Gs 24,1-2a.15-17 Ef 5, 21-32 Gv 6, 60-69
OMELIA
L'evangelista Giovanni, con il brano che abbiamo ascoltato,
conclude il suo discorso sul mistero della fede in Gesù. Questo discorso è
importante perché ritraduce da una parte la crisi della Chiesa alla fine del I
secolo, dall'altra per imparare ciascuno di noi a come conoscere Gesù. Infatti,
la conoscenza di Gesù è il centro di fondo della nostra esistenza. Se noi ci
chiediamo perché siamo cristiani, la risposta è molto semplice: il fascino di
Gesù è il senso portante della nostra esistenza. E allora è interessante
ripercorrere il cammino che Giovanni ci indica perché possiamo veramente conoscere
Gesù e giungere alla professione di fede di Pietro che abbiamo ascoltato nel
brano poc'anzi proclamato. La fede nasce dallo stupore!
Giovanni ci ha narrato il miracolo della moltiplicazione dei pani,
dove Lui è il grande protagonista. La
bellezza della fede è Gesù protagonista, è Lui che attraverso quel miracolo
apre il nostro orizzonte a qualcosa di straordinario. Quel miracolo è un segno
di qualcos'altro e, per entrare nella percezione di questo miracolo, un'unica
opera ci viene chiesta: credere in colui che il Padre ha mandato. E' quella
coscienza di ospitalità alla quale tante volte ci siamo riferiti in queste
domeniche: imparare a gustare Gesù ospite,
dove la nostra attenzione è alla sua Presenza. Ecco perché i discepoli fanno
quell'obiezione a Gesù: Questa parola è
dura! Chi può ascoltarla? Perché l'uomo è sempre tentato, anche nella fede,
di essere protagonista, è sempre tentato di voler capire, è sempre tentato di
vedere Gesù come se lo aspetta lui.
Per entrare nella fede dobbiamo veramente credere diventando
docili all'opera del Padre Nessuno viene
a me se prima il Padre non lo attira a sé, e tutti saranno ammaestrati da Dio.
Ma soprattutto quel linguaggio molto simbolico con il quale Giovanni ci
presenta il fascino della persona di Gesù: è l'immagine del mangiare e del
bere. Noi quando sentiamo Gesù che nel vangelo di Giovanni ci dice che occorre
mangiare il pane che è la sua carne, bere di quel vino che è il suo sangue, noi
pensiamo immediatamente al sacramento eucaristico, ma il vangelo di Giovanni
non intendeva questo! Mangiare e bere è nient'altro che la relazione amorosa
tra Gesù e noi, noi e Gesù.
E' il mangiare e bere degli occhi innamorati.
La bellezza della fede è perciò nient'altro che spostare il
baricentro dall'autosufficienza dell'uomo - che pensa di essere il Signore
della vita - alla persona di Gesù. Nello stupore, nell'essere alunni del Padre,
nell'essere affascinati dalla persona del Maestro, Gesù è veramente il Signore
della fede. Se noi non spostiamo questo baricentro dall'uomo autosufficiente e
autoreferenziale, non porremo mai atti di fede. Porremo gesti, rituali,
compiremo opere di carità di tenore sociologico, ma non potremo mai dire: “Credo!”.
Ecco perché quei discepoli se ne vanno, perché non hanno intuito
la bellezza della metodologia della fede dove l'uomo si lascia prendere dalla
persona di Gesù. Credere è, non solo dare ospitalità al Maestro rendendolo signore
della nostra vita, ma credere è che Lui divenga il protagonista della nostra
esistenza. Ecco perché Gesù ha detto le mie parole sono spirito e vita, la carne
non giova a nulla. L'uomo che vuol costruire la sua fede attraverso il suo
stile creativo, ama la chiusura alla fede, “le mie parole sono spirito e vita”.
E' lasciarci guidare, condurre dallo stupore! Se guardiamo la risposta di Pietro,
è la parola di stupore: Signore, da chi
andremo? E' quella attenzione totalizzante che Gesù ha generato in Pietro e
nella Chiesa: Signore, da chi andremo? E' in certo qual modo l'uomo che, nel
buio della storia, ha questo grido: Signore da chi andremo?
