12 maggio 2019

IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO C)

At 13,14.43-52                   Ap 7,9.14-17                       Gv 10,27-30
OMELIA
L'esperienza della Pasqua ci introduce nella immedesimazione della ricchezza del Risorto perché il Risorto divenga veramente il senso portante della vita. La Risurrezione non è semplicemente un avvenimento del passato, ma è un evento, qualcosa in cui noi “oggi” veniamo coinvolti per dare significato alla nostra esistenza di discepoli. Lo stile di vita che ci viene regalato dal Cristo e che noi siamo chiamati a costruire ogni giorno dovrebbe aiutarci a fare l'esperienza del Risorto. Infatti Gesù ci appare nella fede e nel sacramento per inviarci, ci trasfigura nell'incontro con se stesso e con il suo mistero, perché possiamo annunciare agli uomini quel mondo nuovo di cui ha parlato l'Apocalisse: i tempi messianici della radicale novità del mondo intero.


Nella Risurrezione siamo creature nuove per far nuovo il mondo, solo così noi possiamo veramente fare l'esperienza del Risorto. E’ il vissuto la scuola quotidiana per prendere coscienza che siamo veramente risorti con Cristo e nascosti in Lui. Davanti a questa grande missione tuttavia, l'uomo storico, che è ognuno di noi, si scontra inevitabilmente con i propri limiti e nasce veramente l’interrogativo quotidiano per il nostro credere: possiamo dare alla luce un mondo nuovo, nonostante le nostre povertà?

Noi stesse spesse volte nel confronto con il Cristo siamo persone che si pongono l'una accanto all'altra: noi con accanto Gesù; ma se entriamo nel mistero della rivelazione noi ci accorgiamo che questo non è lo schema di Gesù. Attraverso la parola che abbiamo ascoltato questa mattina, scopriamo che Lui è in noi ed è in noi sommamente attivo. La coscienza che Egli è in noi costituisce la forza per poter veramente costruire un mondo nuovo. In Lui, il grande protagonista della nostra vita, noi possiamo operare secondo lo stile della sua vita interiore. Infatti la parola che abbiamo ascoltata è molto significativa: Le mie pecore ascoltano la mia voce. Quell'aggettivo possessivo mie ritraduce la verità dell'esperienza della nostra vita perché in quelle mie pecore, in quell'aggettivo, noi scopriamo che in Dio-Padre siamo creati, in Dio-Figlio siamo rinnovati, in Dio-Spirito Santo siamo la vitalità in atto.

La nostra esistenza è tutta nelle mani di Dio. Non per niente il brano evangelico ha utilizzato l'immagine delle mani, le mani del Figlio, le mani del Padre. Anzi Gesù ci ha detto che le pecore sono un regalo del Padre: Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Davanti alle grandi problematiche che emergono nella nostra esistenza noi dovremmo intuire che siamo continuamente, istante per istante, ricreati dalle tre Persone divine. I primi interessati a che noi costruiamo in modo autentico la nostra esistenza sono il Padre il Figlio e lo Spirito Santo. Anzi, il bel testo dell'Apocalisse ce l'ha ulteriormente rivelato, noi siamo quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro mani, rendendole candide con il sangue dell'Agnello.

Se noi istintivamente siamo portati ad analizzare i nostri limiti, in modo più o meno consapevole essi ci portano a uno stato depressivo. Dall'altra parte, tuttavia, nell'ordine della fede noi scopriamo che siamo pura gratuità divina. Un'espressione che tante volte ci siamo ripetuti ci fa sempre prendere coscienza di tale meraviglioso evento: siamo capolavori di Dio!

Sullo sfondo della nostra storicità tante volte debole e fragile, dobbiamo sempre prendere consapevolezza che la nostra esistenza è l'oggi della creatività trinitaria. Dovremmo passare da una semplice lettura storica, dove noi siamo costellati tante volte da fallimenti o da delusioni relazionali alla visione della nostra esistenza che abita e vive nella pienezza di Dio. Ognuno di noi nel cammino della sua storia è la pienezza di Dio!

