03 luglio 2022

XIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C

Is 66,10-14c    Gal.6,14-18     Lc 10,1-12.17-20

Omelia

Gesù, dopo aver educato i suoi discepoli al primato della sua persona, oggi li invia in missione, perché la missione è l'ebbrezza e la gioia dell’incontro con il Maestro che si diffonde. Infatti, pur nel linguaggio caro all’Antico Testamento, Gesù questa mattina ci dice che dobbiamo essere il gaudio di Cristo regalato agli uomini. Ecco la missione, ecco perché abbiamo ascoltato il testo del profeta Isaia che dice la novità dei tempi messianici che deve caratterizzare la missione del cristiano: regalare agli uomini la bellezza di Cristo. L’annuncio è nient’altro che la luminosa condivisione del gusto di voler vivere nella signoria di Cristo. Di fronte a tale affascinante orizzonte nasce in noi l’interrogativo: con quali caratteristiche noi possiamo veramente regalare agli uomini la bellezza di Gesù e quindi riscoprire la grandezza dell’essere discepoli? La parola, che abbiamo ascoltato, ci pone dinanzi a tre elementi che potremmo sottolineare sono il fondamento della gioia che dobbiamo regalare:

- il vero senso della povertà esistenziale,

- il vivere l’interiorità di Cristo,

- il costruire una ricchezza di relazione dove si regala ai fratelli il mistero del Maestro.

E’ interessante come nei vangeli sinottici la missione di Gesù è legata sempre alla povertà, dove la bellezza della povertà non è solo un fatto economico, che forse non è neanche il più importante, ma è il costruire la propria esistenza attraverso la coscienza dei limiti della nostra esistenza. Attraverso il linguaggio concreto caro alla tradizione dell’Antico Testamento, Gesù ci vuol dire qualcosa di importante e cioè che ognuno di noi deve essere la trasparenza di un mistero più grande di quello che noi potremmo conoscere, e la povertà è la profonda coscienza del limite che fa emergere la bellezza e la grandezza di Dio. Usando l’espressione di Gesù nel discorso della montagna “perché gli uomini vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre che è nei cieli”. Ci troviamo davanti alla bellezza di quella piccolezza che regala agli uomini la grandezza del dono della vita, è il primato dell’Invisibile che domina il cuore dell’uomo e che lo rende capace di regalare qualcosa che è più grande di lui. Nella piccolezza del visibile gustiamo l’ineffabilità inesauribile del divino. La missione risulta la concreta azione sacramentale del Risorto che continua nel tempo e nello spazio la sua opera e di conseguenza emerge la bellezza di essere chiesa, segno povero e luminoso della grandezza di Gesù.

