25 dicembre 2016

NATALE DEL SIGNORE - Anno A - Messa del giorno

Is 52,7-10    Eb 1,1-6                    Gv 1,1-18
OMELIA
Il senso dell'attesa presente nel cuore dell'uomo d'essere veramente e pienamente se stesso oggi si è realizzato in quella espressione centrale del brano evangelico che abbiamo udito: “Il Verbo s'è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. In questa affermazione contempliamo la realizzazione del progetto di Dio sull'uomo e sulla storia, qui scopriamo la bellezza della gioia di Dio d’aver dato compimento al processo della creazione in Cristo Gesù.

Contemplando l'evento del Dio fatto uomo, gustiamo il compimento di quel meraviglioso progetto creativo di Dio che, in Gesù, ha avuto la sua realizzazione. È la gioia di Dio d’avere dato pienezza al suo pensiero eterno di creare l'uomo a immagine del Figlio suo Gesù Cristo, perché ne divenisse sua luminosa somiglianza.

Davanti a questo grande evento l'uomo si pone l'interrogativo circa il modo con il quale questa gioia di Dio nella realizzazione dell'uomo possa diventare gioia dell'uomo. Se da una parte dal versante di Dio c'è il godimento divino di dare compimento alla creazione, dall'altra l'uomo si sente interpellato ad entrare in questa gioia di Dio. L'uomo è chiamato a gustare la gioia di Dio nella propria gioia. Questa interpellanza ce l'ha comunicata l'evangelista Giovanni quando ha detto: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome i quali non da carne, né da volere di sangue, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”.  

I tre verbi che troviamo nella citazione evangelica, corrispondono all'itinerario nel quale ogni discepolo è chiamato ad inserirsi per potere gustare la bellezza della sua umanità e divenire sempre più persona gioiosa nello Spirito Santo. Essi sono: accogliere, credere, lasciarsi generare.

Innanzitutto il primo passaggio è “accogliere” che potremmo tradurre con l'espressione: spalancare la propria esistenza all'invadenza di Dio perché Dio venga ad abitare nella nostra storia quotidiana. È molto bello come nel brano che abbiamo ascoltato non si dica che il Verbo si è fatto uomo, ma si dice che il Verbo s'è fatto carne, dove la differenza è molto significativa: l’essere uomo può diventare un semplice concetto filosofico, mentre il diventare carne mette in luce il progetto divino d'assumere in pienezza tutta la storicità dell'uomo. Accogliere il Dio che viene è accogliere il gusto della nostra umanità in tutta la sua ricchezza. La bellezza del Verbo che si fa carne costituisce la gioia dell'uomo di riscoprirsi in tutte le sue coordinate: intelligenza, volontà, sensibilità come luogo dell'abitare di Dio. Il cristiano ritrova autenticamente la vera gioia perché la sua umanità è stata assunta da Dio stesso. In quel “accogliere” noi intuiamo la creatività di Dio nelle nostre persone.

Una simile ricchezza la scopriamo nell'accostarci al secondo verbo “credere”. Potremmo leggere tale parola che è sottolineatura del lasciare a Dio la libertà operativa dentro di noi. Sicuramente questo secondo passaggio risulta estremamente arduo per l'uomo perché egli si pone l'interrogativo: "Come posso lasciare libertà a Dio dandogli pieno spazio di azione nella mia esistenza?"

L'evangelista nel linguaggio che abbiamo ascoltato dice fondamentalmente che noi siamo un capolavoro della gratuità di Dio. Tutta la consistenza della nostra esistenza è in lui: "Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste."

Credere è dire al Signore non solo "vieni ad abitare nella nostra esistenza", ma soprattutto "diventa il criterio delle nostre scelte quotidiane".

In un altro testo lo stesso evangelista afferma: "Chi crede è già passato dalla morte alla vita". Questa avventura della fede è un'avventura quotidiana; infatti, tante volte diciamo che il cristiano è figlio di Dio, leggendo e interpretando la formula in modo statico. Se vogliamo entrare nella mentalità giovannea dovremmo in certo qual modo essere più profondi affermando: "Il cristiano è un generato da Dio e si diviene figli di Dio giorno per giorno". Creati da Dio diventiamo progressivamente figli di Dio e saremo figli di Dio nella maturità della fede, quando Dio sarà pienamente creativo nella nostra esistenza, quando cioè, lo vedremo faccia a faccia.

