08 aprile 2018

II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (Anno B)



At 4,32-35   1Gv 5,1-6     Gv 20,19-31          
OMELIA
Il misterioso evento della risurrezione di Gesù dai morti è un evento che la comunità cristiana è chiamata a vivere in modo continuo e in modo sempre più intenso. Quello che è accaduto misteriosamente nel passato è sempre presente e attuale nella vita della Chiesa e offre a noi ogni giorno la presenza del Risorto perché il discepolo non può vivere senza il Risorto. Infatti la bellezza di essere discepoli è gustare giorno per giorno tale misteriosa e meravigliosa presenza, e la Chiesa, davanti a questa grande vocazione che le è stata offerta, oggi vuole aiutarci a come entrare in questa esperienza del Risorto. Dovremmo sempre più comprendere che il discepolo, nel cammino della sua vita, deve ritrovare la bellezza di Dio, con l'entusiasmo di poter affermare con gioia: sto vedendo il Risorto. La parola chiave che emerge nella scrittura proclamata questa mattina è una sola: si vive del Risorto perché si è in comunione fraterna. Dove c'è comunione fraterna lì c'è il Risorto, il Risorto è goduto ed è sperimentato da chi vive in comunione. Ecco perché la Chiesa ci ha offerto nella prima lettura il grande sogno dell'evangelista Luca: erano un cuor solo e un'anima sola e tutto fra loro era comune. La comunione è l'anima per sperimentare la risurrezione poiché la comunione è la capacità del fascino di un altro che abita nel nostro cuore, mentre ne condividiamo i sentimenti e gli stati d'animo. La comunione fraterna ci introduce nella profondità del mistero del Risorto. La comunione infatti non è altro che la gioia che sperimentiamo mentre gustiamo l'oggi del Cristo Risorto.

Una simile visione ci permette d'intuire il senso e la bellezza del racconto evangelico poiché la figura di Tommaso ci aiuta sicuramente a entrare in questa esperienza di comunione, ponendoci la domanda: perché Tommaso non ha visto il Signore?

Quando ci accostiamo al Vangelo di Giovanni, ci accorgiamo che le sue narrazioni sono "simboliche", utilizzano un certo linguaggio per far intravedere qualcosa d'altro. Quando l'evangelista dice che Tommaso non era con loro, non dice che fosse assente localmente dal cenacolo, ma era assente esistenzialmente dalla fraternità con gli altri perché non condivideva o non stava condividendo la bellezza dell'esperienza pasquale di Gesù. Il cammino che la Chiesa ci ha fatto percorrere per giungere all'esperienza della risurrezione ci ha introdotti nella verità e vivacità della passione di Gesù. Ecco perché Tommaso dice: se non vedo il segno dei chiodi, se non vedo il fianco trafitto non credo! Non si può cogliere l'esperienza del Risorto se non si hanno e non si vivono i segni della passione. Quel Gesù che è in mezzo ai discepoli è conosciuto, vissuto, visto da chi ha i segni della passione, da chi si è lasciato amare fino in fondo fino a donare la vita. La comunione non è stare insieme, la comunione è un condividere l'oblazione gloriosa di Gesù. Se non si entra in questa esperienza come possiamo vedere il Risorto? Se non viviamo la stessa interiorità del Maestro, come possiamo vederne la presenza? Chi vive fino in fondo l'esperienza del Cristo crocifisso gusta l'esperienza del Glorioso poiché il Vangelo è nient'altro che un entrare in questa affascinante vitalità di Gesù per poterne cogliere la profondità del mistero. La comunione nella Chiesa si vive quando si condividere con tutta la propria persona la stessa sensibilità di Gesù. La comunione non è fatta di cose, la comunione è vivere il mistero pieno e totale di una persona, che nel cuore di ogni credente è Gesù Cristo Figlio di Dio, nel quale si gusta la vita eterna.

