27 marzo 2016

DOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE - ANNO C -

At 10,34. 37-43                 Col 3,1-4      Gv 20,1-9
OMELIA
Il cammino che abbiamo percorso nello Spirito Santo in questa quaresima ci ha fatto lentamente crescere il desiderio di godere la presenza del Maestro. La festa della risurrezione ci fa intuire che il Risorto è in mezzo a noi, che il Risorto appare a noi e che noi contempliamo veramente il Risorto.

La bellezza dell'essere discepoli è vedere il Risorto e vederlo, a livello personale, con tutta la ricchezza della nostra interiorità, ma vederlo anche a livello ecclesiale: siamo questa mattina insieme per insieme vedere il Risorto.

Il discepolo non può essere tale se non vedendo il Maestro divino, diversamente potrebbe essere tutta un'illusione!  Davanti a questa vocazione, nasce in noi l'interrogativo: come possiamo vedere il Risorto? La relazione con lui è essenziale per costruire la nostra vita. L'apostolo Pietro, nel discorso a Cornelio che abbiamo ascoltato nella prima lettura, ci offre il metodo perché possiamo veramente gustare una presenza. Pietro ha affermato:“Gesù non si è manifestato a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua resurrezione”.

In questa affermazione della Chiesa Apostolica, scopriamo i due elementi fondamentali per poter fare l'esperienza del Risorto. Il gusto di essere stati eletti da una parte e, dall'altra, il gustare il mangiare e il bere con lui: due elementi che caratterizzano la vita del discepolo.

Innanzitutto per poter veramente vedere il Risorto, dobbiamo prendere coscienza che siamo testimoni eletti, scelti. Ricordiamo sempre la bella espressione del Vangelo di Giovanni: “Non vuoi avete scelto me, ma io ho scelto voi”: il discepolo è colui che è oggetto dell'amore inesauribile di Dio. Questa espressione ritrova il suo riscontro nella figura di quel misterioso personaggio che è apparso nel testo evangelico: il discepolo che Gesù amava.

Il discepolo che Gesù amava è ciascuno di noi.

L'esperienza della risurrezione nasce dalla ferma convinzione che la nostra esistenza è talmente amata da Dio da essere il sacramento dell'amore di Dio, è il gusto di farci amare nella pienezza della nostra identità dal Risorto.

Se il Risorto non avvolge tutta la nostra persona non siamo suoi discepoli.

Usando la bella immagine, sempre di Giovanni, che troviamo quando egli ci presenta il discepolo che Gesù amava : noi dovremmo reclinare continuamente il nostro capo sul petto di Gesù, sentirci talmente immersi nella identità del Maestro da sentirci amati al di là di ogni misura. Usando un'espressione tradizionale dovremmo talmente lasciarci amare “da perdere la testa per lui”. Per poter accedere a questa esperienza dobbiamo “stare” in una affascinante relazione: la persona di Gesù trasfigura la nostra persona perché il Signore abita in noi. L'amore è il Risorto che è presente nella nostra esistenza umana. La nostra fisicità è la sacramentalità dell'essere immersi nel mistero dell'amore che abita in noi : è la gioia di essere discepoli!

Tante volte siamo troppo tentati di rispondere all'amore del Signore e dimentichiamo la gioia di gustare l'essere raggiunti da questa ineffabilità che è una persona gloriosa che abita realmente dentro di noi, e abita in modo così reale da poter continuamente qualificare la nostra esistenza. E’ il nostro cuore che pulsa Gesù Cristo!

Noi non possiamo accedere alla bellezza del Risorto senza questa pregnanza interiore.

Secondo un principio facilissimo da intendere potremmo affermare che l'occhio vede colui che il cuore ama. Quando il cuore ama, vede sempre l'amato! Senza l'amato non si può vivere. Quando perciò ci poniamo l'interrogativo, come possiamo vedere il Risorto, dobbiamo rientrare in noi stessi e intuire la meraviglia che è ciascuno di noi.

