. Il cristiano è un cantore della vita e questo lo possiamo cogliere attraverso un metodo interiore molto semplice: guardare Gesù. Ormai ci siamo allenati nel cammino della nostra esistenza a guardare il Maestro e il Maestro è colui che vive continuamente in noi, e nel Maestro è la vita. In lui ogni istante vivere un profondo significato esistenziale.

Insieme cerchiamo di intuire quale esperienza siamo chiamati a costruire contemplando Gesù davanti al mistero della morte. E allora intuiamo alcuni passaggi che ci permettono di illuminare la morte e di cantare la vita.

Se noi ci chiedessimo quale sia il senso del nostro essere profeti nella nostra scelta di Gesù, la risposta è molto semplice: cantare la vita! Ricordiamo sempre la bella espressione di Gesù Io sono la vita e la risurrezione. In tale orizzonte come noi possiamo entrare in questa esperienza? Innanzitutto guardiamo a Gesù. Se guardiamo a Gesù egli continuamente considera se stesso come il Dio della vita, perché ne è la fonte e la meta, mentre ci permette di rispondere al suo amore in ogni istante. Soprattutto nel Vangelo di Giovanni noi cogliamo continuamente questa espressione Io sono, io sono la vita, il senso della vita, sono la grande meta della storia. Nel momento in cui noi entriamo nella contemplazione di Gesù, in lui, c'è il senso della vita. Ecco è sempre bello andare al Salmo Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti.

La bellezza della vita è Gesù. Gesù non è venuto a dare risposte concrete al senso della nostra esistenza, lui è venuto per regalarci la vita, per regalarci quel mistero che dà senso al nostro istante. Il cristiano, davanti agli interrogativi che la storia continuamente gli offre, si lascia attirare da Gesù, si lascia affascinare dalla sua persona, e in lui è la vita. Ecco perché il cristiano davanti al discorso della morte canta la vita. In certo qual modo la morte è la condizione per godere eternamente la vita. I nostri occhi passano dal mondo sensitivo al mondo glorioso. Quando un fratello muore la Chiesa ci offre quella meravigliosa preghiera: Venite angeli del Signore, accogliete la sua anima e presentatela al trono dell’Altissimo. La bellezza della vita è desiderare il volto del Signore: quando vedrò il tuo volto? Tale linguaggio esprime la tensione interiore del nostro cuore. Siamo nati per contemplare eternamente il volto di Dio! E’ una verità che deve impegnare la nostra storia: nati da Dio, diventiamo figli di Dio e nella maturità della fede contempleremo il Mistero. Ecco allora il primo passaggio nel nostro percorso spirituale: gustare la presenza attiva di Gesù nel quotidiano per accedere in modo fecondo al mistero della vita. E questo è possibile perché Gesù abita dentro di noi, lui è nella nostra persona. Qualche volta abbiamo un concetto di Gesù presente come “accanto a noi”, come un mistero da inventare copiandone gli atteggiamenti, Gesù abita in noi! È un'esperienza che noi dovremmo continuamente rifare e rinnovare nel nostro spirito: Lui è in noi, per cui tutta la vita - ed è il secondo passaggio - è una ascensione verso la gloria eterna.

È molto bello come sant'Ambrogio, grande vescovo di Milano, nel delineare il significato della vita cristiana al momento dell'iniziazione sacramentale a Cristo nella chiesa dice: “Noi abbiamo ricevuto un segno di immortalità divina perché la nostra anima sia in ascensione verso il mistero della gloria”. Se noi guardassimo attentamente il rito battesimale, ci accorgeremmo che è un canto di gloria e di vita, come pure la luminosità dell'unzione, la immacolatezza dell'abito nuziale, che ritraduce quella luce eterna che sarà la Gloria per tutta l'eternità. Innamorarci di Gesù è entrare in questa eternità beata. Ecco perché i figli dei Maccabei, nella prima lettura, sono un canto alla pienezza della gloria nella fedeltà divina. Riscopriamo la presenza di Cristo dentro di noi come un espandersi di Risurrezione. Nel momento in cui fisicamente moriremo, si apriranno davanti a noi orizzonti di gloria futura per cui eternamente canteremo al Maestro la gioia per il dono della vita. Ecco perché Gesù ha detto che il nostro Dio non è il dio dei morti, ma dei viventi! Nati da Dio, Dio agisce in noi per portarci all'eternità beata. Il cristiano quando si pone interrogativi più profondi della sua esistenza quale il senso del morire, il cristiano deve contemplare Gesù, entrare in quel mistero e risentire la meravigliosa e feconda esperienza della Risurrezione. Gesù è il desiderio dei nostri desideri. E’ sempre bello con San Giovanni della Croce dire nel momento in cui incontreremo il Signore: “Finalmente ti vedo dopo averti desiderato per tutta la vita. Ora ti vedo faccia a faccia!”

