08 maggio 2016

ASCENSIONE DEL SIGNORE - Anno C -

At 1,1-11                 Eb 9,24-28; 10,19-23                  Lc 24,46-53
OMELIA
La gioia della presenza del Signore risorto in mezzo a noi è fonte di continua esultanza e di novità di vita.

Il cristiano non può vivere senza il Maestro divino perché in lui e con lui costruisce ogni istante della sua esistenza. Questa grande esperienza, alla quale ogni giorno siamo chiamati, diventa fonte di continua trasfigurazione interiore. L'interrogativo che nasce è quello di spiegare come possiamo collegare una simile relazione sacramentale con la visione tradizionale di Gesù che va in cielo. Se ascoltiamo attentamente il testo dell'evangelista Luca, ci accorgiamo di una cosa che in termini psicologici ci fa non poca difficoltà: i discepoli sono rimasti con Gesù tre anni, ne hanno condiviso il mistero, con lui sono vissuti, in lui hanno incentrato la loro vita. Di lui sono vissuti. Come mai, nel momento in cui Gesù viene assunto in cielo, sono pieni di gioia e lodano il Signore? Nel cammino dell'esistenza normale le cose non vanno così e allora, credo che la festa di oggi, ci aiuti a risolvere questo interrogativo, ma soprattutto a riscoprire la bellezza esaltante della nostra esperienza di fede. L'evangelista Luca ce ne offre l'opportunità attraverso tre verbi che esprimono il momento della dipartita del Maestro: alza le mani, benedice, si stacca da terra.

Questi tre verbi ci fanno intuire come Gesù non solo non sia partito da noi, ma sia ancora più radicato in noi e nella nostra storia quotidiana.

Nel gesto di alzare-imporre le mani assistiamo ad un passaggio di personalità: Gesù fa passare il suo mistero nei discepoli e rende fecondo questo evento attraverso quella parola creatrice che si chiama l'atto del benedire. I discepoli sono ricreati nello Spirito Santo e divengono la presenza reale di Cristo!

In quella gestualità di Gesù  intuiamo una profonda verità: la persona di Gesù diventa la persona del discepolo e questo evento si dà, mentre il Risorto benedice, si stacca da terra, perché ormai la sua presenza continua a rimanere nel discepolo. È la bellezza che  cogliamo in questo testo.

Gesù non ci ha lasciati anzi, è ancor più presente di quanto lo fosse quando camminava per le vie della Palestina perché assume un nuovo stile di presenza. Nella fede, egli è in noi, nel sacramento diventa creativo per lo sviluppo della sua presenza nella nostra persona, nella vita diventa il sacramento della sua continuazione nelle nostre azioni e nel nostro vissuto.

La festa di oggi ci dice che Gesù non ci abbandona mai, egli è presente in ogni istante della nostra vita. Qui avvertiamo una meravigliosa verità. Quando ci sono le persone fisiche non sempre riusciamo a essere  gli uni presenti agli altri a causa della distanza della nostra corporeità storica. Quando il linguaggio fisico viene superato e viviamo una dimensione più sacramentale cogliamo in modo sempre più vivace questa presenza reale di Cristo in noi. La bellezza della vita è gustare questo Gesù che entrando in noi determina tutta la nostra esistenza e ci guida istante per istante.

Nel momento in cui Gesù entra in noi e ci comunica la ricchezza del suo mistero, avvertiamo che il suo mistero è tutto racchiuso nel progetto divino di tornare al Padre. Quando entriamo in noi stessi, nella nostra persona e intuiamo questo Gesù realmente presente, in quel momento scattano in noi tre possibili sentimenti reali:

·        lui è in noi ,

·        lui assume tutta la nostra storicità, assume tutti i nostri interrogativi, assume tutte le nostre problematiche perché lui, in noi, assume tutto,

·        con lui tendiamo al Padre.

La bellezza dell'esperienza della fede è Gesù in noi che diventa noi perché possiamo essere definitivamente in lui.

Usando un'immagine che ci può aiutare: lui con noi e in noi porta l'oscurità del nostro quotidiano. Il cristiano non è mai solo nel portare i suoi interrogativi perché il Cristo li assume e li assume in modo dinamico poiché egli, in noi, ci attira continuamente nella gloria. La nostra vita è tutta una assunzione, è un desiderio che si dilata continuamente poiché  Gesù, che è in noi, diventa la nostra storia perché abita in noi, e noi in lui avvertiamo di condividere questo suo salire nella gloria del Padre.

In certo qual modo respiriamo l'eternità beata sviluppando in noi la volontà decisa di vedere il Signore faccia a faccia. L'ascensione ci porta lentamente verso quella pienezza di gloria che sarà veramente il compimento della nostra vita: lui in noi assume il nostro mistero umano, lui con noi cammina verso il paradiso per essere, per noi, nella visione gloriosa del cielo. Il mistero dell'ascensione non è semplicemente Gesù che va lassù, l'ascensione è Gesù che nel linguaggio del salire meravigliosamente è in mezzo a noi, regalandoci quel profumo di eternità beata che  la sua presenza in noi semina continuamente. In questa ottica di comunione qual è quel problema che Gesù in noi non sia vissuto da lui? Qual è quell'aspirazione che in lui  profondamente non si realizzi? La bellezza di ogni aspirazione è vedere il Signore faccia a faccia. In quel momento la nostra vita sarà veramente realizzata.

Tutto questo mistero che noi stiamo vivendo nell’ ascensione del Signore, è un mistero che nello Spirito Santo stiamo gustando nell'eucaristia dove scopriamo una dialettica molto bella: la lontananza è particolare vicinanza e la vicinanza, nello stesso tempo, è una singolare lontananza. Il Signore in quest'eucaristia sta condividendo con noi la sua persona e noi in quest'eucaristia diciamo intensamente che senza di lui non possiamo vivere. Ma questa vicinanza è questa lontananza perché non ci siamo ancora assisi al banchetto della gloria eterna.

È molto bello quando ci accosteremo alla comunione e sentiremo quella bella espressione del libro dell'Apocalisse “Beati gli invitati al banchetto della cena delle nozze dell'agnello”. In quel momento "mangeremo" la gloria di Dio, mentre ora stiamo desiderando di mangiare il volto di Dio nel banchetto del paradiso. La bellezza della liturgia di questa mattina è sognare con realismo una luce incomparabile nella quale la nostra vita sarà veramente e totalmente realizzata. Quando nella nostra settimana ci sentiremo poveri, gustiamo la ricchezza del Dio in noi e con noi! Quando abbiamo gli interrogativi, di cui la nostra vita è carica, nella fede ben sappiamo che Gesù li ha già assunti in sé. Quando ci poniamo la domanda cosa sia la vita, dovremmo avvertire un'attrazione in un mistero indicibile che è la gloria del cielo! Allora una grande speranza sarà nel nostro spirito e cammineremo certi che lui non ci abbandona mai: il paradiso è già oggi incominciato.
 
 
 
 
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