Is 55,1-11 1Gv 5,1-9 Mc 1,7-11
OMELIA
Il tempo del Natale ci ha lentamente introdotti nel mistero di Gesù e la ricerca che, guidati dalla Chiesa, abbiamo portato avanti, ci ha fatto percepire nell'episodio dei Magi come l'uomo in ricerca sia coinvolto nel mistero pasquale del Maestro. In quei tre doni incenso, mirra e oro l'umanità ha fatto la sua professione di fede in Gesù morto, sepolto e risorto e in lui si è lasciata trasformare. E' la bellezza dell'incontro quotidiano con il Maestro divino che vive nella chiesa. Ora questa esperienza viene oggi confermata dalla voce che nel battesimo al Giordano avvolge la figura di Gesù e diventa per noi insegnamento di vita. È importante come questa visione e questa proclamazione da parte del Padre, l'evangelista Marco l'abbia collocata all'inizio del suo Vangelo perché chiunque voglia conoscere Gesù ed entrare nell’itinerario della sua vita deve sempre ascoltare quella espressione: “Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento”. Riascoltando continuamente questa voce con un cuore aperto e attento, noi possiamo leggere con gioia contemplativa tutto il secondo vangelo, soprattutto poi sapendo che il vangelo di Marco è stato scritto per quelli che entravano nell' esperienza cristiana come catecumeni, perché avessero come criterio della loro scelta di vita la voce del Padre. Ciò diventa estremamente significativo anche per noi perché in qualunque situazione della nostra esistenza quello che il Padre ha detto al Giordano divenga criterio per la nostra vita quotidiana. In quella voce, nella nube della potenza dello Spirito Santo che avvolgeva quella scena e la rendeva sacramentalmente feconda, emergono tre aspetti importanti della personalità di Gesù, che dovrebbe farci gustare la comunione con lui:
·
la
comunione con il Padre,
·
l'essere
sacramento del suo amore,
·
perché in
Gesù c'è la pienezza della rivelazione del senso dell'esistenza di ogni uomo.
Innanzitutto
la bellezza della figura di Gesù: Figlio
del Padre. E in questo noi comprendiamo che il mistero di Gesù è nient'altro
che l'espressione di quella meravigliosa relazione Padre-Figlio che abbiamo
approfondito il giorno di Natale: la fecondità del rapporto della vita
trinitaria su cui si fonda la bellezza della nostra umanità. Il cristiano, quando
vuoi gustare il senso di fondo delle sue scelte di vita, sente quelle
espressioni “Tu sei il mio figlio!” e si riscopre uomo inebriato nella
luminosità divina. La bellezza della fede significa entrare in questa
meravigliosa esperienza divina. Ce lo ha detto anche l'autore della prima
lettera di Giovanni, dove la testimonianza sul mistero di Gesù è superiore a
qualunque testimonianza umana. Guardare a Gesù e sentire la voce del Padre
nella creatività dello Spirito Santo: “Tu
sei il mio figlio!”, è respirare quella relazione trinitaria che è il senso
della vita. L’uomo riesce a cogliere la bellezza della sua esistenza, se riesce
a respirare qualcosa di superiore a quello che è il cammino normale. Per il
pessimismo che avvolge l'uomo oggi, la gioia di risentire quella voce, “Tu sei
il mio figlio!”, mentre guardiamo a Gesù fa sì che ritroviamo la bellezza e la
speranza nel cammino quotidiano della vita. Il nostro desiderio si ritraduce
nel respirare la vita divina per avere il coraggio nella costruzione della vita
concreta. Respirando la vita divina, ritroviamo il coraggio di camminare ogni
giorno proiettati in avanti perché in quella esperienza divina c'è tutta la
ricchezza di Dio che si rivela all'uomo come amore, e contempliamo l’amato! E allora risentendo questa
espressione “Tu sei il mio figlio, l’amato!” noi riscopriamo che l'esperienza
di Gesù è l'incarnazione dell'amore di Dio per l'uomo e, sullo sfondo di questa
espressione della voce, c'è l'esperienza di Abramo, il quale, fidandosi di Dio
ed entrando nel mistero della divina provvidenza, sacrifica il suo figlio
Isacco, l'amato. La comunione, ricca di gratitudine verso Dio, porta alla
dimensione dell'offerta, un'offerta accolta che si traduce nella sostituzione
che avviene nell'interveto dell'angelo: alla persona di Isacco si sostituisce l'ariete.
In un simile gesto di oblazione credete scaturisce la benedizione divina: “Sarai il padre di una grande moltitudine”.
È la bellezza dell'umanità che si sente amata nella dedizione totale di Gesù
alla volontà del Padre. Nell'amare l'uomo gustiamo la bellezza di risentire
l'espressione del Padre: l'amato e
in quell’ amato ci sentiamo amati in modo divino-umano dalla oblazione di Gesù.
Noi facciamo parte di quella generazione promessa ad Abramo che si è realizzata
nel Figlio diletto, che è Gesù, per donarci la speranza della vita, la gioia di
essere uomini pur nel travaglio dell'esperienza quotidiana. Nel cammino della
nostra giornata il risentire con l'orecchio del cuore, “Tu sei il mio figlio, l’amato!”, è percepire nel profondo della
nostra esistenza l'essere guidati da qualcosa di ineffabile: è la bellezza di
guardare il volto di Gesù, di fissare lo sguardo nel suo mistero e ritrovare la
bellezza di essere il suo amore fatto persona. È stato molto bello come nella
prima lettera di Giovanni che abbiamo ascoltata si è detto: “tre sono quelli che danno testimonianza: lo
Spirito, l'acqua e il sangue” che ci porta al mistero della Croce gloriosa.
Per quanto riguarda lo Spirito, riviviamo l'atteggiamento di Gesù che, dopo
aver detto Ho sete, così si esprime con le altre parole: “Tutto è compiuto!”
nel restituire lo Spirito al Padre. Il quadro si completa con la narrazione
successiva “e dal suo fianco uscì sangue
ed acqua”. Tutto ciò vuol dire sentirci amati in un infarto d'amore. In
quelle tre parole spirito acqua e sangue percepiamo il linguaggio storico di
una persona che ha talmente amato l'uomo da morire di infarto! Ecco perché il cristiano
ritrova il gusto della vita perché in quell’ “amato” si sente amato al di là di
ogni misura.
Davanti a questa gustazione, accogliamo il terzo passaggio: in te ho posto il mio compiacimento! Accostarci a Gesù è accogliere il tutto, ritrovare la bellezza del nostro cuore assetato che viene dissetato, come ha detto molto bene la profezia messianica di Isaia: entriamo nell'ebbrezza dei tempi della nuova Gerusalemme. In una simile luce, il cristiano nel cammino della sua esistenza, davanti a tutti i travagli quotidiani, recupera sempre speranza. Infatti ci accorgiamo che quanto più camminiamo in situazioni complesse, tanto più dobbiamo risentire interiormente la voce del Padre: “Tu sei il mio figlio, l'amato, in te ho posto il mio compiacimento!”, che ci fa sperimentare il coraggio di abitare in un amore senza confini. Nel sentire la voce abbiamo lo sguardo del cuore rivolto al Cristo crocifisso e glorioso che nello Spirito Santo rifà la nostra esistenza. Se vogliamo questa bellezza che stiamo gustando, sappiamo che quello che stiamo celebrando adesso è la rigenerazione di quello che abbiamo dentro di noi. A ciascuno di noi qui presenti il Padre ci dice “Tu sei il mio figlio, l'amato, in te ho posto la mia compiacenza”, specie nel momento in cui ci accosteremo ai Divini Misteri nei segni del pane e del vino. Allora saremo nella pienezza di Dio e, quando noi entriamo in simile pienezza, la nostra esistenza sarà ulteriormente trasfigurata. È la gioia di essere amati da chi ci ha creati in una pienezza incomprensibile di amore, tanto è ineffabile la sua meravigliosa presenza! Viviamo così questa eucarestia risentendo nella nostra vita questa espressione del Padre per ritrovare nel mistero di Gesù la gioia e la bellezza della nostra vita. Questo è il grande dono che Gesù ci vuole regalare. Non solo gli offriamo oro, incenso e mirra perché lui è il senso della nostra vita, ma perché in lui, l'amato del Padre, ci sentiamo amati in modo divino-umano e il gaudio dell'essere e del sentirci amati in modo divino-umano è la grande speranza della nostra storia.
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