23 settembre 2018

XXV DOMENICA T.O. - ANNO B -


Sap 2, 12.17-20                  Giac 3,16-4,3                     Mc 9,30-37
OMELIA



La conoscenza di Gesù è la grande meta e la profonda animazione del nostro cuore, e poiché tale meta è il fascino e la verità della nostra esistenza, Gesù questa mattina ci insegna il metodo perché lo possiamo veramente conoscere in autenticità. L'evento che emerge all'inizio del brano evangelico è che Gesù non vuole che gli uomini sappiano della sua presenza. Infatti una caratteristica del Vangelo di Marco è che Gesù impedisce a chiunque sia oggetto di un suo favore di dire quel mistero che aveva vissuto poiché Gesù teme che la sua presenza possa essere facilmente fraintesa. Finché non si arriva all'evento pasquale Gesù non è conoscibile. Tutta la narrazione evangelica è orientata a tale evento finale che rappresenta la chiave interpretativa di tutto il vangelo.

L'uomo, preso dalla spettacolarità degli atteggiamenti di Gesù può facilmente cadere nella tentazione di credere in lui perché egli compie opere meravigliose. Gesù sa esattamente che il cuore dell'uomo da solo non potrebbe mai conoscerlo e questo è molto chiaro nel Vangelo di Giovanni quando l'evangelista dice che il Maestro non credeva a quelli che si affidavano a lui perché sapeva quello che c'era nel cuore dell'uomo. E di riflesso lo stesso evangelista introducendosi al racconto della passione afferma che quelli che credevano in lui pensavano di più alla gloria degli uomini che alla gloria di Dio.

Per poter conoscere Gesù ci vuole un cuore abitato dalla sua presenza, dove Gesù, che è il signore nel cuore dell'uomo, può dare la capacità di conoscerlo veramente. Chi non entra nell'interiorità di Gesù non conoscerà mai Gesù e allora poiché senza il Signore non possiamo vivere e senza la conoscenza del Maestro non possiamo elaborare una vita autenticamente evangelica, ecco la parola che questa mattina abbiamo accolto e che ci aiuta effettivamente a incamminarci in questa conoscenza di Gesù, Giacomo nella sua lettera ci dice che la sapienza viene dall'alto.

Nel cammino della vita dobbiamo essere persone di interiorità che continuamente supplicano il Signore perché si riveli al nostro cuore. Quando l'uomo desidera conoscere Gesù, Gesù dà il suo Spirito che ci permette d'entrare in questo itinerario conoscitivo. Sull'esempio stesso di Gesù, la risposta per entrare nel cuore del Maestro è data dalla parola di Dio. Infatti qual è il senso di quell'espressione che abbiamo poc'anzi ascoltato nel Vangelo Il Figlio dell'uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà? Rileggendo questo testo in noi può nascere una domanda: Gesù sapeva che sarebbe risorto? Se guardiamo attentamente la persona umana di Gesù dobbiamo dire: no.

Il testo che abbiamo ascoltato è una rielaborazione della comunità antica che legge la storia di Gesù alla luce della resurrezione, ma il testo è molto più profondo ed è estremamente significativo per noi. Che cosa Gesù in quell'espressione e in tutte le altre espressioni che abbiamo ascoltate voleva dire? Gesù era un pio ebreo e tutte le settimane andava alla sinagoga, che tutti i giorni recitava per ben tre volte la sua professione di fede nella storia di Dio nell'esodo, era un uomo costruito dalla parola di Dio e, costruito dalla parola di Dio sapeva esattamente - e lo abbiamo intuito dal finale del testo sapienziale - che chiunque costruisca il suo istante ascoltando la parola di Dio non sarà deluso. Gesù, di fronte al fallimento del suo ministero in Galilea, si pone la domanda circa il significato della sua missione. Alla luce del quarto carme del servo di Jahwè di Isaia, in parte rielaborato dal testo sapienziale, per Gesù appare chiaro che il giusto non sarà mai abbandonato da Dio al quale ha affidato la sua vita e nel quale vuol leggere ogni suo istante esistenziale. A tale riguardo è molto bello quell'accenno al dopo tre giorni risorgerà dove quel “tre giorni” non è cronologico, quel “tre giorni” è teologico, incarna la consapevolezza che Dio è fedele! Chiunque costruisca la sua esistenza fidandosi veramente di Dio, Dio non lo deluderà perché chi vive in segreto nella presenza del Maestro che abita nel suo cuore ha una grande certezza: "se Dio è con me nulla è contro di me."

