10 luglio 2016

XV DOMENICA T.O. - Anno C -

Dt 30,10-14             Col 1,15-20             Lc 10,25-37
OMELIA
Gesù ci invita continuamente a vivere in comunione con sé poiché la bellezza d'essere discepoli è condividere fino in fondo la sua esistenza. Anche noi, questa mattina, in senso positivo rivolgiamo Gesù la domanda dello scriba: "che cosa devo fare per avere la vita eterna?"

Una domanda che nasce spontanea in chiunque segua il Maestro perché vivere la vita eterna è entrare nella medesima luce gloriosa. A tale interrogativo Gesù dà la risposta più chiara: "imita la mia persona".

Infatti, la parabola è nient'altro che la descrizione della interiorità di Gesù nei confronti dell'uomo. In questa visione cosa vuol dire la parola "prossimo" contemplando Gesù?

Immediatamente si supera una visione che tante volte è immediata per una certa mentalità che inconsciamente abbiamo acquisito. Davanti all'interrogativo  - chi sia il prossimo - facilmente diciamo: il fratello, perché siamo eredi di una concezione che amare il prossimo è amare l'altro. Gesù è più profondo: chi è stato prossimo per colui che è incappato nei briganti? Prossimo, evangelicamente è colui alle cui orecchie giunge un grido di aiuto. Ogni rapporto interpersonale genera il “prossimo”, cioè persone in stato di accoglienza dell'altro perché ogni grido che nasca dal cuore di un fratello ci rende suo prossimo. Davanti a questo orizzonte l'evangelista nel narrare la parabola e nell'evidenziare le caratteristiche dei tre personaggi (i sacerdoti, il levita e il samaritano) usa il verbo "vedere". Nel verbo "vedere" scopriamo la dinamica del diventare prossimo per essere in accoglienza dell'altro. Il sacerdote scendendo da Gerusalemme vede e passa oltre perché la sua vita è piena di tanti precetti. Potremmo pensare all'uomo che è immerso in tanti pensieri dove egli, come protagonista della propria vita, non ha la capacità di vedere. Per poter vedere occorre avere un animo libero e puro. L'uomo che è intasato dai tanti pensieri non diventerà mai prossimo perché ha l'incapacità esistenziale dell'apertura. Facilmente noi diciamo: "ho tante cose da fare per potermi fermare". Ecco perché il sacerdote se ne va, la sua vita è piena di tante cose. Dall'altra parte il levita vede e non si ferma perché la sua vita è appagata dai riti; è appagata dall'insieme di attività che riempiono la sua vita e, di riflesso, costruisce un'esistenza autoreferenziale "io so quello che devo fare" e quindi non ha la sensibilità di accogliere l'invadenza di un altro. Il terzo passaggio è quello cui Gesù ci educa: il samaritano vive e fece tutto quanto abbiamo ascoltato dalla parabola. Quello è il "vedere" per poter accedere alla gioia di diventare prossimo. Il vedere presuppone una purezza di cuore dove, il cuore puro è pronto ad essere abitato. Il cuore puro è il cuore di colui che non si lascia condizionare dai contesti sociali, economici, politici e religiosi… il levita non ha un'apertura interiore che si esprime nell'occhio. Il cuore puro ha l'occhio dell'accoglienza.

È il grande mistero cui Gesù ci richiama; la bellezza della vita di Gesù è lasciar abitare l'umanità nella propria persona. Nel momento nel quale l'occhio che nasce dal cuore puro è aperto, si realizza una dinamica interiore che ci dà la capacità di diventare prossimo; nel momento in cui l'occhio in un cuore puro dà l'apertura all'altro, l'altro mi dice cosa devo fare. Un cuore nel quale l'altro non viene ad abitare non sa mai cosa fare!

Il vedere, in certo qual modo, è un'apertura per imparare. Allora, il vedere stabilisce un tale legame con l'altro che l'altro si sente accolto in tutta la dinamicità della sua vita e nel momento in cui si rende accolto suggerisce lo stile operativo.

Questa è una verità di fede che Gesù ci ha insegnato, Gesù è diventato veramente uomo, da vivere come ogni pio ebreo, perché ha assunto talmente l'umanità concreta del pio ebreo, da vivere come pio ebreo. Gesù ci dice che la bellezza di farsi prossimo è la capacità di dire all'altro: "vieni ad abitare nella mia vita, suggeriscimi quali sono le caratteristiche della tua umanità perché io possa realizzare il tuo volto umano". In questo la bellezza nella quale Gesù ci colloca è la capacità di vivere come lui. Ogni fratello è un dono perché noi lo accogliamo.

Gesù dice a noi, come ha detto allo scriba: "va’ e fa’ anche tu lo stesso,  impara ad avere un cuore puro per vedere le intenzionalità più profonde dell'altro  entrando in intimità e in comunione con lui, per cui l'altro si senta una persona come a casa tua". Se non entriamo in questo orizzonte vediamo e passiamo oltre perché noi conosciamo già tutto.

Ecco perché l'uomo di oggi non è più capace di farsi prossimo, perché ha una vita troppo intasata, troppo depressa, troppo animata da cose contingenti che lo vogliono gratificare. La bellezza è questo cuore puro, attento, che dice all'altro: "abita in me perché possa capire i palpiti del tuo cuore e dirti nello Spirito Santo la parola che lo Spirito Santo vuole che io ti dica". Allora veramente diventiamo prossimo, abbiamo un cuore in sempre meraviglioso ascolto.. L'eucarestia che stiamo celebrando non è Gesù che si fa nostro prossimo?

Davanti al nostro desiderio di novità di vita e di comunione con lui Gesù ci accoglie, diventa pane e vino perché entrando in noi ci dia la gioia della nostra umanità. L'eucaristia è il quotidiano farsi prossimo di Gesù.

Con questi atteggiamenti viviamo quest'eucaristia nel gusto di percepire la gioia di essere creature nuove in modo che la nostra vita non sia agitata, sempre di corsa, ma la nostra vita sia un fermarsi, ascoltare, far abitare l'altro e donargli con il sorriso del cuore la speranza della vita.

Allora davanti alla domanda dello scriba: "Signore cosa devo fare per avere la vita eterna?" Egli risponde: diventa come me, spalanca col cuore innamorato la tua vita, ama il fratello e digli la parola di verità che Dio Padre, nello Spirito Santo semina continuamente nel nostro cuore.
 
 
 
 
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