17 aprile 2022

DOMENICA DI PASQUA «RISURREZIONE DEL SIGNORE» MESSA DEL GIORNO

At 10,34a.37-43    Col 3,1-4      Gv 20,1-9

OMELIA

Il cammino quaresimale lentamente ci ha condotti a percepire questa meravigliosa presenza del Risorto; un po’ alla volta il Risorto è entrato nella nostra vita e oggi noi ne facciamo una grande esperienza, una esperienza che nasce dal vissuto che noi stiamo effettivamente vivendo. Ma la domanda che ci poniamo questa mattina è questa: qual è la condizione perché possiamo veramente fare l’esperienza del Risorto? La soluzione ce la dà l'evangelista Giovanni presentandoci quella figura misteriosa che ci aiuta a entrare nel mistero della Risurrezione: il discepolo che Gesù amava.

Ed è interessante la sottolineatura che l'evangelista ci offre presentandoci la sua figura: il discepolo che Gesù amava corre più veloce, entra, vede e crede. Egli diventa la strada da percorrere per gustare il misterioso evento della Risurrezione.  Qual è lo sfondo esistenziale in base al quale il discepolo che Gesù amava fa questa esperienza? Ci può essere di aiuto quello che emerge dalla figura di Pietro che arriva in ritardo, che vede ed entra, ma di lui non si dice che vede e crede perché per entrare nell'esperienza della Risurrezione ci vuole uno spirito di vita interiore. Il discepolo è un sacramento vivente di vista spirituale, di vivente imitazione del Maestro. Pietro rappresenta il linguaggio esteriore della Chiesa, e non sono le cose o l’attivismo che aiutano a credere, non sono le strutture che stimolano a porre l'atto di fede perché potrebbero coltivare semplicemente le apparenze o l’attivismo. La bellezza della fede, che è l’incarnare la gioia d’incontrare il Risorto, è propria del discepolo che Gesù amava. Solo entrando nella sua interiorità possiamo fare questa meravigliosa esperienza che appartiene al vissuto, a qualcosa che determina la nostra esistenza.

È importante sottolineare che il discepolo che Gesù amava ci appare nell'ultima cena, per cui potremmo veramente affermare che il mistero eucaristico è l'esperienza quotidiana del vissuto del Risorto. In tale contesto sacramentale qual è l'atteggiamento del discepolo che Gesù amava? In esso troviamo l'itinerario per poter veramente conoscere Gesù: reclinò il capo sul petto di Gesù.  Veniamo di riflesso stimolati ad approfondirne il valore dinamico.

In una lettura immediata possiamo cogliere due aspetti di questo atteggiamento, che ci permette di entrare nella vita di Gesù cogliendone la fonte per accedere al mistero di Risurrezione. Innanzitutto intuiamo la profondità spirituale del contatto con il petto di Gesù. Il discepolo che Gesù amava vive il silenzio della reciprocità, i battiti del cuore del Maestro entrano nell'esperienza del discepolo: è quella profonda vita interiore che qualifica la relazione. Il discepolo che Gesù amava è un uomo interiore, che si è allontanato dai rumori della storia, è entrato nella intimità del suo Signore e ne coglie tutta la vitalità, una vitalità che nel discorso della lavanda dei piedi è stato molto chiaro: condividere e vivere l'amore fino al massimo di dedizione, un amore superiore ad ogni tradimento, un amore che rifà la creatura umana. In tale intensità di vita interiore, il discepolo che Gesù amava vive il principio di fondo dell'ultima cena, come ce lo presenta l’evangelista Giovanni: Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Siamo di fronte ad amore di dedizione assoluta: è la bellezza di una intimità dove il discepolo impara ad amare in modo assoluto, sullo stile stesso di Gesù. Ecco perché il discepolo che Gesù amava vive questa interiorità, che è la condizione per cogliere la profondità del mistero. Un mistero più grande del tradimento. E’ molto bello come l'evangelista Giovanni narrando l'ultima cena per ben tre volte parla del tradimento di Giuda nei confronti di Gesù, ma l'amore è più grande dei fallimenti. Gesù ama fino in fondo e dona se stesso a tutti, perché tutti gli uomini sono destinatari della sua assoluta oblazione di amore. Di riflesso, gustiamo la bellezza di questo discepolo che impara il senso della lavanda dei piedi. Gesù regala la sua personalità all'uomo perché l'uomo sia veramente se stesso. Quindi il discepolo che Gesù amava è un discepolo che si lascia invadere dalla personalità del Maestro, la sua vita interiore è il Maestro. In simile condizione esistenziale ecco che egli corre più veloce perché il Maestro è diventato il mistero della sua vita. Il Maestro è diventato il suo vissuto, il Maestro ha così penetrato in modo profondo la sua esistenza che vede i segni, gusta il mistero e lo contempla: entrò […] e vide e credette.

La contemplazione dell’evento della Risurrezione rappresenta il sacramento esperienziale di una vita interiore che ci qualifica nel più profondo, che ci aiuta ad essere quegli uomini che hanno come criterio la dedizione incondizionata del Cristo all'uomo perché l'uomo sia se stesso. E’ quello che Paolo ci ha regalato in modo favoloso nella seconda lettura quando ci ha detto che la nostra vita è ormai nascosta in Cristo. Se vogliamo veramente avere la gioia della Risurrezione dobbiamo essere uomini interiori. Il rumore che ci circonda è una distrazione continua, le parole che tante volte ci raggiungono ci creano uno spirito di confusione, il correre tante volte - anche nelle stesse realtà ecclesiastiche - ci possono fare dimenticare il Maestro. Nel gusto del silenzio profondamente amato e interiorizzato possiamo diventare il discepolo che Gesù amava, che significa l’immagine viva della vocazione presente in ciascun di noi. Ecco perché Giovanni volendo darci un'immagine ha costruito questo misterioso e meraviglioso personaggio, per dirci il grande ideale che deve animare il nostro vissuto: l'intimità con Gesù, l'importanza di amare la gioia d’essere uomini e la valorizzazione del nostro cuore, un cuore abitato, alimentato, trasfigurato dalla presenza del Divin maestro. Se noi vogliamo entrare in questa visione il fatto che l'evangelista Giovanni ci abbia presentato il discepolo che Gesù amava nel mistero eucaristico è perché l'Eucaristia è questa scuola dove il Maestro ci insegna ad amare fino in fondo, ad avere una grande libertà interiore davanti alla storia, per regalare all'uomo la bellezza della sua umanità. Ecco la gioia della Pasqua! La Risurrezione è una vita accolta, vissuta, condivisa, in modo che l'esperienza di Gesù divenga veramente vita della nostra vita.

Viviamo questa esperienza in modo che anche attraverso i segni che la Chiesa ci offre possiamo sempre dire: sto vedendo il Risorto!  Come il discepolo che Gesù amava, anche di noi si potrebbe dire: entrò… e vide e credette. Intuiamo allora che la nostra stessa vita è il Signore!

Anche noi in questa Eucaristia viviamo questa esperienza con coraggio e con serenità in modo che possiamo dire: Gesù è veramente risorto non perché ce l'hanno detto, ma perché abbiamo gustato, attraverso i testimoni e la celebrazione ecclesiale, la sua presenza. E l'Eucaristia è la presenza che trasfigura la nostra vita facendola risorgere continuamente. È la esultanza propria delle nostre persone che hanno l’ebbrezza d’essere in modo teologale il discepolo che Gesù amava.

 

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