Il terzo verbo è quello che riassume tutti i precedenti, ma ci dà la bellezza della nostra identità: essere “generati” da Dio. L'uomo pensa d'essere il signore della sua vita, ma ogni atto della libertà dell'uomo è l'espressione dell'essere generati da Dio. Se guardiamo attentamente il linguaggio che ha usato l'evangelista possiamo notare un'affermazione molto stimolante. Chiediamoci: chi è per eccellenza il generato da Dio, se non il Verbo incarnato?

La bellezza della nostra vita, se sappiamo fermarci un attimo per riflettere, ci fa scoprire che l'essere generati vuol dire che siamo inseriti ontologicamente nella generazione eterna del Verbo. A questa radicale esperienza Gesù ci chiama continuamente. Davanti alle realtà dinamiche della storia, tante volte estremamente problematiche, il cristiano, rientrando in se stesso, dice: sono generato in ogni frammento del cammino quotidiano dal Dio che mi crea.

Se è vero il principio della matematica che afferma che tra due punti adiacenti c'è un'infinità di punti, così tra due istanti della nostra vita c'è un'infinità di istanti generati da Dio. Se qualche volta riuscissimo per un momento a fermarci e pensare a quella domanda che in sottofondo ci ha condotti in questo avvento: -chi sono?-,  scopriremmo che la bellezza della nostra esistenza è essere generati in Colui che dall'eternità è generato dal Padre. In questo orizzonte l'esistenza assume tutta un'altra dimensione perché l'esistenza diventa un vivente e fecondo capolavoro della creatività di Dio. Quando l'uomo si pone la domanda: -chi sono?-, in quel momento deve avere l'umiltà di dire: non lo so, perché l'uomo è il capolavoro dell'Ineffabile, ma chi comprende Colui nel quale ogni giorno siamo stati generati? Nessuno!  Una simile prospettiva ci colloca nella quotidiana fantasia creatrice di Dio, il sommo artista della nostra umanità.

Questa somma di affermazioni ci permette d'intuire che la gioia non è da comprendere, la gioia non è da capire, ma è gustare l'esserci nel tempo e nello spazio in una creatività di Dio in atto.  La gioia del Natale è la gioia di questo Dio che vuol fare di noi la luminosità del suo mistero.

Seguendo simili considerazioni intuiamo che la vocazione a vivere non è altro che il lasciarci trasportare dall’onda dell’amore creativo di Dio che ci dà quella freschezza esistenziale che è speranza quando l’uomo ha perso ogni speranza. Questa è la bellezza della gioia del Natale. Ogni volta che ci poniamo l’interrogativo: -chi sono io?- ricordiamoci il testo di Giovanni: "A quelli che lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome, i quali non da carne, né da volere di sangue, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati" e allora l'eucarestia che siamo celebrando non è altro che l'essere continuamente generati da Dio per maturare nella vocazione a divenire figli di Dio in Cristo Gesù.

Non per niente l'evangelista Giovanni non solo ha detto che il Verbo s'è fatto carne e venne ad abitare in mezzo a noi, ma ha anche aggiunto: e noi abbiamo visto la sua gloria. L'Eucarestia è vedere con l'intensità del cuore la presenza trasfigurante del Dio in mezzo a noi, del Dio in noi. La bellezza dell'eucarestia è vivere questo testo centrale del prologo ritrovando la bellezza e il gusto dell’esistenza, la gioia e la capacità di vivere, nonostante tutto e nonostante tutti. Questa sia la speranza che vogliamo portare a casa questa mattina in questa celebrazione del Natale che non deve semplicemente diventare un qualcosa di psichedelico legato al folclore agreste e pastorale. Il Natale è un evento che determina talmente la nostra umanità da farci capire che è bello essere uomini. La bellezza del comprendere la profondità esistenziale della nostra umanità non è nell'ordine della razionalità, ma nella profondità dell'intuizione di essere un capolavoro dell'amore inesauribile di Dio che si compiace di essersi calato nella nostra storia quotidiana.  
Qui gustiamo la vera gioia di Dio in noi e pregustiamo l'esultanza della pienezza del dono d'essere uomini che sarà nella Gerusalemme del cielo.
 



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