Il cristiano in questo modo supera tanti modi di essere cristiani.
Ci sono più modelli umani, che modelli divino-umani. L'esempio più semplice nel
quale si ritraduce questo tipo di esperienza è un'espressione che noi usiamo
spesse volte: vogliamo amare il Signore.
E quando noi usiamo questa espressione, siamo già partiti con il piede
sbagliato, quasi che siamo noi ad amare il Signore… Il criterio è lasciarci amare dal Signore. La bellezza
della fede è l'apertura dell'uomo che spalanca la propria persona ad una
invadenza che non comprende, ma che è la vita della vita. Da chi andremo? ...
E' il fascino di Gesù, è questo essere assetati della sua
creatività nella nostra esistenza: “Tu
hai parole di vita eterna, Tu sei il senso della vita”. Ecco perché quel
mangiare e quel bere è la sete del volto di Dio, una sete generata da Dio, una
sete costruita dallo Spirito Santo, una sete che vuol dissetarsi solo all'acqua
viva che zampilla per la vita eterna. L'uomo odierno è un praticante non
credente, è l'uomo che ha paura di affidarsi, di spalancare la propria persona
a un mistero più grande nel quale costruire la bellezza dell'istante.
Perché se guardiamo attentamente la risposta di Pietro, è luminoso
questo discorso: “Signore, da chi
andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu
sei il Santo di Dio”. La fede è la gioia di appartenere alle tre Persone
divine. E questo appartenere è il senso della vita. L'uomo autosufficiente dirà
sempre questa parola è dura, perché
l'uomo è sempre tentato di gestire il divino a propria immagine e somiglianza, è
la crisi della fede già nel I secolo, è la tentazione di immaginare Cristo come
vogliamo noi, dimenticando la bellezza profonda di questa creatività divina
nella quale noi respiriamo la libertà del cuore e la bellezza di appartenere.
E allora la bellezza di essere qui questa mattina è solo il
fascino di Gesù, siamo qui perché Lui ci ha attirati. Entrare in chiesa con lo
stupore dell'accogliere il Maestro, perché il Maestro ci possa parlare, ci
possa guidare e la nostra attenzione è alla sua persona. Il momento in cui noi possiamo verificare se
veramente siamo credenti è il momento nel quale noi ci presentiamo ai doni
eucaristici dove il Risorto in persona ci regala il suo corpo e il suo sangue.
Gesù, protagonista di questa celebrazione, diventa pane e vino per regalare se
stesso a noi Beati gli invitati al
banchetto delle nozze dell'Agnello… ecco
l'Agnello… e davanti a quel “il Corpo di Cristo” gli occhi si lasciano
trasfigurare da questa presenza e, guardando quel pane, l'accoglienza della
povertà della nostra mano per essere arricchiti dallo sguardo d'amore del
Signore.
L'Eucaristia è un mangiare di due sguardi che si incrociano nella
bellezza dell'atto di fede. Ecco perché Giovanni ha concluso il discorso sulla
fede con l'atto di fede della Chiesa (Pietro): Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo
creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio.
La bellezza della fede è dire: “Sono tuo. Sii il Signore del mio istante, guida il mio cammino,
trasfigura la mia esistenza”. E' quel silenzio che caratterizza le nostre Eucaristie.
Noi tante volte siamo dei distratti dalle tante cose che facciamo in chiesa e
dimentichiamo che nel silenzio di Dio fruttifica il vero atto di fede. Ogni Eucaristia
è la Parola uscita dal silenzio di Dio per entrare nel silenzio di Dio. E' il
silenzio gustativo “Quanto è soave il Signore”! E il silenzio è la gustazione
della soavità del cuore. Viviamo così questa Eucaristia e non abbiamo paura di
affrontare la via della fede come Giovanni ce l'ha presentata, per non essere
tentati dal chiasso rituale contemporaneo, per poter essere essenziali,
semplici: il Signore! E quando il Signore ci prende e ci affascina tutto
diventa secondario, tutto viene illuminato e nella speranza camminiamo nel
tempo in attesa del momento in cui, dopo aver ospitato Cristo nel sacramento di
una fede, saremo ospitati come Maria Santissima nella gloria luminosa del
paradiso.
Nessun commento:
Posta un commento