05 gennaio 2020

II DOMENICA DOPO NATALE - (ANNO A)


Sir 24,1-4.12-16                Ef 1,3-6.15-18                     Gv 1,1-18    

OMELIA

La Chiesa, per guidarci ad approfondire in modo autentico la realtà dell'Incarnazione, ci offre ancora l'inizio del Vangelo di Giovanni, perché questo evento fondamentale per la nostra salvezza, possa veramente diventare l'anima della nostra anima. Nel mistero dell'Incarnazione noi godiamo quel dialogo eternità – storia, che è il senso della nostra vita. Davanti al prologo di Giovanni, questa mattina veniamo accompagnati dallo Spirito ad accostarci al mistero dell'iniziativa di Dio nei confronti dell'umanità e a cogliere una meravigliosa sintesi della nostra storia umana. Ogni battezzato è la vivente e personale visione dell'identità di ogni cristiano. Rileggere nella fede il prologo di Giovanni non è semplicemente entrare nel modo di agire di Dio, ma è soprattutto entrare nella comprensione della nostra identità, per ritrovare la vera sapienza, come ci ha detto il libro dei Proverbi. È la bellezza di riscoprire il senso vero della nostra esistenza, al di là delle vicissitudini storiche. Ecco perché oggi si punta molto di più sul mistero dell'Incarnazione che sul mistero della Morte e Risurrezione del Signore perché nell’Incarnazione c'è tutto il gusto creativo di Dio che dà alla luce l'umanità. Noi non comprenderemo mai perché Dio abbia creato l'uomo. La bellezza di rileggere il prologo di Giovanni è entrare nel mistero del cuore di Dio, nel quale è il mistero dell'uomo.

Quando noi riascoltiamo l’inizio del prologo, troviamo il nucleo che dà la risposta alla domanda più profonda dell'uomo: “Perché esisto?”. Leggiamo: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Abituati ad uno storicismo fin troppo legato al concreto, abbiamo dimenticato il senso della nostra esistenza: “In principio”. Ci vengono in mente allora due altri testi della tradizione scritturistica, che qualche volta non approfondiamo a sufficienza: “In principio Dio creò il cielo la terra” - la contemplazione dell'atto creativo di Dio- e- alla sera del sesto giorno, dopo aver creato l'uomo- “E Dio vide che era cosa molto bella”. La nostra esistenza umana fiorisce dalla bellezza di Dio.

Noi qualche volta non ci poniamo l'interrogativo sul senso portante della nostra vita. Lo cogliamo in quel “In principio Dio creò il cielo e la terra”: è Dio che dispiega la sua bellezza nel creato, è Dio che incarna la sua bellezza nella realtà dell'uomo, è Dio che regala all'uomo la bellezza del creato. Siamo troppo portati a vedere quello che dobbiamo fare e non abbiamo il gusto di questa bellezza di Dio, che ci ha creati: dalla bellezza di Dio alla bellezza dell'uomo, entrando nella bellezza dell'uomo per gustare la bellezza di Dio, in una reciprocità che veramente ci deve affascinare. Ricolleghiamoci al versetto, che troviamo nell'inizio della prima lettera di Giovanni: “Ciò che era in principio” dove l'autore della lettera sta contemplando il mistero della storia di Gesù, per cui noi siamo la bellezza di Dio attraverso la storia di Gesù. Innamorarci della storia di Gesù è innamorarci della nostra storia. L’uomo ritrova il respiro della sua esistenza, quando ha il coraggio di entrare nella fonte del suo essere, la bellezza di Dio, nell’Incarnazione del Verbo, nel mistero della storia di Gesù. Viviamo questo grande progetto che dobbiamo sempre acquisire, attraverso quello che subito dopo Giovanni ci dice: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Se la fonte della nostra esistenza è il mistero della Trinità, poiché il Padre e il Figlio vivono un'intensa relazione nell'eternità, nella quale l'uomo è collocato, allora la vita è condividere, nelle nostre scelte umane, la bellezza del rapporto trinitario.

Dicevamo mercoledì scorso che dobbiamo entrare nel silenzio di Maria, perché il Verbo è uscito dal silenzio di Dio e il silenzio è l'ambiente vitale per gustare la grandezza della nostra identità. Il silenzio, come gustazione di questo meraviglioso rapporto tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo, è la dinamica della nostra umanità. Se riuscissimo a penetrare nel silenzio vero questo mistero, ci accorgeremmo che la storia, pur nella sua complessità, anche tragicità, come avvertiamo in questi giorni, è relativa allo spazio e al tempo. La bellezza della vita è essere per sempre in Cristo, secondo la visione che ci ha dato l'inno di Paolo nella seconda lettura: la nostra esistenza è la vita nella Trinità, nella prospettiva di gustare l'arrivo in cielo, perché siamo creati per lodare eternamente la Trinità. Se cogliessimo questo semplice elemento della nostra esistenza cristiana, avremmo nel cuore, anche nei momenti di buio, di aridità e di non senso, una certezza: il mio istante è l'oggi eterno di Dio e, se nell'oggi eterno di Dio sono la bellezza dell'ineffabilità di Dio, nel profondo del cuore io sono nella luce. Ecco perché Giovanni nel prologo ha usato l'immagine della luce.

La storia sembra essere un susseguirsi di oscurità, ma questa luce che nasce dal rapporto Padre-Figlio scioglie le nostre tenebre e ci dice che siamo in una luce incomparabile. Soffermiamoci nel cammino della nostra vita a rileggere la bellezza di abitare in questa vitalità silenziosa delle tre Persone divine e troveremo la gioia di essere noi stessi. La fede non è un'illusione, non è una serie di sogni che l'uomo si costruisce come analgesico esistenziale, la fede è gustare con Dio la bellezza della nostra umanità: siamo nel “principio”.

Se cogliessimo la bellezza della rivelazione cristiana, godremmo del mistero dell'Incarnazione. Dicevamo a Natale che le luci fanno dimenticare la luce, il rumore ci fa dimenticare che il Verbo è uscito dal silenzio di Dio, il caos storico ci fa dimenticare che siamo chiamati a entrare nel silenzio della lode eterna. È la profondità della nostra vita: la gioia dell'Incarnazione, una gioia che noi stiamo vivendo nel mistero eucaristico, dove siamo immersi nella creatività di Dio, che ci rende creature molto belle. Siamo nella luminosità trinitaria. Nel momento in cui ci accosteremo al pane e al vino, Dio ricreerà le nostre persone perché il Padre, mentre ci accosteremo all’Eucaristia vedrà in noi il Figlio, che ci rigenera, e otterremo la libertà del cuore, che nasce dallo Spirito Santo.

Viviamo questo mistero, che magari può essere di pochi, ma quei pochi che vivono l’ineffabilità dell'Incarnazione diventano speranza per un'umanità che non trova più il senso della sua vita. Ecco perché la Chiesa ci ha dato ancora, oggi, il testo del prologo, perché non ci dimentichiamo mai della profondità e della bellezza dell'evento dell'Incarnazione in cui Dio, in modo meraviglioso, ci ha creati come uomini. Amiamo questo Dio, nel quale ritroviamo la nostra esistenza storica, ma amiamolo soprattutto perché siamo chiamati a quella esistenza gloriosa, quando tutti saremo nella Gerusalemme del cielo.




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