24 luglio 2016

XVII DOMENICA T.O. - Anno C -

Gen 18,20-32                     Col 2,12-14             Lc 11,1-13
OMELIA
Chi nell'ascolto amoroso del Maestro spalanca la propria vita al Maestro stesso viene introdotto a gustare i suoi stessi sentimenti.

E’ quello che Gesù ci ha insegnato domenica scorsa. La vita non è un correre continuo, ma stare ai piedi di Gesù accogliendone tutto il mistero. La verità di questa esperienza si ritraduce nell'insegnamento sulla preghiera di cui Gesù ha parlato questa mattina, cercando di comprenderne l'anima, per evitare che le nostre preghiere non siano preghiere evangeliche. Con un simile intendimento intuiamo che solo Gesù può essere il vero maestro per accedere alla bellezza e alla fecondità della preghiera. Il discepolo, di cui parla l'evangelista Luca, infatti si è lasciato affascinare dallo stile orante di Gesù e, in questo fascino, è nata la supplica: “insegnaci a pregare come anche Giovanni il battista ha insegnato a pregare ai suoi discepoli”. In questa richiesta impariamo a comprendere la motivazione della preghiera come la confessione di fede del vero discepolo. Se ogni uomo in quanto uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, è orante per natura sua, il discepolo, che ha il gusto della presenza di Gesù, (come ci ha suggerito l'apostolo Paolo nella lettera ai Colossesi)  ritraduce questa sua vitalità pregando come Gesù, o meglio, lasciando pregare Gesù in noi. Non è il discepolo che prega, ma il Cristo nel discepolo continua a pregare perché la preghiera del discepolo è la stessa del Maestro.

Ma cosa ha significato per Gesù pregare?

Qualche volta, ascoltando l'espressione che abbiamo poc'anzi udito dal Vangelo, siamo molto tentati di vedere la preghiera di Gesù nella formulazione del "Padre nostro", ma come abbiamo chiaramente ascoltato nel testo alleluiatico, Gesù ci ha insegnato una sola parola: dire: “Abbà, Padre!” Questa è la preghiera che Gesù ci ha insegnato e in questa preghiera troviamo lo stile orante di Gesù nel quale siamo chiamati ad inserirci.

Per Gesù dire “Abbà, Padre” vuol dire una vita di comunione, in quel “Abbà, Padre” c'è quell'espressione giovannea “io e il Padre siamo una cosa sola”, il pregare è il fascino trasfigurante di una relazione dove l'orante che vive intensamente la comunione con Dio ne gusta la perfetta libertà.

Pregare è gustare la creatività divina nella nostra vita e, questo pregare di Gesù è stato anche tragico. Dovremmo sempre andare all'orto degli ulivi dove Gesù ha detto: “Padre, se è possibile passi da me questo calice, non però la mia, ma la tua volontà sia fatta”. In questo linguaggio del Maestro intuiamo come egli fosse in viva relazione con il Padre nel quale poneva tutta la sua libertà. Pregare è dire con tutta la nostra personalità che non si è più soli, ma si vive in questa meravigliosa comunione con Dio. Una simile esperienza si gusta nella essenzialità delle parole, poiché nella vera comunione tutto si riduce alla massima semplicità nel linguaggio.

La preghiera più è vera, più riduce le parole, la preghiera più è vera, più diventa un linguaggio solo del cuore.

Pensiamo tante volte che dobbiamo pronunciare tante preghiere, dimenticando che la preghiera è l'intensità di una comunione trasfigurante che nel cuore diventa silenzio. Ecco perché Gesù davanti alla domanda del discepolo ha detto  “quando pregate dite Padre! “Padre, Abbà. In questo ritroviamo il gusto della attiva presenza di Gesù in noi che in noi vive la comunione con il Padre. Se abbiamo questa convinzione, il cristiano è colui che lascia pregare Gesù nella propria esistenza conformando attivamente la propria libertà alla misteriosa volontà divina.

Una simile esperienza è sicuramente molto bella e sant'Agostino l'ha ben delineato: “Gesù prega in noi, prega con noi come uomo, è pregato da noi come Dio, così che le nostre parole sono la sua voce e la sua voce sono le nostre parole”.

