26 dicembre 2017

SANTO STEFANO - Anno B -

At 6,8-12;7,54-60             Mt 10,17-22
OMELIA
La Chiesa nella sua universalità ha sempre coniugato tre festività, che sono tre tessere l'una accanto all'altra: il Natale, Santo Stefano e Giovanni Evangelista perché la bellezza dell'esperienza del Natale è entrare nel mistero di Dio. Questa è stata la sensibilità della Chiesa, prima dell'invadenza del teatro medievale che ha creato il mistero del darsi di Dio nel presepio. Il folklore ci presenta il dramma di nascondere la grandezza dell'amore divino rivelatosi nell'evento dell'Incarnazione. Il motivo per quale la Chiesa ha coniugato fin dal secolo quinto e sesto Natale e Santo Stefano e S. Giovanni evangelista è questo, il minimo comune multiplo è questo: il Verbo è testimone della luce che è il Padre, Stefano è il testimone del Cristo che legge la storia secondo il Padre, Giovanni evangelista è il testimone del cuore di Cristo, la via, la verità e la vita.  Rimaniamo ai primi due protagonisti di questi giorni: Gesù e Stefano. In loro si evidenziano due realtà che la Chiesa antica gustava e che noi abbiamo perso perché è molto più facile godere del presepio che adorare le profondità della rivelazione divina.
Cerchiamo di coniugare queste due figure: Gesù testimone del Padre, Stefano testimone di Gesù.
Innanzitutto Gesù è testimone del Padre perché se noi leggiamo attentamente il Vangelo di Giovanni noi ci accorgiamo che Gesù dice tutto e solo quello che il Padre gli comunica poiché egli è testimone della verità, è testimone della comunione che lo unisce al Padre, testimone della luce perché l'esperienza della relazione col Padre lo aiuta a interpretare la storia. È la grande libertà di Gesù, Gesù nel cammino della sua vita ha avuto come criterio il Padre. La bellezza del Natale è Gesù che nel silenzio ci regala il volto del Padre in modo che la nostra esistenza possa essere tutta nel Padre. Infatti se noi ci ponessimo la domanda “perché il Verbo si è fatto carne?” la risposta ultima è: “Dio mai nessuno l'ha visto il figlio unigenito che è nel seno del Padre lui ce lo ha rivelato”.
Partendo da questa figura di Gesù, entriamo nella pienezza della figura di Stefano. Per motivi concreti non è possibile leggere tutto il capitolo settimo degli Atti degli Apostoli perché sarebbe molto interessante ritrovare il motivo per il quale Stefano viene lapidato. Infatti se leggessimo attentamente il capitolo settimo ci accorgeremmo la grande luminosità di Stefano che interpreta tutta la storia d'Israele alla luce di Gesù Cristo, perché il cristiano è testimone nel tempo e nello spazio del modulo di interpretare la vita. Con la parola di Dio dovremmo imparare a leggere il quotidiano per incarnarne il mistero nel quotidiano.
Qualche volta noi dimentichiamo questo elemento fondamentale che ci dovrebbe continuamente caratterizzare perché il cristiano è un modo di concepire la vita e leggere la storia con l'ottica di Gesù è andare controcorrente. Il vero martirio proprio del credente in Gesù si manifesta nel modo con il quale nel cammino quotidiano rileggiamo continuamente la vita, partendo dal fascino di Gesù nella nostra ferialità. Ad imitazione di Gesù, che è il rivelatore del volto del Padre, è chiaro che noi siamo stimolati a leggere la storia con l'orizzonte della grandezza di Dio: qui è la vera libertà del cuore. Quando l’uomo legge la storia nell'orizzonte di questa grandezza divina la storia assume un volto completamente diverso. La bellezza feconda del martirio è dire al mondo che in Gesù rivelatore del Padre noi troviamo il senso della vita. Questa verità dovrebbe pungolare il discepolo a costruire ogni frammento della sua vita nel silenzio di Dio. È la bellezza della vita cristiana: riuscire a cogliere un angolo della propria quotidianità in un silenzio dove con la parola scritturistica leggiamo la vita e allora la sapienza del Vangelo, quella sapienza che ha illuminato Stefano fino a dare l'impressione di avere il volto di un angelo, diventi un'esperienza vera del martirio.
E' sicuramente molto interessante entrare nel mistero che stiamo celebrando nell'eucaristia. Alla luce dell'insegnamento che l'apostolo Paolo ci offre quando ci parla del mistero eucaristico, dovremmo sempre riscoprire che la verità di ogni celebrazione liturgica è vivere il martirio di Gesù, che Stefano ha incarnato nella sua storia. Paolo, quando deve dire il senso del mistero eucaristico, usa un'espressione molto forte “ogni volta che mangiate di questo pane e vi accostate a questo calice voi annunciate la morte del Signore”. Qui scopriamo che il cristiano è chiamato a vivere il Cristo e questi crocifisso. L'espressione liturgica annunciare la morte del Signore significa proclamare nel vissuto una mentalità che va controcorrente rispetto alla mentalità contemporanea. Il cristiano, in forza della rigenerazione battesimale, ha la vocazione intrinseca al martirio perché in certo qual modo egli legge la storia non partendo dal mondo massmediatico ma legge la storia nel silenzio interiore dello Spirito Santo alla luce della parola rivelatrice del volto del Padre. E allora è bello entrare in questa mentalità: è il martirio - stillicidio del quotidiano: ogni volta che siamo davanti ai fatti della storia dovremmo ritirarci, aprire la Scrittura e dire a Gesù: nel tuo spirito dimmi come posso interpretare la vita! E allora su questa parola lanceremo le reti nel costruire il vissuto quotidiano. Quindi viviamo questa mentalità antica che abbiamo un po' persa perché il teatro è preferibile al mistero della croce. Ed entriamo in questa bellezza: leggere la nostra storia con il cuore di Dio. Dovremmo dire allo Spirito Santo che ogni volta che andiamo all'eucaristia riceviamo la vocazione come Stefano di leggere la vita con la luce che viene dall'alto. Quando ci porremo in questa visione non avremo mai paura e non saremo affannati dalle paure esistenziali. Chi con la parola leggerà la storia, nella parola sta già risorgendo, e andando alla mensa del Padre, rigenererà sempre in se stesso quella libertà che ha caratterizzato Gesù, ha qualificato la storia di Stefano e gusteremo quella gioia che in paradiso avrà la sua pienezza.
 
 
 
 
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