Se noi riuscissimo a cogliere questo secondo passaggio, il terzo diventa il modo di concepire la nostra storia: leggere tutto lo scorrere dell’esistenza in chiave di eternità, leggere la nostra esistenza come un fiorire dell'Eterno nella nostra persona0, come uno sviluppo di quel desiderio più profondo presente nel nostro spirito di vedere il Signore, come il criterio portante della vita. Com'è bello quando un fratello chiude gli occhi nella morte dire: sta contemplando la gloria inesauribile di Dio! E’ questa la grande forza, la grande luce, la grande speranza di cui noi dobbiamo essere continuamente rivestiti. E allora davanti al mistero della morte gustiamo la gioia della vita contemplando il Maestro divino, ascoltando e personalizzando le sue espressioni: Chi crede in me anche se morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Egli dimora in noi e rappresenta il criterio del nostro istante. E tutto questo non è un'illusione. Tra poco ci sarà detto: “Beati gli invitati alla cena delle nozze dell'Agnello” e questa formula rituale costituisce l'invito alla gloria del paradiso. In quel momento ci accosteremo alla comunione gustando in modo pregustativo l’eternità beata e diremo con il salmista: quanto sei soave O Signore!  Con tale esperienza la sua vita divina ci riempirà di entusiasmo. Di conseguenza il morire è significherà incominciare a vivere in pienezza come di nuovo ci insegna il rituale del morire: Venite angeli del Signore, accogliete la sua anima, accogliete la sua persona e presentatela al trono dell'Altissimo. In quel banchetto eterno che sarà il paradiso gusteremo la pienezza della nostra esistenza.

Questa mattina il Signore convocandoci attorno a sé ci ha offerto un grande sollievo di fronte all’interrogativo: perché la morte? E la risposta che ci offre la fede è chiara: per cantare in modo permanente la vita! Chiediamo allo Spirito Santo che ci illumini veramente. L'uomo contemporaneo nasconde il morire perché non è innamorato del vivere, e allora entriamo in questo orizzonte con tanta serenità di cuore, nella meravigliosa certezza che guardando Gesù saremo raggianti, respireremo la vita eterna e crescerà il desiderio nello scorrere degli anni di vedere il suo volto glorioso per tutti i secoli dei secoli.

 

02 novembre 2022

Oggi, qui, Dio ci parla...

Chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna

COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

Gb 19,1.23-27   Rm 5,5-11   Gv 6,37-40

OMELIA

Celebrare il ricordo dei defunti, dopo aver condiviso la gloria del cielo con i santi, ci permette di leggere in modo nuovo e positivo la celebrazione di oggi, perché la bellezza della fede è cantare la vita. Oggi, davanti agli interrogativi che nascono circa l'esperienza della novità cristiana, appare chiara questa visione: la fede è cantare la vita. Anche se l'uomo Istintivamente può essere attirato dalla morte e dai suoi interrogativi, la bellezza di ritrovarci nell’Eucaristia è cantare la vita. Chiunque è in Cristo Gesù è nella vita e questo ce lo ha detto molto bene la parola che poc'anzi abbiamo ascoltato, soprattutto se cogliamo la vita nel mistero del Vangelo di Giovanni.

 Chi è l'uomo? Quando noi siamo davanti alla morte, nasce l'interrogativo circa il senso della vita. La vita è un mistero rinchiuso nella vita delle tre Persone Divine. La vita è la fedeltà di Dio alla storia e Dio non viene mai meno alla sua fedeltà.  Nella spiritualità del Basso Medioevo c'era forte questa affermazione: noi siamo stati concepiti in Dio, perché nella quotidiana imitazione di Cristo, possiamo godere eternamente Dio. È la bellezza della vita. Questa mattina il testo di Giovanni ci aiuta benissimo. Chi è l'uomo? L'uomo è un regalo del Padre al Figlio. “Chi viene a me, io non lo caccerò fuori.”  Nel momento in cui noi nasciamo, anzi nel momento in cui noi veniamo concepiti, il Padre ci sta regalando al Figlio. La vita è una meravigliosa relazione Padre – Figlio e, poiché i due sono operativi nello Spirito Santo, la creatura umana è un capolavoro trinitario. E nella Trinità c'è solo la vita. È un mistero che noi dovremmo riuscire a cogliere fino in fondo, per cui accogliere il Signore è entrare nel mistero della vita.