È quell'esercizio di interiorità richiesto all'uomo che, davanti agli interrogativi anche tragici della storia, sa rientrare in se stesso, legge la parola, gusta la presenza del Signore e trova la speranza della sua vita. L'uomo nel caos della storia si pone tanti interrogativi fino all'interrogativo di fondo che senso abbia vivere, soprattutto quando siamo in una oscurità esistenziale da tutti i punti di vista, e Gesù ci dice: entra nella tua interiorità nel nascondimento del tuo cuore gusta la mia presenza alza gli occhi verso l'alto e Dio ti parlerà, e quella parola è la fiducia di Dio per te. Come ogni parola umana detta col cuore libero e sereno riempie di fiducia ogni fratello, così Dio fa con noi: la parola scritturistica, la parola della storia, la parola dello Spirito Santo è una vera parola di fiducia, come Gesù che è vissuto di questa parola divina. Un simile atteggiamento è talmente vero poiché Gesù stesso ha fatto questo stesso tipo di scelta, quando, rispondendo ai discepoli che discutevano su chi fosse il più grande, egli ha definito se stesso servitore di tutti, dove “servire” possiede un ben specifico significato. Usando solo un'immagine l'atteggiamento del servire è metterci in ginocchio davanti al fratello nella gioiosa non conoscenza del fratello stesso per accoglierne il mistero. Servire non è fare servizi, servire è il silenzio che accoglie.

La bellezza dell'esperienza della fede è entrare in questa meravigliosa interiorità. Gesù quando parla al cuore non vuole tante cose esteriori, dice soltanto che nel silenzio del quotidiano sappiamo ritrovare la speranza, accogliendo nella parola e attraverso l'ascolto di Dio e della storia la condiscendenza divina. L'ascolto del Padre, l'ascolto degli uomini vanno di pari passo. La bellezza del conoscere Gesù scaturisce solo dal più profondo silenzio del cuore. E allora dovremmo imparare a non lasciarci distrarre dalle tante cose. Uno dei limiti dell'uomo storico è interpretare se stesso e la vita e la storia con i parametri del mondo massmediatico, con le attese psicologiche dettate dalla nostra soggettività. Dobbiamo entrare in un silenzio interiore dove lasciamo scrivere a Dio le sue parole nel nostro cuore ascoltandolo e ascoltando i fratelli. E allora la parola del Signore diventa la nostra grande speranza.

Credo che questa mattina Gesù davanti al nostro intenso desiderio di conoscerlo ci dica una verità molto semplice: questa mattina ti ha convocato perché voleva parlarti, ha portato la tua storia drammatica anche connotata dall'assenza della speranza. Allora… "la mia vita nel tuo cuore che parla". Quando noi ascoltiamo il Cristo, ascoltiamo la parola di uno che ha fiducia estrema nei nostri confronti e possiamo aprirci al quotidiano con tanta fiducia. È la bellezza di quel conoscere veramente e profondamente Gesù per cui nel momento in cui ci accosteremo all'Eucaristia, il Cristo darà vitalità alle nostre persone, ci regalerà la sua speranza contro ogni speranza, perché egli ha fiducia di noi. Ciò che conta è che entriamo nel suo silenzio, accogliamo la sua parola e sappiamo spalancare all'ascolto le nostre persone e i fratelli. Allora la speranza, la sapienza che viene dall'alto, inonderà i nostri cuori e ci darà il coraggio e la forza per ricominciare da capo perché dove c'è il Signore, anche se non ce ne accorgiamo, lì è presente la creatività dello Spirito Santo, e le piaghe o le ferite che nascono dai dolori della storia, che nascono dagli interrogativi senza risposte del quotidiano, saranno illuminate, saranno guarite e in quest'Eucaristia ci ritroveremo quegli uomini nuovi che hanno la fiducia di Dio, e un piccolo uomo che viva della fiducia di Dio fa capolavori al di là di ogni nostro pensiero.




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