La bellezza della vita è gustare questa inabitazione personale del Risorto, ma tale identità si sviluppa nel secondo passaggio che la Chiesa antica ci ha detto attraverso le parole dell'apostolo Pietro: “E’ apparso a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui”. Qui entriamo nella profondità del mistero dell'esperienza del Risorto: Quando ci lasciamo condurre nell'esperienza dell'ultima cena, in quel misterioso evento che è nascosto in Dio, intuiamo in modo particolarmente evidente perché Gesù diventa pane, perché Gesù diventa vino. Se partiamo dalla esperienza concreta della vita, sappiamo che gli alimenti che assumiamo sono in rapporto alla struttura biologica della persona; ogni alimento è in vista di ricostruire continuamente quelle cellule corporee che muoiono. Se la nostra vita ha "le cellule" di Gesù Cristo,  se la nostra vita è il sangue di Cristo che continuamente fluisce nelle membra della nostra persona, qual è l'alimento di questa "corporeità cristologica" che siamo noi, se non il Cristo stesso? Nel momento in cui c'accostiamo all'eucarestia è il Cristo che entra in noi e rifà le cellule della nostra esistenza spirituale e, quindi, lo possiamo veramente conoscere perché, mangiando e bevendo sacramentalmente lui e con lui, veniamo intensamente trasfigurati.

L'eucarestia è il Cristo che ci dice: " Sono la tua vita e non lo sono in modo teoretico, mi faccio cibo-pane e vino per te perché tu, senza di me, muori. La tua identità non si sviluppa, e non realizzi effettivamente la bellezza della tua esistenza." Quando veniamo rigenerati in modo continuo dalla persona del Risorto, la nostra corporeità risorge continuamente perché le nostre cellule sono alimentate da Cristo Gesù.

È la bellezza della nostra esistenza cristiana!

Se potessimo veramente entrare in questa novità e riproporci la domanda che ci siamo posti all'inizio, come possiamo vedere il Risorto, dovremo dare una semplice risposta: impariamo a conoscere chi siamo e gustiamo come possiamo diventare ogni giorno noi stessi. Allora la relazionalità con il Risorto che abita in noi, la relazionalità  che abbiamo  nel pane nel vino che diventa quella capacità visiva del cuore che dice: "Signore grazie che ti riveli a me ogni giorno!" Questa esperienza diventa fortemente feconda perché possiamo essere in grado di manifestare ai fratelli la presenza del Risorto. È molto bello come nella tradizione bizantina l'esperienza della Pasqua si traduce in un'unica parola che risuona continuamente in quelle comunità la mattina di Pasqua di risurrezione e per l'intero periodo pasquale: “Christos Anesti” , "Gesù è veramente risorto"! Ed è un saluto di gran lunga superiore ai nostri “buona Pasqua” che sanno di sapore commerciale. La bellezza della vita è dire Gesù è veramente risorto: “Christos Anesti” perché, in quel momento, in quel proferire una simile espressione si percepisce come queste persone trasfigurate comunicano una gioia “Christos Anesti” perché veramente il Risorto è gustato in questa misteriosa e meravigliosa esperienza.

Questa mattina gustiamo questa verità. Quando noi, che siamo stati scelti nel battesimo ad essere il volto vivente del Cristo, ci accosteremo a quel pane a quel vino avvertiremo che a noi che siamo stati prescelti, e che mangiamo e beviamo con lui, avremo l'esultanza di crescere nel gusto della risurrezione. Uscendo di chiesa, dovremmo dire ai fratelli non tanto con le parole, ma con il sorriso gioioso del cuore:  il Signore è veramente risorto perché con il cuore l'ho visto, l'ho gustato nel cuore, mi sono lasciato trasfigurare dalla sua persona gloriosa e luminosa.

Tale è il mistero che vogliamo portarci a casa questa mattina in modo che la solennità di pasqua di risurrezione  non sia un episodio della vita, ma l'evento della risurrezione è qualificante la nostra storia. Questo gusto della vita ci dà la speranza in quell'eternità di cui ci ha parlato Paolo perché la nostra vita ormai è nascosta con Cristo in Dio.

Questa è la vera gioia della Pasqua, il resto non ci interessa.
 
 
 
 
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