Su tale sfondo molto stimolante appare la centralità del Cristo con tutta la sua ricchezza esistenziale. Paolo, nel presentare il senso della sua esistenza ci offre l’affermazione che abbiamo ascoltato: “Di null'altro mai mi glorierò, se non nella croce di Gesù nella quale ognuno di noi è una creatura nuova”. Siamo in atto una rinnovata creazione cristologica. La bellezza della missione è regalare la novità di Dio. Per evidenziare ulteriormente questa sua coscienza che deve annunciare solo Gesù, l’apostolo ci presenta una affermazione molto forte che ritraduce l’interiorità di Paolo: “D’ora innanzi più nessuno mi dia fastidio, io porto nel mio corpo le stigmate del Signore nostro Gesù Cristo”. Con un tale linguaggio molto mistico egli sottolinea nella sua persona è impresso il mistero dell’essere amat0 nello stile d’essere con-crocifisso con Cristo. La grandezza del credente è data da questa profonda consapevolezza, siamo degli amati nel cuore del Cristo che in noi continua ad amare secondo il suo stile oblativo. L’idea delle stigmate è solo l’immagine per dire quello che Paolo ha affermato di null'altro mai mi glorierò, se non nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, dove la coscienza di conoscere solo Cristo e questi crocifisso è la sapienza di Paolo, che è potenza e sapienza di Dio. Ecco perché la bellezza della missione passa attraverso una povertà che dà trasparenza al mistero di Gesù. Usando il linguaggio degli apostoli nei processi al sinedrio, la missione del cristiano sta nel rivivere quello che essi hanno detto: noi non possiamo non dire ciò che abbiamo udito e veduto. La missione è la sacramentalizzazione semplice e ordinaria dell'appartenenza. Togliamo Gesù Cristo alla nostra vita, che cosa rimane? Ricordiamoci sempre che la bellezza della vita è essere in una meravigliosa relazione: il Signore ci ha conquistati, ci dà la gioia e la bellezza della nostra umanità, e ci dà la semplicità dell’ordinario. La vita ordinaria rappresenta il capolavoro della testimonianza cristiana, e questo è il terzo passaggio che Gesù ci invita ad accogliere questa mattina: Gesù dice:” Pace a voi”. Il luogo della missione sta nell’incarnare tale parola del Maestro nella vita di tutti i giorni: la casa è il luogo della vita ordinaria. La bellezza di essere nella pace di Gesù è la vita feriale di ogni giorno. Spesse volte noi pensiamo che essere dei credenti sia un preparare non so quale manifestazione esteriore, manifestazioni che possono esserci, fan parte della struttura psicologica della società, ma la vera missione del cristiano è regalare nel segno normale della relazione, come può essere in casa, l'armonia di Gesù.

E’ interessante come la bellezza della scelta di Gesù sia questa pace. Ricordiamo l’annuncio degli angeli “pace in terra agli uomini che Dio ama”, e il saluto di Cristo Risorto Pace a voi. Questa esperienza di Gesù viene sempre regalata alle persone che la Provvidenza ci fa incontrare. E allora la bellezza di essere chiesa è la bellezza di regalare quell’armonia che l’incontro abituale con il Cristo genera in ciascuno di noi. La vita ordinaria è liturgia per regalare la gioia di Gesù.

E se noi imparassimo questo stile di vita, sicuramente il risultato non è dato dalle cose esteriori, ma dalla bella espressione con la quale si è concluso il testo evangelico: “rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”. Direbbe l’Apocalisse “nel libro della vita”. Tutto ciò vuol dire testimoniare nella storia maturando per un'eternità beata. Allora ci accorgiamo che, al di là delle difficoltà storiche nelle quali noi ora ci possiamo trovare, quando noi siamo nel fascino di Gesù, in quel momento gustiamo e regaliamo novità di vita, regaliamo ad ogni fratello il suo cuore innamorato dell’uomo attraverso la gioia che Lui sia il Signore attraverso le nostre povertà.

Ecco l’Eucaristia che stiamo celebrando. La bellezza dell’Eucaristia è la povertà delle nostre persone, la povertà dei segni semplici, nei quali il Signore regala la Sua presenza e noi possiamo godere la pace del Signore. La formula che tra poco ascolteremo: “La pace del Signore sia con voi” prima della condivisione dei doni eucaristici nel rito della commensalità ci dice che la nostra esistenza viene trasfigurata. Viviamo questo mistero in tanta semplicità; anche quando il cuore è afflitto, il Signore ci dona la sua presenza consolatrice e rigeneratrice. Le nostre afflizioni nella sua presenza diventano il linguaggio di pace, specie nell’Eucaristia. Questo sia il mistero che vogliamo vivere e condividere nella semplicità, senza aggiungere tante cose, in modo da camminare in quella bellezza di essere discepoli per dire ai fratelli: essere cristiani è una esperienza evangelica veramente vivibile: innamorarsi di Gesù, prendere coscienza delle nostre fragilità esistenziali, regalare Gesù ad ogni fratello e vedere in Gesù la verità della nostra esistenza nella quale gustiamo la vera pace.

 

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