26 agosto 2018

XXI DOMENICA T.O. - ANNO B -


SANT’ALESSANDRO martire

Patrono della città e della diocesi di Bergamo
SOLENNITÀ                                                             

1 Mac 2, 49-52.57-64                   Fil 1, 27-30              Gv 15, 9-16 

OMELIA


Crescere nella conoscenza di Gesù è il senso portante della nostra esistenza, è un ritornello che continuamente ci accompagna ogni giorno nel maturare nella gioia d'essere suoi discepoli poiché la bellezza della vita è entrare sempre più nella intimità del Maestro. Dopo averci condotto ad entrare nella convivialità della fede, la parola di Dio questa mattina ci fa fare un passo ulteriore. La bellezza di condividere la fede che è Gesù Cristo in noi diventa esperienza di martirio. La bellezza della fede è dire Gesù in qualunque situazione la vita ci possa effettivamente porre. La grandezza del credere deve animare ogni frammento della nostra storia in tutto quello che siamo, in quello che facciamo, in quello che pensiamo. Tutta la nostra persona umana deve incarnare la convivialità credente con Gesù.

Questo è il nucleo essenziale della vita e questo nucleo essenziale diventa “martirio”, diventa il prorompere della fecondità della fede davanti alle situazioni storiche poiché il Signore è il criterio portante della nostra esistenza.

Il martirio è il traboccare credente della scelta fondamentale della vita che è Gesù.

Usando l'espressione dell'apostolo Pietro a conclusione del grande discorso che ci ha accompagnato in queste domeniche, l'anima della nostra vita e quindi l'anima del nostro martirio, è quello che lui ha detto Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio! Il martirio è l'esuberanza nel feriale, nel quotidiano, di appartenere al Signore e tale e così forte è la sua presenza nella nostra vita che in qualunque situazione nella vita ci si presenti noi diciamo: Gesù Cristo tu sei il nostro Signore! Noi quando sentiamo la parola “martirio” pensiamo immediatamente alla dinamica del morire. Dobbiamo sempre rammentare a noi stessi che il martirio è la qualità della vita perché il morire è il linguaggio più alto, in cui si incarna il valore più profondo con il quale abbiamo costruito la vita storica. L'uomo rivela veramente se stesso quando, nell'atto del morire, dice il senso della sua vita.

Il cristiano davanti al cammino della fede non ha nessuna paura perché è così cosciente che Gesù è incarnato nella sua persona che in quello che costruisce ogni giorno, non fa nient'altro che dire il mistero di Gesù. Il mistero di Gesù è un mistero molto concreto, è il mistero che dall'Incarnazione lo ha qualificato fino alla passione; tutta la persona di Gesù, in tutti i suoi aspetti concreti, è l'anima della nostra anima. Incarnarci nella storia così come è, amare la storia come la provvidenza la regala, regalare alla storia l'amore di Gesù nella convinzione che tale è la presenza del Maestro, porta alla conclusione che anche il sacrificare la vita è un'espressione dell'appartenere a Gesù. Ecco perché Paolo ci ha suggerito una intuizione molto bella a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora. Credere è vivere il mistero di Gesù.

Usando l'immagine giovannea il martirio nella testimonianza è avere nel quotidiano le stimmate di Gesù, nelle mani, nei piedi, nel costato. È vivere quei segni della passione che sono il linguaggio di quell'amore incondizionato di Gesù per il Padre e per l'umanità. Questo è il grande ideale che ci è stato regalato il giorno del nostro battesimo. In quel momento rinati figli nel Figlio, la storia del Figlio è diventata la nostra storia, e se Gesù ha amato talmente gli uomini di donare la vita, il battezzato ha dentro di sé questa grande vocazione di donare la vita perché gli uomini siano nella vita.