E quando noi entriamo in questo mistero si realizza quello che Gesù ha detto: Le mie pecore ascoltano la mia voce! Ma il problema: cosa vuol dire ascoltare la voce? Noi dovremmo fare una grossa distinzione tra “udire” e “ascoltare”. L'udire è percepire tante informazioni che sono utili nelle situazioni storiche o nelle curiosità umane, che possono costituire oggetto di tante distruzioni esistenziali, ma la parola ascoltare è molto più profonda. Gesù ha detto: Ascoltano la mia voce! cioè vivono in forza di questa meravigliosa azione creatrice: abitare nell'intimità con il Maestro; l'ascolto presuppone una relazionalità di intimità. Dove non c'è profonda intimità, si odono le parole, ma non si ascoltano le persone, perché l'ascolto è nient'altro che un riverbero interiore di una comunicazione che è data dalle parole, dalla gestualità e dai silenzi, perché l’ascoltare è proprio di colui che penetra nell'altro e dall'altro si lascia penetrare. Quando c'è questa reciprocità di ascolto c'è il coraggio della vita: ci proiettiamo nel sogno di Dio. Ascoltarsi è il linguaggio dell'autentica reciprocità perché in quel momento si percepisce l'altro come la gratuità che s'incontra con la nostra radicale attenzione. Gesù allora, davanti alla missione che vuol regalarci d'essere diffusori di un mondo nuovo, ci dice di non avere paura, anche se la cultura odierna è ricca di paure. L'uomo, che ha scelto come maestro Gesù Cristo, la sua persona come il criterio della vita, sa di appartenergli. E poiché chi ci ha rivestito delle vesti candide è colui che continuamente ci regala la sua vita e ci sorregge, dobbiamo sempre camminare in tanta speranza. È vero che il testo dell'Apocalisse ha una sfaccettatura ancora più profonda perché lavare le vesti nel sangue dell'Agnello vuol dire essere e crescere nella grande tribolazione storica. La coscienza che siamo tutti nelle mani di Dio non toglie la problematica del quotidiano con tutti gli interrogativi che esso pone, ma la convinzione più profonda di essere in questo respiro divino, in questa vitalità esistenziale del Padre del Figlio e dello Spirito Santo ci dà la certezza che noi non saremo mai abbandonati! È la bellezza della speranza di Gesù che ci si regala continuamente. Il nostro impegno è molto intenso: diffondiamo nel quotidiano una gioia che abita in noi, ma che non è nostra; diffondiamo la gioia che è Dio Padre Figlio e Spirito inabitante e operante in ciascuno di noi.

Ecco perché questa mattina ci siamo ritrovati a celebrare i divini misteri: per crescere nella coscienza che siamo suoi. È la bellezza della nostra quotidianità. Il Signore qui presente ci avvolge con la sua presenza, parla alla nostra intimità se siamo uomini di silenzi e ricchi d'amore per offrirci poi quella sua presenza trasfigurante che è il suo corpo e il suo sangue nel segno del pane e del vino. Quando noi facciamo questa esperienza di assoluta gratuità che investe la nostra esistenza, non può non nascere il coraggio e l'entusiasmo, il coraggio di Paolo espresso nel brano degli Atti che abbiamo ascoltato: l'entusiasmo di dire “Gesù!” al di là di tutte le conflittualità presenti nelle situazioni storiche che fanno soffocare la bellezza di questo mistero.

Questa mattina siamo qui per rinfrancarci in questa convinzione. Allora il vissuto con tutte le sue problematicità diventa il luogo per crescere nella coscienza che siamo umano-divini perché la potenza del divino dia il coraggio all'umano per regalare alle genti la speranza del feriale. Questa sia la forza che vogliamo vivere e condividere in questa Eucaristia. Quando ci sentiamo un po' scoraggiati facciamo nostra l'interiorità del salmista Alzo gli occhi verso il monte: da dove mi verrà l'aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore che ha fatto cielo e terra.







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