Infatti cos'è il morire? è il ritornare all'origine. È molto bello come la divina liturgia, quando il fratello muore, in quel momento utilizza una bellissima antifona: “Venite santi di Dio, accogliete la sua anima e presentatela al trono dell'Altissimo”. Chiudiamo gli occhi alla storia, li apriamo subito all'eternità beata, attraverso quel misterioso passaggio che si chiama Purgatorio.  Misterioso passaggio: è l'istante creativo della Misericordia di Dio.

 Allora, se noi guardiamo la tradizione dei primi tre secoli, la morte era una benedizione al Dio della vita. Ecco perché Gesù ha detto: “Io lo risusciterò nell'ultimo giorno.” Ma cos'è l'ultimo giorno? Se entriamo nel cuore di Giovanni, l'ultimo giorno è Gesù. “Io sono l'alfa e l'omega, il principio e la fine, Io sono il vivente”. Il Padre, regalandoci al Figlio, ci regala al mistero della vita. È molto bello, quando muore un fratello, che noi nella fede diciamo: “Sta contemplando Il volto trinitario di Dio.” È la luminosità. Questo dovrebbe essere il canto alla vita.

Ricordare i morti è cantare la comunione con i viventi, in una meravigliosa sintesi sinfonica, che noi ritroviamo ogni giorno quando andiamo all'Eucaristia. Quando, all'Eucaristia, noi cantiamo il “Santo, santo, santo”, e la liturgia bizantina qui è molto ricca, noi stiamo cantando il “Santo” con gli angeli, lo stiamo cantando con i santi tradizionali, ma lo cantiamo con tutti i viventi. La liturgia bizantina, quando canta il “Santo”, canta la luminosità dei defunti. Quindi la bellezza di quell'ultimo giorno è la personalità di Gesù, che assorbe in sé l'umanità tutta e la porta alla destra del Padre. “Accogliete la sua anima”, a mo’ di preghiera, perché siamo nella meravigliosa gratuità di Dio.

È una cosa che dovrebbe stimolarci a un gaudio, per cui la liturgia antica, davanti a un morto, benediceva il Signore, cantava le meraviglie del suo amore. È una cosa questa che noi, a causa della spiritualità Medievale, soprattutto cluniacense, abbiamo perso. È la bellezza di cantare la vita.  Quando un fratello muore, abbiamo un santo protettore in cielo, in una meravigliosa comunione di gloria, che ci avvolge e ci fa dire: “Fratello, accompagnami nel cammino della vita”. Ecco perché ci ritroviamo nell'Eucaristia, per cantare la meravigliosa comunione tra cielo e terra. Noi abbiamo dimenticato quella grossa verità che ci dovrebbe caratterizzare: la comunione dei santi, che è comunione ai doni eucaristici, che sono i doni santi, attraverso la comunione fraterna, l'assemblea, in cui sono presenti tutti i defunti. L'Eucaristia è il banchetto universale. Se scoprissimo la spiritualità delle catacombe, ci accorgeremo che quando celebriamo l'Eucaristia, i nostri defunti sono presenti nell’assemblea liturgica stanno bevendo al calice eucaristico, in una visione di eternità beata che ci avvolge fino in fondo. Ecco perché, all'inizio della riforma liturgica, il criterio dell’abito liturgico non era il colore nero, ma un abito bello, riflesso della bellezza divina che si attira. I morti sono nella bellezza di Dio. Questa è la grande speranza che ci avvolge continuamente. I morti, dice la liturgia bizantina, sono al cimitero come reliquie, ma i morti sono i viventi attorno al banchetto eucaristico. Nell’Eucaristia cantiamo la gioia e la bellezza della vita. Usando l'espressione forte: i morti non esistono, esistono i viventi e, con il linguaggio della liturgia di ieri, seguono l'Agnello, cantando un canto nuovo.