Davanti a questo grande ideale, l'uomo si trova di fronte alla povertà della propria storia. Ecco perché Gesù ci ha detto in modo favoloso nel testo evangelico che lui abita in noi, Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore, non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi... non c'è amore più grande che dare la vita per la persona amata. Davanti alle nostre povertà abbiamo una grande consapevolezza: Gesù è dentro di noi, in quel “rimanete nel mio amore” Gesù ci vuol dire che il suo amore è l'aria che respiriamo, il mistero della sua vita che si dilata in noi, le pulsazioni del nostro cuore; la grandezza della sua persona è la grandezza della nostra persona. Se abbiamo giustamente la coscienza dei nostri limiti dobbiamo anche prendere coscienza di questa meravigliosa creatività di Dio. Ognuno di noi è segno visibile dell'amore incontenibile di Gesù.

È la bellezza nella nostra vita di fede, è la bellezza dell'essere discepoli!

Noi tante volte pensiamo a noi stessi, alle nostre povertà e dimentichiamo chi abita in noi: il Cristo!

Il Cristo in noi rivive tutta la sua esistenza e allora il martirio è proprio come dicevo all'inizio il traboccare nelle contingenze storiche di questo grande mistero. E tutto questo non lo viviamo ogni volta che celebriamo l'eucarestia. È molto bello tener vivo nel nostro cuore la testimonianza di Sant'Agostino, quando parla dello stretto rapporto tra la celebrazione eucaristica e la scelta dei martiri di donare la propria vita per Cristo, nella viva imitazione della sua persona e del suo amore. "Così hanno fatto con ardente amore i santi martiri e, se non vogliamo celebrare inutilmente la loro memoria, se non vogliamo accostarci infruttuosamente alla mensa del Signore, a quel banchetto in cui anch'essi si sono saziati, bisogna che anche noi, come loro, siamo pronti a ricambiare il dono ricevuto. A questa mensa del Signore, perciò, noi non commemoriamo i martiri come facciamo con gli altri che ora riposano in pace, cioè non preghiamo per loro, ma chiediamo piuttosto che essi preghino per noi, per ottenerci di seguire le loro orme. Essi, infatti, hanno toccato il vertice di quell'amore che il Signore ha definito come il più grande possibile. Hanno presentato ai loro fratelli quella stessa testimonianza di amore, che essi medesimi avevano ricevuto alla mensa del Signore. Intuiamo perciò che la celebrazione dell'eucarestia è entrare nel mistero del Signore presente, è vivere come è vissuto Gesù.

È molto bello come Paolo per evidenziare questa esperienza dell'Eucaristia, anima del martirio, quando parla dell'ultima cena, usi queste parole: ogni volta che mangiate di questo pane e bevete a questo calice, voi annunciate la morte Signore nell'attesa della sua venuta dove “annunziare la morte del Signore” è incarnare nel contingente di tutti giorni la mentalità, la personalità, il cuore di Gesù.

Allora il martirio è l'amore al quotidiano in cui il Signore è il Signore delle nostre azioni. Celebrare l'Eucarestia accostandoci a quel sangue del martirio è ritrovare la gioia di un'esuberanza di Cristo che si incarna nelle realtà di tutti giorni. Ecco perché il cristiano ogni volta che pone a se stesso la domanda Che senso ha la vita? ritrova in sé Gesù, con i segni gloriosi della sua passione e come conseguenza possiamo vivere come egli è vissuto. Entriamo in questa esperienza; la festa di Sant'Alessandro è un'occasione per ritrovare il senso della vita cristiana, e allora nel momento in cui ci accosteremo ai doni eucaristici, il Signore entrerà in noi, diventerà il Signore della nostra persona, rivivrà in noi il suo mistero e, uscendo di chiesa, nella semplicità del feriale, diremo Gesù, accogliendo anche le piccole o grandi sofferenze per dire Gesù. E' la cosa più bella che ci farà vivere Gesù come criterio fondamentale, essenziale e costitutivo della nostra identità d'essere suoi discepoli.




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