DOMENICA 26 OTTOBRE 2025
Sir
35,15b-17.20-22 2Tm 4,6-8.16-18
Lc 18,9-14
OMELIA
Gesù opera intensamente nella vita di ogni discepolo e
gli fa pregustare passo passo la grandezza del suo amore nella prospettiva
della pienezza della gloria.
Avviene in lui un processo di incessante attrazione,
che lo colloca sempre più nella luce divina, quella luce che deve animare e
qualificare la sua storia. Specialmente nell’esperienza della preghiera questa
dinamicità si rivela estremamente produttiva.
L’uomo veramente sapiente sa collocare i propri
parametri esistenziali nel mistero della propria relazione con il Dio che crea,
redime e santifica. Infatti, quando il
discepolo si pone della condizione della orazione, come accoglienza costante
della divina presenza nella propria concreta esistenza, avverte in se stesso
l’agire divino che lo stimola a lasciarsi permeare dalla gratuità che lo
avvolge, lo fa esistere, lo attira a sé e lo aiuta a ritrovare se stesso. È il
senso della parabola che oggi Gesù ci offre.
Il tempio rappresenta per eccellenza il luogo in cui
abita la gloria di Dio. L’uomo, “entrando nella nube del mistero”, avverte la
verità della propria condizione interiore e ritrova se stesso non solo come
creatura strutturalmente limitata, ma soprattutto come creatura che è
profondamente impregnata dalla condizione di peccato.
Sicuramente una simile convinzione serena e coraggiosa
della propria creaturalità lo porta ad accogliere sé stesso con tutti i propri
limiti esistenziali e a porsi in relazione viva con colui che gli può offrire
consistenza per le scelte quotidiane nello scorrere della sua vicenda storica.
Solo in chi ama essere piccolo Dio rivela la grandezza
del suo amore. La gioia della propria piccolezza, anche peccatrice, rappresenta
l’esperienza quotidiana per assaporare la grandezza inesauribile di Dio. L’ aspetto
tuttavia al quale Gesù vuole condurci e sul quale vuole richiamare la nostra
attenzione è quello di sentirci peccatori. Non solo siamo chiamati a prendere
coscienza della nostra piccolezza, ma anche ad avvertire la condizione di non
vitale comunione con la Fonte stessa della vita.
Tale esperienza è fattibile solo nella diretta
relazione con il divino. La luce che anima la parabola odierna del pubblicano e
del fariseo scaturisce dal tempio e ha come contesto il tempio. Solo alla
presenza di Dio l’uomo, che brama un’intensa purezza del cuore, ama sentirsi
pura gratuità divina e si lascia condurre a riconoscere il proprio peccato.
Nel tempio si fa l’esperienza di un peccato che nella
fede diventa luogo del darsi misericordioso di Dio che fà nuovo il cuore umano.
Il dramma del fariseo è quello di non sentirsi pura
grazia, con la grande tentazione del “protagonista”. Egli infatti, nel suo
atteggiamento, rivela l’incapacità di non saper amare la propria condizione di
radicale gratuità da parte di Dio. Il pubblicano, invece, si colloca in un
altro orizzonte e pone sé stesso pienamente nelle mani di Dio. Il suo
atteggiamento esteriore e le parole che fioriscono dal suo cuore sottolineano
la coscienza attiva della grandezza di Dio nella sua storia. Infatti la
coscienza di sentirsi peccatore fiorisce dal diuturno incontro con Dio.
Infatti se Dio smettesse di illuminare il cuore della
creatura e di offrirle la sua fiducia nello Spirito Santo, questa non
avvertirebbe mai la fecondità della presenza divina nella propria esistenza e
non ne godrebbe l‘infinita misericordia. La grandezza della persona umana è
quella di mettersi davanti a Dio e di lasciarlo operare nel proprio cuore.
Infatti il linguaggio del pubblicano ritraduce la ferma convinzione d’essere
sotto l’influsso dell’amore divino. Ogni riconoscimento del proprio peccato
incarna la fecondità dell’azione divina nel cuore della creatura.
Se guardiamo attentamente l’azione divina nel cuore
dell’uomo, ci accorgiamo come lo Spirito Santo illumini le profondità della
persona e le faccia comprendere come abbia operato scelte che non incarnavano
la vocazione alla comunione con Dio. É in Dio allora che l’uomo dice d’essere
peccato. Questo atteggiamento, che potrebbe sembrare in modo immediato
un’esperienza negativa, tuttavia risulta un momento fecondo per proiettarsi in
un itinerario di conversione, nel quale l’uomo si rende sempre più docile
all’azione dello Spirito Santo.
Egli si sente, nella propria persona, la
fiducia di Dio in atto.
Quando si vive tale esperienza, non viene mai meno il
coraggio d’affrontare ogni avventura esistenziale per maturare nella luminosità
dell’esistenza, non avendo paura neppure dell’impossibile. Intuiamo di
conseguenza che l’uomo vive da perdonato con il coraggio della fede, non
temendo mai di riconoscersi peccatore, poiché tale esperienza scaturisce dalla
forte e continua relazione con Dio, nel quale ama abitare quotidianamente, per
essere stimolato a costruire ogni istante della propria esistenza in una
continua novità di vita.
Questa condizione diventa allora la convinzione
abituale che anima il cristiano per comprendere la propria esistenza
nell’orizzonte divina e per crescere nella conversione.
Il risultato di un simile percorso sarà l’espressione
del recupero in termini personali e consapevoli della comunione che Dio
continuamente sviluppa nel cuore del discepolo. Questi vivrà la sua storia
regalando quotidianamente quella speranza esistenziale che rappresenta la forza
per ricominciare sempre da capo.
In questo intuiamo l’affermazione di Gesù che il
pubblicano se ne ritorna a casa giustificato meglio del fariseo.
Chi dimora in Dio, vive una profonda luminosità
spirituale che gli fa percepire contemporaneamente la sete di luce che zampilla
nel suo cuore, e un intenso desiderio di abbandono progressivo del regno delle
tenebre.
È un itinerario che non avrà mai alcun termine, fino a
quando la creatura sarà definitivamente trasfigurata nel mistero di Dio.
Il quadro parabolico che Gesù oggi ci presenta lo stiamo vivendo ora.
Anche noi siamo saliti al tempio e ci troviamo nella
gloria divina, contemplando nello Spirito la presenza luminosa del Cristo. Se
in questa viva e vivace relazione con il Maestro sappiamo sentirci peccatori
nella speranza che viene dall’alto, allora nel momento in cui faremo la
comunione, Gesù ci donerà il suo Corpo dato e il suo Sangue versato per
renderci uomini giusti, uomini che crescono - per grazia - nella meravigliosa comunione
divina.
Non dobbiamo mai temere nel sentirci peccatori, ma
dobbiamo lasciarci invadere dalla potenza divina per maturare giorno per giorno
nel desiderio d’essere progressivamente trasfigurati nel Maestro.
Ciò avverrà pienamente nella meravigliosa liturgia del
cielo.
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