03 marzo 2019

VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)


Sir 27,5-8                  1Cor 15,54-58                     Lc 6,39-45

OMELIA

Il discepolo è chiamato a vivere la luminosità del Maestro, poiché un discepolo ha la sua consistenza nell’imitarlo ogni giorno, ce lo ha detto molto bene Gesù questa mattina. In questo noi non facciamo nient'altro che rivivere in modo continuo la nostra vocazione a essere viventi imitatori di Gesù, costruendo ogni istante nello stile autentico del Vangelo.

Davanti a questa grande meta, Gesù oggi, di fronte all'interrogativo che può nascere in noi “Come, Signore, nella mia povertà posso veramente avere te come maestro?”, noi viviamo una intensa provocazione esistenziale, sapendo che esiste un forte distacco tra lo stile di vita di Gesù e il nostro stile di vita. Potremmo riuscire a entrare in questo itinerario attraverso una semplice affermazione: prendere coraggiosamente coscienza dei nostri limiti. Quanto più noi entriamo nell'esperienza di Gesù, quanto più ci lasciamo affascinare dal suo volto; quanto più in noi c'è la tensione per andare verso il Mistero, più ci accorgiamo di essere persone “povere” e incapaci. Abbiamo infatti una chiara convinzione che tutta la vita è una dialettica tra l'amore inesauribile di Dio e la fragilità dell'uomo che nel cammino della sua storia non riesce a vivere come il Maestro. Questa presa di coscienza si rivela fondamentale per ritrovare l'armonia in noi stessi: chi ama i suoi limiti comprende d'essere un capolavoro dell'amore del Signore, chi ama le proprie povertà viene arricchito da una luce ineffabile; chi nel cammino della storia si sente peccatore canta la gioia di lasciarsi perdonare. Gesù non vuole le nostre depressioni ma regalarci continuamente un respiro di speranza.

Il dramma dell'esperienza morale è quella del vedere soprattutto il negativo. La bellezza della nostra esistenza è quella di ritrovare la bellezza della grandezza d'essere uomini e l'uomo tanto più è grande quanto più prende consapevolezza della propria radicale povertà. La vera povertà dell'uomo è amarsi così come si è, perché amandoci così come siamo entriamo nel misterioso progetto divino e possiamo essere il luogo della continua ricreazione dello Spirito Santo. L'uomo che gode del mistero del Dio che lo perdona, l'uomo che gode dei suoi limiti è quell'albero che dà frutti buoni. Infatti chi nel cammino della sua vita ritrova e riscopre continuamente i limiti ha, come conseguenza logica, la viva convinzione che i limiti li hanno anche gli altri fratelli. L'uomo che sente nella propria storia la coscienza di essere peccatore sa che anche il fratello è un peccatore. Quando l'uomo nel cammino della sua vita si sente un fallimento, sa che anche gli altri sono fallimento. La bellezza d'essere cristiani è condividere nella nostra povertà la grandezza inesauribile dell'amore del Signore.

In certo qual modo quando la storia ci fa percepire qualche esperienza limitante la nostra esistenza, dobbiamo dire grazie al Signore perché, in quel momento, veniamo raggiunti da una esperienza amorosa di Dio che va al di là di ogni nostro desiderio. L'uomo che si sente un limite gusta l'infinitezza di Dio. Questa è l'esperienza che noi dovremmo continuamente ritrovare per riscoprire il coraggio di costruire nella nostra storia il suo mistero di amore.

Troppe volte noi siamo abili nel compilare l’elenco dei difetti e quando l'uomo diventa l'elenco dei suoi limiti entra in depressione e si costruisce una corazza che gli impedisce qualunque forma di relazionalità. Quando l'uomo invece riesce a percepire che anche nelle sue fragilità c'è una grandezza incommensurabile, anche nel rapporto con l'altro, egli ha una certezza: Dio resta questa meravigliosa ricchezza nella nostra esistenza quotidiana. La fraternità è l'incontro di poveri che si sentono amati dal medesimo mistero che opera nelle fragilità di ogni persona.

Questa rilettura del quotidiano ci stimola a pensare che l'uomo, nelle problematiche feriali, non deve mai avere paura e quando nella esistenza quotidiana recepisce dentro di sé i limiti nella propria storia e della storia dei fratelli, vive la convinzione che è bello essere limitati perché è favoloso lasciarci amare in una profonda reciprocità di misericordia.

È bello in certo qual modo scontrarci nella realtà quotidiana con i fratelli quando il tutto non corrisponde ai nostri ipotetici sogni per dire: siamo la gratuità incommensurabile della misericordia di Dio che ci ricostruisce fraternamente ogni giorno. Il discepolo è innamorato di un Maestro e questo Maestro ha un amore inesauribile per l'uomo. A noi il compito quotidiano di lasciarci profondamente amare da questa grande Maestro per ritrovare tanta speranza nella fraternità. Allora saremo un albero buono che produce frutti buoni. Amati nella povertà, attraverso le nostre povertà, regaliamo la grandezza di Dio ad ogni fratello.

È quella luminosità di cui ci ha parlato l'apostolo Paolo, dove la luminosità è già in atto nella nostra vita. Nei nostri rapporti dobbiamo regalare la bellezza di un Dio che è innamorato dell'uomo, così come profondamente regala luce all'uomo. Se noi riuscissimo a cogliere questa verità, non ci sarebbe più nessun moralismo; il moralismo è la capacità di non respirare, il moralismo è depressione psicologica in atto, il moralismo è l'uomo autosufficiente che vuole essere “buono”. La bellezza della vita è lasciarsi amare regalandoci nelle nostre fragilità.

Se dovessimo formulare uno slogan potremmo dire così: amati, ci amiamo, per diffondere amore. Siamo l'albero buono perché siamo capolavoro della gratuità di Dio, facciamo frutti buoni, la gratuità misericordiosa condivisa con i fratelli per diffondere serenità nel cuore di ogni umana creatura. E questa è la comunicazione e la condivisione della luminosità divina.

È bello questa mattina, ritrovandoci nell'Eucarestia, regalare le nostre povertà alla Fonte di ogni dono. L'Eucarestia è dei poveri, l'Eucarestia è dei peccatori, l'Eucarestia è di quelli che nel tempo e nello spazio si sentono fallimento, l'Eucarestia è il Signore che assume i nostri limiti e ci dice: sei un capolavoro!

E allora il cristiano supera i facili moralismi che tante volte serpeggiano nella nostra esistenza e che non ci permettono di gustare la vita dove Dio, nel suo amore incommensurabile, è molto più ampio delle nostre povertà. Quando l'uomo apre la finestra delle proprie povertà alla grandezza di Dio, il sole lo illumina, lo riscalda, gli dà il gusto di una giornata nuova.

Viviamo così questa Eucaristia, al di là dei conflitti che tante volte possiamo sentire dentro di noi, per ritrovare una povertà arricchita all'ennesima potenza dal Corpo e dal Sangue del Signore per ritornare poi a casa non guardando più ai limiti della storia, ma alla bellezza di eternità che ha invaso la nostra esistenza. Camminiamo in questo modo, saremo ricchi di fiducia e di speranza e il Signore attraverso le nostre righe storte scriverà quelle diritte e saremo sempre nella speranza che viene dall'alto.




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