01 novembre 2018

TUTTI I SANTI - Solennità


Ap 7,2-4.9-14                      1Gv 3,1-3                 Mt 5,1-12

OMELIA

Il cristiano ha la vocazione ad imitare continuamente Cristo Gesù: è la grande avventura della vita, che è rendere il Cristo criterio portante della nostra esistenza. La festa di tutti i Santi ci porta a riflettere ulteriormente sul mistero di Cristo per ritrovare l'autentica anima della vocazione alla santità e ci accorgiamo, contemplando il Cristo, di due aspetti della sua personalità, che devono divenire la strada autentica per la nostra realizzazione umana e cristiana.

Da una parte intuiamo la viva consapevolezza che Gesù ha di appartenere al Padre e che si è ritradotta nella bella professione di fede che l'evangelista Giovanni mette sulle labbra di Pietro Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio! In questa affermazione cogliamo la profondità del mistero di Gesù e se noi entriamo nel suo fascino ci accorgiamo che la bellezza di Gesù è la relazione con il Padre. Gesù è tutto nel Padre perché l'espressione, che l'evangelista Giovanni ha messo sulle labbra di Pietro, ritraduce questa convinzione: Gesù è il Santo perché è tutto nel Padre, è innamorato del Padre e la sua esistenza è solo il Padre! Essere santi è appartenere al Santo. La contemplazione di Gesù ci permette veramente di accedere a questa grandezza che qualifica la nostra esistenza.

Nello stesso tempo, essendo tutto nel Padre, Gesù è il grande protagonista delle beatitudini; il Padre è innamorato dell'uomo, Gesù che è tutto nel Padre è innamorato dell'umanità e le otto beatitudini che abbiamo ascoltate sono l'incarnazione della santità di Dio nella storia degli uomini. Non per niente le beatitudini che abbiamo ascoltate sono otto, l’eternità innamorata del tempo, perché la bellezza dell'entrare nel mistero di Gesù è vivere come lui. Chi è nel Padre è innamorato dell'uomo, chi vive la storia del Padre vive la storia degli uomini per cui la festa di tutti i santi è cantare al Santo come a colui al quale noi dobbiamo fare continuamente riferimento per ritrovare la nostra esistenza.

In una simile visione intuiamo, entrando nel mistero di Gesù, quella che è la vocazione alla santità che è una sintesi continua di appartenenza a Dio e di innamoramento della storia. Infatti chi è il cristiano se non colui che è santo nel Santo?

Le prime due letture ce lo hanno chiaramente - a livello immaginifico - fatto intuire abbiamo lavato le nostre vesti nel sangue dell'Agnello che ci rende uomini luminosi di eternità. Il cristiano nella sua identità è l'immagine gloriosa del Santo per eccellenza, è quella luminosità eterna che qualifica la nostra personalità umana. Infatti se noi, per un momento, cerchiamo di chiederci “chi siamo?” l'espressione della prima lettera di Giovanni è chiarissima: figli nel Figlio: siamo generati dal Padre in Cristo, vivendo la luminosità dello Spirito Santo, quindi tutti noi siamo la presenza personale del mistero trinitario.

Noi qualche volta non riusciamo a entrare in queste perle del Vangelo perché siamo troppo catturati dalle realtà concrete e contingenti, sapendo o presumendo di sapere che la santità sia un comportamento. Siamo santi nel Santo e nel Santo apparteniamo a Dio! Ecco perché il cristiano nel cammino della sua esistenza ha sempre il gusto del divino, dell'eterno, del trascendente.

La conseguenza a cui dobbiamo accedere è che, come Gesù -che è il santo nel Padre- ha ritradotto nel linguaggio di Matteo la sua esperienza di amore all'umanità nelle otto beatitudini, così noi possiamo dire che la bellezza di appartenere a Dio si incarna nella beatitudine della storia e le beatitudini sono infinite, quanto è variegato l'orizzonte della storia degli uomini. Otto beatitudini in Gesù, infinite beatitudini nella vita di un uomo perché la bellezza di appartenere a Dio ci porta ad amare talmente l'uomo da diventare la storia dell'uomo, e quando la vita divina che è in noi si incarna nella storia degli uomini, quella scelta storica è una beatitudine. Il cristiano è chiamato a dare alla luce beatitudini infinite perché è nient'altro che vivere il concreto, il contingente, le situazioni del quotidiano nel mistero stesso di Dio. Ecco perché se noi guardassimo attentamente la provocazione evangelica ci accorgeremmo che il vivere è incarnare, il gustare ogni giorno l'essere proprietà di Dio. E quando noi incarniamo nel contingente la coscienza che apparteniamo a lui, il Cristo diventa il protagonista del concreto, delle scelte, delle relazioni, delle dimensioni nella storia contemporanea. Ecco perché il vero criterio dell'agire morale sono unicamente le beatitudini, l’incarnazione della grandezza di Gesù. La santità è perciò nient'altro che vivere nel feriale il mistero di Gesù in tutte e due le sue componenti, tutto nel Padre, tutto per gli uomini; incarnare l'Eterno nel concreto, illuminare il concreto di eternità beata e questo non comporta niente di straordinario, ma solo la coscienza di chi siamo del mistero di Gesù. Ecco perché il cristiano nel cammino quotidiano non guarda tanto alla storia, ma incarna Dio nella storia attraverso quell'amore di Gesù per l'uomo che deve caratterizzare l'esperienza di ciascuno di noi. Chi ama l'uomo come lo ama Gesù è santo perché la bellezza della nostra vita è dire agli uomini che il Dio della rivelazione, nel quale la nostra esistenza è totalmente immersa, è principio della nostra esistenza. Se noi dovessimo entrare nel concreto di quello che Gesù potrebbe averci detto stamattina, la bellezza della santità è molto semplice: amare la ferialità del quotidiano. Usando un'immagine evangelica siamo chiamati ad “innamorarci della casa di Nazaret”, in quella quotidianità che è la vera santità dell'uomo. Come conseguenza dovremmo, nel cammino della nostra esistenza, riuscire a comprendere che la festa di tutti i santi è la festa della vita di ognuno di noi perché ognuno di noi è il volto vivente del Cristo.

Allora il desiderio di voler celebrare l'eucarestia è crescere nell'appartenenza al Padre come Gesù. Noi quando ci accostiamo all'eucaristia cantiamo la vocazione alla santità; non per niente nella liturgia bizantina quando vengono offerti i doni eucaristici all'assemblea liturgica e si aprono le porte rege dell'iconostasi, il prete fa una professione di fede molto bella “le cose sante ai santi”; l'eucaristia è la santità trinitaria regalata ai santi che sono i battezzati per una comunione di santità che è la gioia di appartenenza a Dio per incarnarlo nel concreto di tutti giorni, le beatitudini del feriale. Se riuscissimo ad entrare in questa meravigliosa e affascinante avventura, dovremmo veramente godere di essere santi, non di quei santi che possono diventare occasioni di idolatria, ma di quei santi che sono il vivente Cristo Gesù nel frammento della storia quotidiana. Il risultato sarà quello che Gesù desidera da noi la libertà del cuore, della mente e delle azioni perché il criterio della nostra vita è il santo, Gesù, innamorato del Padre e degli uomini perché anche noi in lui siamo innamorati del Padre e degli uomini per fare del mondo quel mondo nuovo che è il senso di tutto il progetto di Dio nella storia dell'umanità intera.




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