Quando, tra poco, canteremo il Santus, in quel momento riviviamo anche noi la mentalità della liturgia bizantina, dove siamo uniti agli angeli, ai santi e a tutti i defunti. I nostri defunti con noi stanno cantando. Usando un'immagine a me cara, i nostri defunti al Santus stanno vivendo quel quadro meraviglioso della Primavera del Botticelli: cantano la Bellezza. Ecco perché dovremmo imparare dalla vera liturgia a vedere che nell’Eucaristia incontriamo i viventi, coloro che nella vita abbiamo amato. Se noi ci lasciassimo spiritualmente, vivremmo una situazione di grande luminosità spirituale. Percepiremmo un intenso ed entusiasmante gusto di eternità beata che ci avvolge profondamente e ci dà la bellezza della vita. Chiediamo a Dio in questa Eucaristia di vivere questa comunione universale, dove quel canto del Santus non è altro che un “vedere” vicini a noi i fratelli defunti come viventi, che ci dicono: “Vi stiamo aspettando” per formare quella liturgia meravigliosa che è la Gerusalemme del cielo, in cui tutti noi seguiremo l'Agnello cantando Il canto nuovo che solo i 144000 conoscono: l'intera umanità. Il paradiso sarà un concerto luminoso con tutti i fratelli, nella contemplazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.  Entriamo in questa luminosità eterna e allora la festa di oggi non ha nulla di triste, non ha nulla di lugubre. Questa divina liturgia rappresenta il canto alla bellezza luminosa del paradiso, perché chi è defunto per la fenomenologia del visibile, in realtà sta camminando luminoso con l’abito candido dell’immortalità, nella bellezza gloriosa delle tre Persone divine, in un meraviglioso fascino di eternità beata.

 

01 novembre 2022

TUTTI I SANTI – SOLENNITÀ

Ap 7,2-4.9-14                    1Gv 3,1-3                Mt 5,1-12°

OMELIA

Il cammino del cristiano nella storia deve essere sempre animato da una grande speranza e celebrare oggi la festa di Tutti i Santi è ritrovare speranza nel cammino della vita. L'Apocalisse di san Giovanni questa mattina ci può aiutare ad essere un popolo ricco di speranza. In una condizione culturale di depressione esistenziale la festa di oggi proietta il nostro cammino storico in un clima di eternità beata. Perché è stata scritta l'Apocalisse, se non per dare speranza in un popolo che viveva in stato di persecuzione?

Rileggere oggi questo brano dell'Apocalisse è riscoprire la bellezza della nostra identità ritrovando quella speranza che è il coraggio del quotidiano e allora credo che, il brano dell'Apocalisse che abbiamo poc'anzi ascoltato, ci aiuti a cogliere tre aspetti

-siamo stati segnati, il sigillo della bellezza di appartenere al Signore

-abbiamo lavato le nostre veste rendendole candide, il gusto di appartenere all'eternità    beata

-lavando le nostre vesti nel sangue dell'Agnello, il Signore che è vita della nostra vita

tre aspetti che emergono dal brano dell’ Apocalisse e che dovrebbero, nella nostra cultura, ridarci entusiasmo, capacità di vita e speranza, davanti alle nubi che ci impediscono di vivere fino in fondo. Innanzitutto quei 144000, che è l'umanità intera, sono stati segnati con il sigillo, appartengono a Dio, quel sigillo che è nient'altro che la vita trinitaria nella quale il discepolo è immerso; non siamo di noi stessi, apparteniamo al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Quando ci poniamo la domanda del senso della nostra vita la grande risposta: siamo sigillati dalle tre Persone Divine, è quel gusto quotidiano della nostra esistenza, la vita divina che penetra nelle nostre dinamiche esistenziali. Paolo ha tradotto molto bene questa esperienza in un termine intraducibile in lui, quel sigillo è abitare in lui e abitare nel Cristo è condividere il cuore del Padre, è vivere la creatività inesauribile dello Spirito Santo. La nostra esistenza è Sacramento della vita trinitaria.

