01 maggio 2022

III DOMENICA DI PASQUA - ANNO C -

At 5,27b-32.40b-41    Ap 5,11-14    Gv 21,1-19       

OMELIA

Domenica scorsa Gesù risorto, apparendo ai discepoli, ha reso la loro vita piena di gioia, regalando la bellezza della pace. Questa esperienza meravigliosa è destinata a divenire il principio di una missione. Gesù appare, riempie di gioia i suoi discepoli, comunica loro l'armonia della vita perché siano messaggeri di novità di vita: è il senso del brano evangelico che abbiamo poc'anzi ascoltato dove, l'aspetto sul quale vogliamo questa mattina soffermarci, è il dialogo tra Gesù e Pietro e, di riflesso, il dialogo tra Gesù e ciascuno di noi. Ed è interessante come in questo dialogo emerga una situazione molto interessante che l'evangelista Giovanni ha espresso con due parole: Gesù si rivolge a Pietro e gli dice - mi ami? - e Pietro risponde - ti voglio bene -. In questo linguaggio emerge un tipo di orientamento esistenziale, da leggersi sullo sfondo della storia della salvezza.

Il messaggio di Dio senza il mistero dell'Incarnazione è incomprensibile. Infatti un'esperienza che rimane a noi molto chiara quando ci accostiamo al terzo passaggio, quando Gesù non usa più la parola «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?», ma «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Non è semplicemente un passaggio linguistico, ma è l'espressione di una mentalità. Un Dio non incarnato è incomprensibile per l'uomo.  La parola “amore” rappresenta in Giovanni la vita all’interno delle tre Persone divine e la creatura con le proprie forze non riesce a raggiungere tale meta. La bellezza dell'Incarnazione è Dio che parla il linguaggio dell'uomo, la parola “amo” sulle labbra di Gesù dice la vita Trinitaria, la parola “mi vuoi bene” indica l'Incarnazione. E andiamo sempre all'espressione con la quale l'evangelista Giovanni nel prologo ci enuncia la grandezza del Dio con noi, il Verbo si fece carne e venne ad abitare. La bellezza di Gesù è quella di parlare con il linguaggio dell'uomo. In quel - mi vuoi bene? - c'è tutta l'intensità divino-umana della presenza di Gesù, e Pietro allora è posto nelle condizioni di poter capire il darsi di Dio. Gesù usa un linguaggio divino-umano perché l'umano possa cogliere la bellezza del divino, è quel dare ospitalità a Dio perché Dio entrando nella nostra storia possa continuare a regalare agli uomini la bellezza della loro umanità. Una delle verità che fa parte della missione della Chiesa è il dialogare con l'uomo usando il linguaggio dell'uomo per regalare la grandezza divina. Ecco perché Pietro intuisce il linguaggio di Gesù al terzo passaggio perché Gesù ha “imparato” a parlare il linguaggio di Pietro e Pietro ha capito. Davanti a questa esperienza ecco quel Pasci i miei agnelli… Pasci le mie pecore. In quell’invito a pascere troviamo questo possibile invito di Gesù alla Chiesa: continua a dialogare con l'uomo attraverso il dialogo con un linguaggio che gli sia comprensibile.

E’ molto bello il rapporto tra l'atto di fede di Pietro e la vocazione di Pietro, il quale è chiamato a dare agli uomini la bellezza d'essere tali. E’ la grandezza del mistero dell'Incarnazione.

Gesù appare ai discepoli usando un linguaggio divino-umano perché gli uomini possano veramente comprendere la bellezza della loro vita. In tale direzione l’immagine del pascere le pecore vuole sottolineare l’esigenza di condividere la bellezza divino-umana di Gesù. Allora veramente nasce la fecondità del cammino credente. La missione diventa l'incarnazione quotidiana di Gesù, attraverso la sua presenza, dove Egli si rende ospite della nostra vita perché noi possiamo, da Lui ospitati, imparare ad annunciare il messaggio del Vangelo.

Noi qualche volta pensiamo che il Vangelo sia una somma di verità di fede. Il Vangelo è la bellezza di Gesù che ama dialogare con l'uomo, con il linguaggio dell'uomo per regalare all'uomo la bellezza e la grandezza della sua esistenza. Ecco allora che il Vangelo si conclude con quella affermazione che dovrebbe continuamente accompagnarci: “Seguimi! Diventa continuamente mio discepolo, continuamente fatti amare nel profondo della tua umanità, accoglimi come il Signore della tua persona”. Infatti se noi guardiamo attentamente quel Seguimi! ci accorgiamo di una verità molto semplice, Gesù ci dice: “Vivi la mia creatività divino-umana nel costruire i rapporti della tua Chiesa con gli uomini di ogni cultura”. La Chiesa è una comunità dove ci si relaziona nell’umano per regalare la bellezza e la grandezza del divino. Ecco allora che la Risurrezione è la fonte di una missione dove l'uomo ritrova pienamente e continuamente se stesso, e tutto questo noi lo stiamo vivendo.

Nella parola di questa mattina ci siamo accorti che la missione, da dove nasce se non dal Mistero eucaristico? Gesù mangia con i suoi discepoli e mangia con i suoi discepoli quello che lui stesso ha preparato, sia quello che ha preparato sulla riva del lago, sia quello che i discepoli hanno pescato. Questa missione di regalare il divino-umano all'uomo nasce dalla gratuità di Dio. Lo stile della Chiesa è uno stile divino-umano all'insegna della gratitudine consapevole continuamente di regalare agli uomini la bellezza del divino. Ecco perché l’evento misterioso della Risurrezione rappresenta l’esperienza quotidiana nella celebrazione eucaristica. Il Signore mangia con noi, prepara per noi la sua convivialità, riempie noi della sua presenza e nel momento in cui celebreremo il rito della comunione, in un certo qual modo, vedremo il compimento di quel dialogo Mi ami più di costoro? e noi diremo: Signore il tuo linguaggio è alto ma nella mia povertà ti voglio bene! Accogliamo questo stile di vita che Gesù ci regala questa mattina, un dialogo tra il Risorto e ciascuno di noi, per condividere con i fratelli, attraverso l'esperienza concreta di ogni giorno, la bellezza della sua presenza, diventando giorno per giorno persone che si lasciano profondamente amare nella pienezza della loro identità per essere segni di una novità di vita da regalare a ogni fratello.

 

Nessun commento:

Posta un commento