Pregare è immedesimarci continuamente con il suo mistero dell'amore accogliendolo fino in fondo. L'atto del pregare è stare ad una presenza, è vivere una comunione che ci permette di percepire che non siamo soli, è quella meravigliosa relazione che esiste nella vita del discepolo che non può fare nulla senza la comunione con il Maestro. Anzi, se riusciamo a collegare l'inizio del Vangelo di questa mattina con l'esperienza di Maria di domenica scorsa, la preghiera non è altro che il vibrare originale in ciascuno di noi della parola di Dio! La bellezza del pregare è questa presenza di Gesù che ispira il cuore, determina le parole e diventa linguaggio. Il pregare evangelico è dire a Dio ciò che Dio ha seminato nel nostro cuore e Dio desidera ascoltare quello che pone sulle nostre labbra. In questo ci ritroviamo nella preghiera con una grande libertà di cuore; con questo non si vuole dire che noi non dobbiamo anche gridare le nostre povertà. Lo stesso Agostino diceva che la preghiera di supplica è la liturgia dei poveri perché il povero deve gridare, ma il gridare si coniuga con quel sottofondo della vita di Gesù all'orto degli olivi: “non la mia ma la tua volontà o Padre!” È in certo qual modo la paradossalità del pregare: viviamo l'intensità di comunione, pur avvertendo che nell'esperienza tante volte non veniamo ascoltati.La comunione è la speranza nel cammino della vita; si dice che non esista un uomo che non preghi ed è vero,  perché ogni uomo è immagine e somiglianza di Dio e il Dio che dimora in noi è attivo, anzi, usando una bella espressione di un teologo ortodosso: Dio prega Dio.

Il pregare è entrare in una circolarità che nasce da Dio e giunge a Dio attraverso l'orante che è Gesù in noi.

Ecco perché le preghiere lunghe sono noiose perché non ritraducono la vitalità di una relazione… quante preghiere sono chiacchiere che per fortuna Dio non ascolta! La bellezza della nostra esistenza è entrare in questa circolarità,secondo l'insegnamento di Gesù stesso: "quando pregate dite: Padre!" È lo Spirito che grida “Abbà, Padre” ! In quel momento l'anima ritrova la serenità, pur nella tragicità della storia, di non sentirsi sola perché la comunione è speranza in ogni problematicità dell'esistenza. La bellezza della nostra vita umana e cristiana è far fiorire questa ricchezza divina che è presente in noi e che diventa preghiera, che diventa comunione, che diventa gusto della libertà di Dio, che diventa esperienza di una novità che c'è nel cuore, pur nell'oscurità e tragicità dell'esistenza. Il Padre nostro è gridare nella fede “Abbà, Padre”!

La Chiesa antica ha conservato l'espressione Abbà! perché chiunque avesse detto "Padre", avrebbe percepito la tonalità orante e personale di Gesù. Quando l'uomo entra in questa affascinante esperienza sa di essere nelle mani di chi è la fonte della vita, di chi è il respiro della vita, di chi è la grande meta della vita. Gli antichi questo lo avevano compreso attraverso le formule semplici delle giaculatorie che sono delle frecce d'amore rivolte a Dio per crescere nella comunione divina.

Perciò in quest'eucarestia nella quale ci ritroviamo in una vivace situazione di preghiera, purtroppo noi tante volte pensiamo che andiamo celebrare dei riti.. no! Nella celebrazione dei divini misteri non facciamo altro che pregare e il pregare s'incarna nei riti. Senza la potenza della preghiera non gusteremmo la libertà di Dio che fa nuove tutte le cose e perciò, in quest'eucarestia, diventiamo oranti pur con tutte le tragicità che ci accompagnano continuamente e che ci possono far dubitare della divina presenza. Tuttavia siamo certi che nella comunione con Dio respiriamo, cresciamo nella speranza e, secondo i misteriosi disegni divini non saremo delusi. In questa dinamica inseriamo la nostra libertà crocifissa.

Questa sia la bellezza di quest'eucarestia: il canto della speranza di un uomo che vuole essere liberato dalle oscurità delle contingenze storiche mediante la viva presenza di Cristo nel pane e nel vino.

In questo egli fa nuove tutte le cose ricreando la nostra vita interiore.
 
 
 
 
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