Spesse volte ci lasciamo prendere dai pessimismi storici e dimentichiamo la grandezza meravigliosa di appartenere alle tre Persone Divine, e queste tre Persone Divine sono il senso portante della nostra esistenza. Usando un’immagine la nostra persona umana è tabernacolo dei 3 personaggi più importanti della Bibbia: chi ci ha creati è il Padre, chi ci ha redenti è il Figlio, chi ci ha resi santi è lo Spirito Santo. La vita del cristiano è passeggiare con le tre Persone Divine. La cultura di oggi è facilmente colta da situazioni di debolezze psicologiche, di esaurimenti esistenziali, la bellezza della vita è appartenere alla Trinità per cui, qualunque siano le storie nelle quali noi veniamo immersi, la nostra vita è la Trinità vivente, ecco quell’essere segnati, che nel rito battesimale è l'azione crismale dove la potenza della Trinità impregna di sé la nostra personalità. E   il secondo passaggio hanno lavato le loro vesti rendendole candide è la luminosità della gloria futura. E’ molto bello come il cristiano dovrebbe facilmente andare alla grande visione dell'esperienza della Trasfigurazione le vesti candide del Cristo trasfigurato sono le nostre vesti candide, siamo la vivente luminosità Trinitaria. L'evangelista Marco ha un particolare ancora più bello nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche, siamo la luminosità Divina. Noi pensiamo che l'eternità sia domani, con tutte le paure che nascono davanti al mistero della morte, ma la nostra esistenza è già immortale ricevi la veste candida si dice nel battesimo, la luminosità di Dio, e questa esperienza delle vesti candide nella visione biblica è essere continuamente sotto l'influsso della creatività delle tre Persone Divine, l'esempio più semplice che il respirare è la volontà Trinitaria di farci vivere, e quindi la nostra esistenza è tutta immersa questa Trinità beata; quindi non solo apparteniamo – è la bellezza del Sigillo - ma siamo continuamente ricreati e questa ricreazione ha il suo centro nel sangue dell'Agnello.

Cosa vuol dire avere le vesti lavate nel sangue dell'Agnello? Vuol dire essere uomini radicalmente rigenerati, siamo di Cristo Gesù, siamo persone che vivono il suo infarto d'amore, siamo la sua bellezza che ci continuamente rinnova, collocandoci in autentica novità di vita. Ecco perché il cristiano nel cammino del tempo è già eternità beata perché appartiene alla Trinità, è rigenerato dalle tre Persone Divine e nel sangue dell'Agnello è rinnovato continuamente, in un clima di gloria futura. L'autore dell'Apocalisse attraverso questo testo dava speranza alla sua comunità travagliata dalle persecuzioni di Nerone, la bellezza di questo testo nella cultura di oggi è vivere di eternità che dà ebbrezza, luminosità, gioia al nostro vissuto quotidiano. Se noi dovessimo ritradurre nel cammino sacramentale della nostra esistenza questo brano dell'Apocalisse coglieremmo tre passaggi, i tre passaggi che in modo immaginifico l'autore dell'Apocalisse ci ha regalato: segnati, Cristo abiti mediante la fede, nei vostri cuori essere Sacramento della presenza reale di Cristo, per cui in una tentazione di depressione esistenziale ritrovare la bellezza di essere tabernacolo del Cristo, essere affascinati da questa presenza sacramentale che è dentro di noi. Ecco perché - ripeto - il testo di Paolo: Cristo abiti, siamo abitati della Santissima Trinità e attraverso il battesimo questa esperienza di fede è diventare immortalità Divina. La bellezza di gustare il paradiso… Noi tante volte pensiamo che il paradiso sia domani, il paradiso è oggi perché siamo la presenza gloriosa di Dio, e allora in questo momento, celebrando l'Eucaristia laviamo le nostre vesti nel sangue dell'Agnello, l'Eucaristia è una ricreazione di immortalità beata. Quando celebriamo l'Eucaristia siamo nella attrazione della gloria del paradiso! Ecco perché la festa di Tutti i Santi, soprattutto nella celebrazione eucaristica diventa il canto di una fede che celebra l'immortalità Divina in una attesa del banchetto escatologico, di quel banchetto di eternità che qualificherà tutta la nostra esistenza. Pensate… come sarà bello quando il Cristo luminoso passerà a servirci nella Gerusalemme celeste rendendoci partecipi di una luminosità che è l'eternità beata. Nell'Eucaristia che stiamo celebrando pregustiamo, cresce il desiderio quel banchetto eterno nel quale la nostra esistenza sarà veramente realizzata. Quindi la festa dei Santi è la festa quotidiana dell’Eucaristia, dove ogni giorno veniamo trasfigurati. Viviamo questa bellezza della fede nel mistero eucaristico e allora nei momenti in cui dovessimo cadere in stanchezze esistenziali ritrovare la bellezza di appartenere, la bellezza di essere ricchi di immortalità, la coscienza che il sangue dell'Agnello ci rigenera nella vita facendoci pregustare quel banchetto glorioso, come tra poco ascolteremo: Beati gli invitati alla cena delle nozze dell'Agnello 

 

 


Oggi, qui, Dio ci parla...

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati