17 gennaio 2016

II DOMENICA T.O. - Anno C –

Is 62,1-5                   1 Cor 12,4-11                     Gv 2,1-12
OMELIA
Il cristiano è chiamato a partecipare al mistero della grandezza divina. E’ quello che ci ricordava la Chiesa domenica scorsa e che il brano di Isaia ci riconferma: la bellezza di essere in una esperienza di armonia, di gioia e di cordialità reciproca. Davanti a questo grande disegno a cui siamo chiamati, l'episodio delle nozze a Cana di Galilea ci aiuta a intravedere il come possiamo entrare in questa meravigliosa esperienza.

Sicuramente il centro di tutta la narrazione è Gesù poiché non possiamo accedere a nessuna novità di vita se non nel mistero di Gesù e l'attrazione a lui. L'attrazione nella sua interiorità costituisce la condizione perché possiamo veramente attingere a quel filone di vita che ci fa percepire la bellezza dell'esistenza.

Gesù ci si rivela in questa esperienza nuziale partendo da un linguaggio che il Vangelo ha espresso chiaramente e che è il senso della povertà: non hanno più vino! Una povertà che diventa anche una stranezza quando, davanti alla richiesta della madre, Gesù fa riempire d'acqua quelle anfore e abbiamo acqua al posto del vino. Manca il vino e si prepara l'acqua: è una paradossalità evangelica. La bellezza della fede è una povertà che non guarda i linguaggi della concretezza storica, ma si lascia attirare dalla personalità di Gesù. È l'uomo che passa dalle evidenze storiche “non hanno più vino”, alla inevidenza: riempire d'acqua quelle anfore che dovrebbero contenere il vino venuto a mancare.

Di fronte a una simile povertà di cose e di senso, il centro di tutto questo avvenimento è la frase che Gesù rivolge a Maria: “Donna non sai che non è giunta la mia ora?”, con il riverbero di un atteggiamento di radicale obbedienza. Gesù è tutto e solo obbediente al Padre, del quale deve compierne le opere.

Un primo particolare è la stranezza che cogliamo nel Vangelo di Giovanni: Gesù non chiama sua madre “Maria”, ma chiama sua madre “donna”, come anche all'albero della croce “Donna ecco tuo figlio!”

In questo c'è una particolare sfumatura alla quale dobbiamo prestare attenzione perché in questa parola “donna” noi cogliamo la fecondità della attrazione a Gesù.

Chi è la donna?

Se guardiamo attentamente, la donna è attratta ad accogliere la persona sommamente amata. La donna è per natura sua aperta al mistero della vita e dell'amore, e, quindi, è aperta al mistero dell'attrazione di Gesù, centro della vera vita e del vero amore. Dio compie meraviglie nella creatura, che si lascia attirare e ha la sua esistenza totalmente aperta: aperta alla persona di Gesù.

Anche se il testo così come l'abbiamo ascoltato non è perfettamente tradotto dal greco, Gesù, in quel momento dice alla donna: "Apri la tua persona alla mia invadenza, vivi il mio stato interiore di radicale obbedienza nelle mani del Padre. Ora è giunto il momento di dare la vita agli uomini. È la donna aperta all'oggi misterioso di Dio!"

È la grandezza che cogliamo dal brano che Giovanni ci ha regalato questa mattina, è la grandezza che ci fa comprendere che la povertà dell'uomo diventa ricchezza quando l'uomo apre tutta la propria personalità all'invadenza di Gesù, all'obbedienza di Gesù nelle mani del Padre. Questo atteggiamento di Maria fa sì che ella dica ai servitori: “Fate tutto quello che egli vi dirà perché io faccio tutto quello che lui vuole”. È il grande mistero della salvezza! Gesù nell'ora è tutto obbediente al Padre, Maria è  obbediente al Figlio,  i servitori sono obbedienti a Maria.

La fecondità della vita nasce dall'apertura all'obbedienza.

Il miracolo di Cana è un capolavoro di obbedienza.

Gesù non fa niente di straordinario, non pone nessun gesto che possa essere eclatante; davanti a noi abbiamo semplicemente la sua persona che è il mistero in cui il Padre opera. La sua persona viene accolta dalla donna Maria, la madre di Gesù, la madre dell'obbedienza e in questo contesto avviene il prodigio: l'acqua diventa vino, la povertà dell'uomo diventa fecondità meravigliosa: è quel vino buono che è il vino della bellezza di Dio. Quando l'uomo si lascia veramente trasportare in questo fascino di Gesù si dimentica le evidenze storiche, entra in un rapporto “nuziale” di affetto in cui l’ invadenza di Dio crea meraviglie.

È il mistero della fede! E’ il mistero della vita cristiana.

Non per niente l'evangelista conclude il brano che abbiamo ascoltato con quell'affermazione: “Questo, a Cana di Galilea” fu non solo l'inizio, come viene tradotto, dei segni compiuti, ma fu il prototipo dei segni di Gesù. Ogni volta che vogliamo gustare la novità di Dio, vogliamo gustare la novità della vita, vogliamo gustare l'ebbrezza dell'istante dobbiamo entrare in questo segno: povertà che si spalanca all'oggi di una persona che diventa il miracolo vivente che dà speranza ad ogni creatura.

La fede è una cosa molto semplice: come la donna è aperta all'uomo che intensamente ama e che si lascia amare, così il credente è una persona pienamente aperta alla persona più amata, che è Gesù, e quando l'uomo entra in questa affascinante avventura ha la fecondità di Dio, la bellezza di Dio.

Quando vogliamo veramente entrare nella novità della nostra esistenza, dobbiamo sempre lasciarci totalmente attirare dal Signore e vivere le realtà storiche solo guardando lui. Chi non guarda Gesù non capirà mai nulla della sua vita, chi non si lascia attirare dal suo fascino avrà sempre anfore piene d'acqua che non diventeranno mai vino, avrà sempre una povertà senza redenzione. Entriamo in questa meravigliosa esperienza e allora riusciremo a  capire perché all'albero della croce Gesù abbia detto: “Donna ecco tuo figlio!” "Donna educa la Chiesa a essere obbedienza come lo sei stata tu alle nozze di Cana di Galilea".

Allora la vita diventa ben diversa…...c’è il gusto della reciprocità.

Chi corre sempre, non gusterà mai il vino messianico, chi è continuamente chiuso in se stesso avrà sempre anfore piene d'acqua, non gusterà mai la bellezza della vita.

Questa mattina ci ritroviamo al sacramento delle nozze di Cana: l'eucaristia, dove la nostra vita  è totalmente attirata da Gesù, e attirati, ci apriamo con tutta la nostra persona alla persona di Gesù che entra in noi, nel suo corpo e nel suo sangue, e fa sì che noi abbiamo la fecondità della vita, la bellezza di cui ha parlato il profeta Isaia.

Viviamo nella semplicità queste meravigliose sottolineature che l'evangelista ci ha offerto in modo che quando sentiamo nella nostra vita le nostre povertà non guardiamoci troppo con tutte le paure che possono nascere, ma proiettiamoci in avanti, entriamo nella persona del Maestro.. spalanchiamo con tutta la nostra esistenza  il nostro cuore alla sua invadenza e avremo l'ebbrezza del vino, la bellezza della vita.

Questo sia il dono che lo Spirito Santo ci deve regalare, come ha detto l'apostolo Paolo, in questa eucaristia in modo che, guidati dallo Spirito, siamo fecondi, siamo contenti, siamo ricchi di speranza, siamo creature che nell'amore di Dio continuamente vengono rifatte.
 
 
 
 
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