Quando l'evangelista Luca nel tracciare il quadro ideale della comunità cristiana nella prima lettura ha detto che erano un cuor solo e un'anima sola non faceva nient'altro che ritradurre il principio della sapienza ellenistica nella quale si affermava che l'amicizia era essere due corpi in un'anima sola. La bellezza del Vangelo è entrare in questa unità di vita che è Gesù. Se noi non portiamo nel cammino della nostra esistenza l'oblazione di Gesù non c'è mai comunione, ci saranno parole, comunicazione di sensitività, rapporti intellettuali, ma non comunione evangelica. Ecco perché se vogliamo vivere dell'esperienza del Risorto dobbiamo vivere quello che ha detto Tommaso: mettere la mano nei segni dei chiodi, mettere la mano nel fianco trafitto del Crocifisso. Chi è nel fascino di Gesù, assumendone tutto il mistero dall'incarnazione alla esaltazione gloriosa alla destra del Padre, vede Gesù. Quando la nostra vita è costruita in Gesù e Gesù è il vivente in ciascuno di noi, noi lo vediamo perché la persona quando è intensamente innamorata vede presente anche quello che fisicamente può essere assente. Quindi intuiamo come l’imitare Gesù ogni giorno significhi veramente entrare con tutta la nostra persona nel suo mistero, possiamo veramente vedere Gesù.

Come possiamo dire ai fratelli la bellezza della nostra fede se non entriamo in questa convinzione che il Signore lo vediamo, come possiamo dire “è bello credere” se non vediamo, seppur attraverso l'occhio degli apostoli? Noi nello sguardo di Tommaso vediamo Gesù, in quel Tommaso che si lascia conquistare da Gesù noi vediamo Gesù. In questo intuiamo la bellezza feconda dell'essere discepoli, ma in noi rimane sempre il grande interrogativo: è possibile?

Davanti ai grandi orizzonti del Vangelo noi spesse volte abbiamo un dubbio e questo dubbio ce lo ha risolto la seconda lettura quando l'autore della prima lettera di Giovanni ha affermato che tre danno testimonianza: lo Spirito, l'acqua e il sangue dove lo Spirito, l'acqua il sangue insieme sono la vivente incarnazione della presenza di Cristo. Nello Spirito Santo che esce dal Cristo in croce e che ci è regalato nel Risorto, viviamo il clima della contemplazione del Maestro, in quell'acqua gustiamo l'evento creativo che ci rigenera al fonte battesimale e in quel sangue facciamo nostro l'evento eucaristico, con la meravigliosa conclusione che noi tutti siamo la persona vivente di Gesù. Ecco perché noi abbiamo ascoltato un'espressione che in modo immediato potrebbe creare in noi qualche difficoltà: “I miei comandamenti non sono gravosi” perché i comandamenti non sono l'insieme di prescrizioni ma lo stimolo "spirituale" a essere e a divenire il Cristo che è vivente in noi.

La conseguenza di tale luminoso evento sacramentale ed esistenziale è molto significativo: il vedere fa nascere relazione, la relazione fa nascere un processo di immedesimazione nel mistero che è Cristo e quando il Cristo è noi è il grande attore della nostra vita. Ecco perché ogni domenica ci ritroviamo qui, per vedere Gesù, per vedere Gesù con un cuore talmente innamorato del Maestro che non si può vivere in modo autentico e fecondo senza Gesù.

In questo momento, celebrando questi divini misteri, abbiamo lo sguardo del cuore abitato da Gesù, verso Gesù che è qui presente, e in quella comunione nella parola e nel sacramento noi gusteremo che è bello ed è soave stare con Gesù. Da una simile esperienza apprendiamo che la risurrezione non è qualcosa che è avvenuto ieri, non è la tomba vuota di ieri; la risurrezione è qualcosa che percepiamo con tutta la nostra personalità fisica e spirituale, ci sentiamo rigenerati!

Questo sia il mistero che vogliamo portare a casa questa mattina in modo da poter andare a casa e dire: " nella luce della fede, ho goduto della comunione con il Risorto insieme ai miei fratelli" e quando noi, nella fede, godiamo del Risorto la vita è ricca di fiducia, di speranza, abbiamo un'altra ottica nella quotidiana lettura della vita. Questo sia il mistero che Gesù ci vuole rivelare questa mattina per dirci che la risurrezione non è tanto cantare alleluia con i riti, ma la risurrezione è un alleluia vivente perché il Signore abita dentro di noi ed esulta nella nostra comunione fraterna, mentre siamo in attesa della trasfigurazione fraterna nella liturgia del cielo.

 
 
 
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