09 febbraio 2020

V DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - (ANNO A) -


Is 58,7-10     1Cor 2,1-5   Mt 5,13-16

OMELIA

Cristo è la luce del mondo. Il cristiano, immerso nel mistero del Maestro, ritrova la bellezza della sua vocazione ad essere nel mondo, con le parole che l'apostolo Matteo ci ha regalato: “Siate luce del mondo e sale della terra!”. Noi possiamo essere luce del mondo e sale della terra diventando una realtà sola con il mistero di Gesù. Egli è la luce, egli è il significato dell'esistenza, egli è la speranza di ogni umana creatura. Per accostarci a questa luce, di cui ci ha parlato anche il profeta, l'orizzonte è quello che delinea al nostro sguardo la grande affermazione dell'apostolo Paolo: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. La luce che appare nel mondo e dà speranza ad ogni uomo viene dal mistero di Cristo crocifisso.

Che cosa vuol dire questa espressione molto forte di Paolo? Immediatamente noi veniamo trasportati dal contemplare il Crocifisso, conclusione del cammino di Gesù, al suo inizio: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. È molto bello che nella traduzione si sia conservata la parola “carne”. Noi avremmo magari, da intellettuali, fatto la scelta del diventare “uomo”, ma la parola uomo è un concetto. Il Verbo si è fatto carne, nella piena coscienza di voler veramente assumere l’umanità e viverne tutta la concretezza storica. Gesù è luce del mondo e sale della terra, perché è divenuto la realtà più profonda dell’uomo, per essere la manifestazione dell’umanità in tutte le sue dinamiche. Non per niente Paolo, in questa Prima lettera a Corinto, definisce la croce “potenza e sapienza di Dio”, due parole nelle quali l'apostolo incarna cosa voglia dire che il Cristo ha assunto la storia dell'uomo ed è diventato il Crocifisso: la pienezza dell'amore umano di Dio.

Quando siamo davanti al Crocifisso, potremmo avere una lettura semplicemente statica - è in croce - dimenticando il mistero che vi è profondamente racchiuso: in quell'amore incondizionato all'uomo appare la bellezza della vita. Ecco perché il Vangelo è paradossale: non è un libro, non è una semplice parola, né il riflesso di mentalità storiche. Paolo fondamentalmente ha due affermazioni molto forti che ci fanno intuire questa esperienza della croce come sapienza e potenza di Dio “Il mio unico vanto è nella croce del Signore nostro Gesù Cristo” e, nel testo che abbiamo ascoltato poc'anzi, “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. È la sublimità dell’amore umano infinito di Dio, che nella tradizione spirituale ha dato origine al culto del cuore di Gesù. Il nostro Dio si è annientato nell'amore, come dice molto bene l'inno ai Filippesi: “ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce”. In questo orizzonte ci soffermiamo sulle due parole di Paolo: (la croce) potenza e sapienza di Dio. Infatti, la bellezza della persona di Gesù è avere amato l'uomo nella docilità piena allo Spirito Santo. Usando un'espressione dell'evangelista Luca: Gesù si è manifestato a quelli che non contano agli occhi degli uomini, è nato a Nazaret! Questa luce ci fa entrare nella docilità creatrice dello Spirito Santo, che porta Gesù a non contare davanti agli occhi del mondo, ma ad essere l'oggi dell'amore del Padre per ogni uomo. Non per niente fu messo a morte per salvare i criteri dei mercati commerciali dei Giudei nel Mediterraneo. Gesù ha costruito la sua esistenza come amore all'uomo, anche se questo gli è costata la vita. Gesù non aveva interessi di questo mondo Nello stesso tempo questa potenza, che è la creatività di Dio nell'uomo che ama l’uomo, diventa sapienza, modo di leggere e interpretare il reale.

La sapienza è lo stile interpretativo della vita, che acquisiamo come il modo di leggere la storia solo incarnandoci in essa, come ha fatto Gesù: “divenne uno di noi” - “colui che non conobbe peccato Dio lo trattò da peccato perché noi fossimo trovati giustizia in lui" - “da ricco che era divenne per noi povero, perché noi fossimo arricchiti mediante la sua povertà”. Ecco il mistero della croce nel quale ciascuno ritrova se stesso, perché su quella croce l'uomo storico si sente amato nella sua realtà concreta e contingente.

Noi possiamo essere tentati da un'esperienza di perfezione, che tante volte è una lettura egoistica della vanità dell'uomo, e dimentichiamo che la bellezza più profonda del Vangelo è entrare nella storicità di tutti i giorni, facendone il senso più vero della nostra esistenza.

Ecco perché noi questa mattina ci ritroviamo nell'Eucaristia. Paolo sempre in questa lettera ai Corinti dà una definizione dell'Eucaristia veramente eccezionale, che nasce dall'affermazione che abbiamo ascoltato: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”. L’apostolo infatti quando, nel ricordo dell'ultima cena, dice “Ogni volta che mangiate di questo pane e vi accostate a questo calice, voi annunciate la morte del Signore”, ci offre una formulazione molto importante della fede. Se entriamo nella profondità del valore della affermazione “annunciare la morte del Signore”, troviamo questa traduzione: ogni volta che mangiate di questo pane e vi accostate a questo calice, voi mettete in atto, nel rito, la sapienza evangelica che va controcorrente. L'Eucaristia è l'andare controcorrente: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine”. La fine è l'amore inesauribile di Dio per l'uomo nella sua concretezza.

La bellezza dell'Eucaristia è la sapienza del Vangelo che nasce dalla potenza dello Spirito e si incarna nel vissuto. Nell'Eucaristia è racchiuso tutto. Paolo è l'unico, nella tradizione antica, che abbia messo in luce “annunciare la morte del Signore”. Noi diciamo normalmente “morte e resurrezione”.  Paolo ha un'intuizione: se non entro nell'amare l'uomo fino in fondo, annientando l’io per amore, non posso gustare la potenza della resurrezione. Ecco perché, mentre annunciamo la morte del Signore, entrando nel mistero di Gesù che si regala fin in fondo all'uomo, gustiamo la resurrezione. Qui percepiamo il fiorire del giardino nel deserto: il deserto fiorisce quando l’anima, come il mistero di Cristo, entra nell'amore inesauribile per l'uomo concreto. Un'Eucaristia senza innamoramento dell'uomo non è l'Eucaristia di Gesù.

E allora credo che noi questa mattina, davanti alla proposta di essere luce del mondo e sale della terra, dovremmo imparare che la luce del mondo è il senso della vita: Gesù Cristo e questi crocifisso. In certo qual modo Paolo è entrato nel buio del misterioso incontro sulla via di Damasco e qui ha capito che il buio è la strategia, lo stile per poter essere la luce: vedere la resurrezione. Chiediamo allo Spirito Santo che ci dia questo stile di novità, che è il vero discorso sulla Chiesa. Più la Chiesa appare strutturata, meno annuncia che il Cristo è il Signore dell'umanità. È una realtà che dovremmo continuamente acquisire, per gustare quella libertà interiore che è diventare una persona: l'Eucaristia è il Vivente! Il Cristo entra in noi per essere, attraverso quel pane e quel vino, la luce del mondo intero. Camminiamo in questa visione con l'animo veramente aperto, lasciamoci innamorare dalla storia di Gesù divenuto carne, per potere, nella carne della storia, seminare quella vita divina che è la speranza per gli uomini di oggi, che non sanno più trovare speranza.




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