03 luglio 2016

XIV DOMENICA T.O. - Anno C -

Is 66,10-14              Gal 6,14-18             Lc 10,1-12. 17-20
OMELIA
La nostra vita è tutta immersa in Gesù Cristo e noi in lui e con lui costruiamo ogni nostra scelta.

È la bellezza di salire in e con Gesù verso Gerusalemme perché il destino di Gesù deve diventare il destino del senso della nostra storia. Davanti a questo grande orizzonte che ci affascina, poiché vivere l'esistenza in Gesù è la grande attrazione di chiunque lo segua, in noi nasce la domanda: come possiamo nella nostra storia, nella nostra esistenza gustare questa meravigliosa presenza?

Ci accorgiamo come l'evangelista Luca ci ponga dinnanzi la missione dei discepoli.

Le meraviglie che il Signore compie in noi e che desidera far maturare in noi si elaborano solo nella riconoscenza. La missione è di Dio, in modo personale, è l'effetto del mistero che ci ha raggiunti. L'uomo che non incarna attraverso tutta la sua personalità il mistero che gli è regalato non comprenderà mai il mistero stesso. La riconoscenza è la fecondità della presenza del Maestro che si ritraduce nell'esperienza della vita. Questo è un atteggiamento normale.

L'uomo capisce chi egli sia non quando pensa, ma quando concretamente vive; nel concretamente vivere l'uomo ritraduce la convinzione presente nel suo spirito che deve concepire la grandezza della sua storia.

Il vissuto è la fecondità di ogni dono.

In questo, il mistero di Gesù nella nostra esistenza, è un mistero sommamente creativo: chi gusta la bellezza di Dio la regala e, nel momento in cui questa bellezza di Dio la regaliamo, la conosciamo. Conosciamo quello che l'apostolo Paolo, in modo meraviglioso, ci ha delineato nella seconda lettura: "d'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo".

Chi vive in riconoscenza e approfondisce il mistero avverte quest'esperienza di Paolo; infatti, il Signore che entra in noi, il Signore che abita la nostra esistenza, il Signore che costruisce ogni nostro istante è un Signore che ha le stigmate. Nel momento in cui Gesù è stato assunto alla destra del Padre non ha abbandonato la sua fisicità. Le sue mani e sui piedi trapassati, il fianco lacerato sono nella umanità gloriosa di Gesù. Quindi, tutto quello che riguarda la personalità di Gesù è dentro di noi: le sue mani, i suoi piedi trafitti e il suo costato lacerato sono dentro di noi.

Cosa vuol dire tutto questo nell'elaborare la nostra esperienza di discepoli? Cosa sono le stigmate se non il linguaggio di un amore inesauribile……… È la dedizione totale e di amore al Padre e agli uomini.

Noi siamo il luogo dell'amore inesauribile di Dio.

Ecco perché l'apostolo dice: "d'ora innanzi più nessuno mi dia fastidio" perché la mia esistenza abitata da questo amore incontenibile è un'esistenza realizzata; in questo il discepolo intuisce che vivere di gratitudine è rendere fecondo, ogni giorno, questo mistero. La gratitudine è la libertà feconda del cuore dell'uomo.

Quando l'uomo non si regala, quando l'uomo non si offre in serenità ai fratelli, quando non condivide questo grande mistero atrofizza i doni di Dio. Possiamo gustare questa presenza creatrice del Signore se veramente giorno per giorno viviamo in questa riconoscenza regalandoci. È la grande libertà dell'uomo!

L'uomo riscopre se stesso quando ogni dono è per la gioia dell'altro e tutto questo con una finalità molto chiara. Infatti Gesù dialogando con i suoi discepoli quando essi ritornano dalla loro missione, non dice loro che la gioia è quello che hanno fatto. Tante volte pensiamo che la bellezza della vita cristiana sia fare tante cose, ma questo non è il valore che continuamente deve emergere nella vita perché il criterio, lo ha detto Gesù, è che i "vostri nomi siano scritti nei cieli" perché la vostra vita è un mistero di comunione divina. Allora intuiamo che la bellezza dell'essere discepoli, la gioia di vivere in gratitudine, regalandoci, non è mai pensare a quello che facciamo, o quello che doniamo, ma alla comunione che stiamo realizzando. Ogni gesto che poniamo nella gratitudine è nella prospettiva di una fraternità. L'uomo che pensa troppo a quello che fa si autodistrugge…. l'uomo deve pensare a quello che regala.

Nel momento in cui regala, l'uomo vive un'esperienza di comunione, entra nel mistero della vita e la gioia dell'altro è la bellezza della riconoscenza a Dio. È un mistero questo che ci libererebbe da tante cose che possono in un modo o in un altro continuamente stancare. Ecco perché l'evangelista pone sulle labbra di Gesù, nel momento in cui invia i discepoli, il comando che devono avere il minimo indispensabile perché devono essere la trasparenza di un mistero più grande che, nella gratitudine, si vuole regalare agli altri. L'uomo è grande perché regalandosi crea la gioia dell'altro nella coraggiosa e gioiosa dimenticanza di se stesso. Allora intuiamo che la conoscenza di Gesù diventa il grande criterio della nostra vita: regalarci. Più ci regaliamo più conosciamo Gesù perché regaliamo Gesù, più comprendiamo Gesù, diventiamo sempre più Gesù.

La sera di ogni giornata dovremmo sempre dire con Paolo: "d'ora innanzi più nessuno mi dia fastidio, io porto nel mio corpo i segni di un amore così grande che è l'appagamento di ogni mio desiderio".

È il mistero eucaristico che stiamo celebrando.

L'eucaristia è lasciarci amare nella gratitudine.

Quando ci lasciamo amare nella gratitudine quel Corpo e quel Sangue rivestono la nostra esistenza di un mistero veramente affascinante: siamo e diventiamo dei trasfigurati luminosi che giorno per giorno cambiano la nostra esistenza.

Viviamo così questa eucaristia e nella nostra esistenza, davanti a tutti i fatti, diciamo sempre: è grazia, facendo di ogni scelta un canto di gratitudine.

Allora entriamo nella libertà del cuore, camminiamo in novità di vita e siamo la gioia della speranza per ogni nostro fratello
 
 
 
 
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