03 maggio 2020

IV DOMENICA DI PASQUA - ANNO A


At 2, 14.36-41                    1 Pt 2, 20b-25                     Gv 10,14

OMELIA

Il rapporto con il Risorto, che siamo chiamati a costruire ogni giorno, ci porta a vivere la stessa esperienza degli apostoli, narrata dalla prima lettura: una forte esperienza di libertà, in una radicale conversione della persona. La Parola che annuncia il grande evento della risurrezione genera cuori desiderosi di rinascita interiore. È l'atteggiamento degli apostoli che, seguendo il Maestro, nella potenza dello Spirito Santo, gridano la loro libertà annunciando il Vangelo. È l’atteggiamento che dovrebbe animarci ogni volta che l'esperienza del Risorto risuona dentro di noi. 

Gesù questa mattina, facendoci ritrovare insieme nello Spirito Santo, vuol regalarci la sua libertà attraverso un’immagine che poco fa abbiamo ascoltato nel testo evangelico: egli è la porta delle pecore e le pecore entrano, escono e trovano abbondanza di pascolo. Il Signore, porta delle pecore, è la fonte della libertà dei discepoli. Si rivela importante allora comprendere il senso dell’immagine “Io sono la porta delle pecore” per poter scoprire la bellezza della autentica libertà. Mentre ascoltiamo “Io sono la porta delle pecore”, ci si presenta in modo molto chiaro un’altra immagine, che troviamo nell’Antico Testamento: la porta chiusa dopo il peccato originale. L’uomo, chiamato alla libertà nel giardino dell’Eden, a causa del peccato originale è uscito dal giardino, è entrato nell’oscurità della storia, mentre la porta del paradiso è rimasta chiusa per lui. Gesù ora ci illumina dicendoci che quella tragica condizione è superata perché, con la sua morte e risurrezione, la porta è stata aperta ed egli è entrato nella Vita: la comunione gloriosa con il Padre. Chi lo segue e cerca di conoscerlo gode della sua stessa libertà. Il discepolo, entrando nell’esperienza della morte e risurrezione del Maestro, è immerso nella libertà di Dio.  

Ma su che cosa Gesù ha fondato la sua libertà, che ci comunica continuamente? Gesù è la porta delle pecore perché la sua esistenza è stata totalmente costruita in comunione con il Padre. Tutto ciò che il Padre voleva o desiderava, egli lo compiva, come ci insegna Giovanni nel suo Vangelo. La grande libertà di Gesù era una comunione da cui nasceva il suo essere totale obbedienza. Egli ha incarnato l'amore del Padre. Se ci chiediamo quale sia stata l’origine delle schiavitù dell’uomo, a causa della quale è stato collocato fuori dal giardino dell’Eden, ci accorgiamo che si fonda sul sospetto. Dove non c’è comunione nasce il sospetto, dal sospetto la disobbedienza e nella disobbedienza c’è la schiavitù dell’uomo, che è l'assenza di autentica libertà. L'obbedienza, nella sua essenza, è una profonda esperienza di gratitudine che si costruisce giorno per giorno nella comunione dei cuori, attraverso le dinamiche concrete del contingente. In questo Gesù è stato un autentico maestro.

Egli ha riaperto la porta del paradiso terrestre. Attraverso la comunione con la sua persona ci ha regalato la porta aperta e ci ha resi ricchi della sua libertà. In comunione con il Padre, era perfettamente docile alla sua volontà, gli obbediva, ed è così entrato nella vera e feconda libertà. Come lui, ogni uomo, che vive la “comunione nell’obbedienza” a Dio, è un uomo libero. Ecco perché le pecore seguono il Pastore: lo conoscono e, passando attraverso quella porta che è il Maestro, entrano, escono e hanno abbondanza di pascoli. Egli stesso infatti ha detto: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo”. L’evangelista Giovanni, nel narrare l’evento della risurrezione, ci dice esattamente questo: chiunque nella sua esistenza viva la comunione con Dio, godendone il mistero e obbedendo a tutte le sue suggestioni, è uomo perfettamente libero.

 Riascoltando il Vangelo della Pasqua di Gesù, troviamo quell’espressione che per ben due volte l’evangelista Giovanni ripete e che diventa adesso per noi estremamente significativa: Gesù è apparso ai discepoli passando attraverso le porte chiuse del luogo dove i discepoli si erano radunati. Una “porta chiusa” ci dice che è impossibile passare oltre. Una porta chiusa è un ostacolo alla libertà dell’uomo, ma chiunque, come Gesù, entri in questa esperienza di profonda comunione con il Padre, anche attraverso le difficoltà della vita gusta sempre più la libertà interiore. L’uomo che segue il Signore, ne vive i sentimenti, come ci ha detto l'inno di professione di fede della seconda lettura, entra nell'intimità del Risorto e ritrova la vera libertà. Chi, come Gesù, si pone in atteggiamento di docilità allo Spirito Santo, sa costruire una esistenza di comunione nell’obbedienza al Padre. Contemplando il Maestro, matura nel processo di costante liberazione dalle schiavitù storiche.

L’uomo di oggi non riesce a far in modo autentico l’esperienza della libertà interiore, perché non sa assumere nella propria persona le due caratteristiche di Gesù: la comunione con il Padre e con l'umanità; l’obbedienza al mistero dell'amore. I discepoli invece, nell’esperienza della Pasqua, nonostante tutte le difficoltà, i disagi, le persecuzioni, annunciavano il Signore, senza temere il martirio, che consideravano l’occasione per dire la grande libertà dell’uomo. Dopo di loro, i primi Padri della Chiesa dicevano che le catene con le quali erano condotti in prigione erano i loro gioielli. Essere in catene era come essere ingioiellati perché, in quel momento, erano nella libertà di Cristo e, quando l’uomo è libero interiormente, le difficoltà sono luoghi fecondi di testimonianza.  Le difficoltà non ammazzano mai l’uomo libero: come il suo Signore, anch’egli risorge sempre. Da tutto ciò impariamo come l’esperienza della Pasqua ci faccia veramente riscoprire la bellezza e il gusto della libertà interiore. In Gesù morto e risorto riviviamo la certezza che, giorno per giorno, egli vive con noi e il suo Spirito ci custodisce nel succedersi degli avvenimenti, aiutandoci a camminare nella serenità della fede.

 Gesù ci ha convocati oggi, in questa Eucaristia, perché egli è veramente la porta delle pecore. Nella sua morte e risurrezione ci regala la sua libertà: non siamo mai schiacciati, perché in lui siamo in grado di essere sempre pienamente noi stessi.

Ritrovandoci nell’Eucaristia insieme al Maestro, nella Parola e nella comunione con il suo corpo e con il suo sangue, godremo della vera libertà e saremo pronti ad annunciare, colmi di coraggio e di gioia, il grande evento della salvezza.

Chi condivide l'esperienza del Risorto e si lascia introdurre nel suo mistero di amore, ne condivide la libertà e con novità interiore comunica questo mistero a tutti i fratelli. È la bellezza luminosa della fraternità di uomini liberi, perché liberati nell'amore.

Questa sia l’esperienza che vogliamo condividere questa mattina in modo che si realizzi il principio di Gesù, con il quale si è conclusa la narrazione evangelica: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza”.

Tale sia il mistero, tale sia gioia, tale sia il coraggio che vogliamo vivere in noi, per comunicare a tutti gli uomini la speranza che viene da Dio.




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