05 luglio 2020

XIV DOMENICA T.O. - (ANNO A)


Zc 9,9-10      Rm 8,9.11-13                   Mt 11,25-30              
OMELIA
L'evangelista Matteo, nel suo cammino pedagogico, dopo averci inviati ad annunciare il Vangelo, questa mattina concentra la nostra attenzione sulla preghiera di Gesù, poiché ogni azione apostolica è vera, autentica e feconda quando ci introduce nel mistero del Padre. Gesù che ci pone in stato di orazione. Comunicare l'ineffabilità di Dio, introdurre i fratelli nella comunione che unisce Padre-Figlio-Spirito Santo, vuol dire giungere a essere semplici ed essenziali nella preghiera, perché il pregare è rivelativo di ciò che abita il cuore dell'uomo. Ecco perché Matteo questa mattina ci orienta a entrare nel mistero di Gesù in preghiera: la verità di ogni azione apostolica sta nel ritrovare, approfondire, gustare il rapporto con Dio e, in questa preghiera, l'evangelista pone in luce tre aspetti fondamentali dell'uomo quando si pone in stato di orazione:
- il gusto del Padre;
-l'introduzione nel suo mistero di rivelazione;
-per potere gustare l'armonia della nostra persona: l'uomo in preghiera è l'armonia di Dio vivente.
E allora il primo elemento che noi cogliamo nel testo evangelico è quel Gesù che rende lode al Padre, Signore del cielo e della terra. Il discepolo, nella dinamica apostolica, ha l'intenso desiderio di accedere al volto del Padre: non si può parlare continuamente di Gesù e non entrare nella sua interiorità. Paolo, volendo dialogare con la comunità di Filippi, dice: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù”. Con queste parole intende ricordare loro che devono essere avviati a una tale intimità con il Padre, che la sensibilità del Padre rivelata da Gesù diventa la nuova sensibilità del discepolo. Il pregare è essere plasmati dalla intimità con le tre Persone, attraverso la quale noi siamo condotti a percepire la signoria divina. Ecco il primo elemento che Gesù ci regala.
La bellezza dell'azione apostolica è gustare l'intimità con il Padre. Questo è un aspetto liberante, perché non si guardano gli effetti dell'azione, ma la gustazione della propria identità: il Padre! Gesù, nel cammino della sua vita, ha sempre avuto la gioia del Padre, anche nella massima solitudine, come è stato nell'orto degli ulivi: il Padre era per lui il criterio della vita. In certo qual modo è bello che gli uomini ci deludano, perché, rimasti soli, possiamo gustare la presenza del Padre, in una intimità nella quale noi accediamo alla verità della nostra vita e, di riflesso, quando l'uomo entra in questa condizione, gusta il Dio che gli si rivela. È interessante come nel testo della preghiera Gesù dica: “Nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare”. La rivelazione non è la comunicazione di idee, la rivelazione è il riversarsi del cuore innamorato di Dio nel cuore dell'uomo. Noi pensiamo che l'esperienza cristiana sia un insieme di verità alle quali dobbiamo credere. L'esperienza cristiana è invece gustare l'atto amoroso del Padre che, in Cristo Gesù, ci rivela il suo cuore! Questa è la grande rivelazione! Portare l'uomo a una intimità nella quale il Padre, con Cristo Gesù, nello Spirito Santo, manifesta la grandezza inesauribile di un amore infinito. Pregare è respirare questa relazione d'amore infinito che plasma tutta la nostra storia. E sappiamo che Dio ci si rivela in Cristo Gesù anche attraverso il silenzio, l'assenza di parole, i fallimenti della vita, le sofferenze del quotidiano. Quando c'è in origine il Padre che ci rivela il suo volto dilatando in noi il suo cuore, noi stiamo veramente pregando. È qualcosa che dovremmo recepire. Occorre allora entrare nel silenzio del Padre, chiedere al nostro cuore di pulsare in sintonia con il suo, per gustarne la presenza amorosa.
Se cogliamo questi due primi aspetti, intuiamo il senso della frase successiva, che ci invita a entrare nell’armonia di Dio: “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò”. L’uomo, quando prega veramente, entra in questa armonia dove non si guardano i risultati, ma si percepisce la nostra più profonda identità. Per cui quel “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro” esprime il desiderio di Gesù di condurci a quella serenità del cuore e dello spirito con la quale ritrovare la bellezza e il gusto della vita. Ecco perché il nostro modo di pregare rivela ciò che crediamo. Pregare rivela ciò che siamo e ci fa avvertire la bellezza profonda della nostra dignità umana. È qualcosa che noi dovremmo recepire e che l'uomo di oggi desidera nel profondo del suo essere, è quella armonia interiore di cui tutti abbiamo bisogno. L'uomo riesce a trovare questa armonia quando sa cantare con la natura, sa gustarne la bellezza luminosa, sa percepire la storicità di tutti gli uomini come Parola del Padre, quando intuisce che, nel profondo del suo cuore, abitano – come in un meraviglioso tabernacolo - le tre Persone divine: è la nostra identità!
Ecco perché il cristiano non è preoccupato di tante cose. Se, nell'esperienza della vita, attraverso la sua realtà di lavoro, nella serenità che conserva nel cuore anche quando è preoccupato, regala la presenza di Gesù, il risultato è Gesù, è conoscerne il mistero fino in fondo. Allora, quando noi ci poniamo la domanda se veramente il nostro agire sia evangelico, la risposta è: “Fa’ la radiografia della tua preghiera e, se veramente vi troverai questa Presenza divina nella quale sei immerso e che ti dà la serenità del cuore, allora veramente hai annunciato il Vangelo!”
È quello che stiamo celebrando, perché celebrare l'Eucaristia è pregare. Tante volte non riusciamo a comprenderlo, preoccupati come siamo di fare tante cose, anche con il Signore e per lui. La bellezza dell'Eucaristia è pregare, è entrare con il gesto, con il silenzio delle parole in quella intimità divina. Se guardiamo attentamente, Gesù ci ha lasciato tutta la sua presenza in quel “rese grazie”, in quella dimensione orante nella quale egli, tutto nel Padre, ci ha regalato se stesso, in un’ammirabile esperienza di comunione. L'Eucaristia è la gioia di pregare in un grande silenzio interiore che diventa rito, diventa Parola, diventa canto, diventa linguaggio di fraternità. Chiediamo allo Spirito Santo, che in noi continuamente agisce e ci dà il gusto della risurrezione, come ha detto l'apostolo Paolo, di guidarci. Entriamo in questo atteggiamento interiore, allora la sera, anche se saremo stanchi diremo: “Sono strordinariamente contento, perché sono stato introdotto dallo Spirito Santo in qualcosa di meraviglioso: il rapporto di Gesù con il Padre”. Noi sappiamo che incominciamo già a gustare l'eternità beata fin da questo momento. Concludiamo le nostre giornate con queste parole: “Io ti rendo lode Padre, Signore del cielo e della terra, perché nella mia povertà hai rivelato quelle cose che in te portano armonia, gioia, fiducia, speranza e coraggio nelle croci feriali, in vista della pienezza della gloria che sarà il paradiso.”



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