25 settembre 2016

XXIV DOMENICA T.O. - Anno C -

Am 6, 1.4-7     Tm 6, 11-16     Lc 16, 19-31
OMELIA
Il quotidiano fascino di Gesù ci porta giorno per giorno a goderne la libertà del cuore.

Conoscere Gesù e acquisire  l'autentica libertà sono un binomio inscindibile. Più diventiamo Cristo più abbiamo il gusto della libertà e questa mattina Gesù vuole introdurci nella profondità di tale mistero perché la nostra vita sia una autentica professione di fede nel suo mistero.  Infatti è molto bello come l'apostolo, nel testo che abbiamo ascoltato nella seconda lettura, ci ponga davanti ad uno stretto rapporto tra il cristiano che è chiamato a fare la sua professione di fede davanti al mondo intero e Gesù che, davanti a Pilato, ha dato la sua grande testimonianza. In un mondo come quello in cui viveva l'autore della prima lettera a Timoteo, dove meno veniva colto il senso della presenza del Maestro, l'autore dice che dobbiamo imitare Cristo che davanti a Pilato è stato Signore. La bellezza della fede è vivere  Gesù che è signore davanti alla storia. L'uomo è veramente libero quando, davanti agli avvenimenti dell'esistenza, in tutte le sue conflittualità può "dire Gesù" con tutto il suo mondo interiore perché la bellezza della libertà è essere sacramento di Gesù Cristo. Il cristiano nel cammino del tempo dice solo "Gesù".

Come  possiamo entrare in questa meravigliosa esperienza e quindi gustare questa libertà?

La parabola che abbiamo ascoltato è la storia di Gesù. Il testo che ci ha introdotto nel brano evangelico ci parla di Gesù Cristo: " Gesù Cristo da ricco che era si è fatto povero per voi perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà". Sono due elementi che caratterizzano la personalità di Gesù e che ci aiutano lentamente e progressivamente a gustare la vera libertà.

Chi è Lazzaro se non l'espressione dell'evento dell'incarnazione? Gesù si è fatto povero è nato in un contesto di emarginazione, non è stato creduto e questo lo ha detto lui stesso quando, in una bella preghiera ha affermato: "Io ti rendo lode Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose a quelli che contano e le hai rivelate a quelli che non contano".

Per entrare nella vera testimonianza di Gesù e per fare della nostra vita quell'atto di libertà che è la professione di fede dobbiamo essere persone che come Gesù non contano. L'uomo contemporaneo non riesce a gustare questa bellezza evangelica perché è ammalato della cultura dell'immagine, delle letture psicologiche della vita, del dominio del successo e non può costruire né mai conoscere Gesù. Solo chi imita Gesù nel mistero dell'incarnazione può lentamente imparare a conoscere Gesù.  Noi ulteriormente possiamo entrare in questo grande mistero  espresso nella parabola, quando Gesù ci dice come possiamo attraverso la nostra povertà quotidiana giungere alla vera libertà.

Nel dialogo tra il ricco e Abramo la soluzione che Abramo dà è molto semplice : "hanno Mosè e i profeti ascoltino loro!"

Se andiamo alla storia di Gesù,  ci accorgiamo che la storia di Gesù si fonda su Mosè e i profeti.

Andiamo al meraviglioso racconto della trasfigurazione e ci accorgiamo che Gesù appare glorioso tra Mosè e il profeta Elia; nel dialogo con i discepoli di Emmaus Gesù spiega le scritture partendo da Mosè e dai profeti.

Nell'episodio parabola del samaritano, il samaritano dà al proprietario della locanda due denari, Mosè e i profeti, perché l'uomo possa ritrovare veramente se stesso. E qual è il contenuto che poniamo al di là di Mosè e dei profeti? Chi è Mosè? È l'uomo che nella tenda del convegno abitualmente è  davanti a Dio.

Noi possiamo ritrovare nella nostra povertà  il gusto della nostra vita vivendo come Mosè per accedere all'anima del mistero di Dio. Di riflesso il profeta è colui che ci regala il come possiamo essere quotidianamente l'oggi di Dio. Fare la professione di fede maturando nella libertà vuol dire, giorno per giorno, avere quell'ansia interiore di stare alla presenza di Dio incarnandone il mistero. Allora ci accorgiamo come lentamente entriamo nella libertà di Dio.

Il cristiano perciò deve semplicemente, nel cammino della sua vita, avere questo atteggiamento interiore di  vivere la povertà del quotidiano in un atteggiamento di accoglienza di Dio come ha fatto Gesù, dicendo agli uomini attraverso la concretezza della vita che Gesù è il Signore. Questo è il camminare nelle tempeste della storia con un cuore veramente libero. E tutto questo - e lo ha detto molto bene l'autore della prima lettera a Timoteo - facendo della nostra vita un atto di glorificazione di Dio. Chiunque voglia veramente fare della sua vita un atto di grande libertà interiore deve cantare la bellezza della vita:  è il cuore che canta la bellezza della professione di fede, e in questo esprimiamo  l'ebbrezza della vita, pur nelle lacrime della storia. Questo è l'uomo libero!

Questo approccio diventa per noi un affascinante orizzonte. Quando il cristiano è veramente libero?

Quando fa della sua storia feriale un inno di lode a Dio: è la capacità del quotidiano di dire "Ti glorifico ,o Padre, perché nella mia radicale povertà mi hai rivelato il volto del tuo figlio Gesù".

Se entrassimo in questa meravigliosa esperienza avremmo un risultato veramente liberante.

Noi tante volte pensiamo che l'essere cristiani sia essere continuamente sottoposti ad una precettistica continua, ma l'uomo, quando si sottopone ad una precettistica continua, aumenta la sua schiavitù. La bellezza della vita è fare del feriale un atto di culto una professione di fede.

Negli anni conciliari è nata una testimonianza che dovrebbe essere per il nostro cuore fonte di grande libertà.

Un grande gesuita antropologo, che ha studiato per tutta la sua vita il senso del mondo creato, diceva nel suo testamento: "Nella mia vita non sempre potevo celebrare l'eucarestia perché non avevo il pane e il vino, ma ho celebrato l'eucarestia della vita". I frutti del suo lavoro li elevava col Signore rendendo grazie. Questa era la sua eucarestia!

Se il cristiano riuscisse a percepire questa profondità, allora la conclusione della seconda lettura sarebbe una esperienza veramente attuale. L'uomo  veramente libero offre a Dio il frutto del lavoro quotidiano in un inno di lode e di ringraziamento al Signore e, allora, non saremmo più catturati dal correre a fare tante cose per rendere contento il Signore, ma dovremmo nella nostra vita  godere della gioia del Signore che ci dice: "Vivi nel tuo piccolo la grandezza della mia presenza".

È l'eucaristia che stiamo celebrando.

In quei doni, frutto del lavoro dell'uomo e della grazia di Dio, noi offriamo a Dio le nostre povertà. Allora scopriamo una grande ricchezza che le povertà sono la meraviglia di Dio che ci vengono regalate .E' il gesto della comunione eucaristica!  Allora noi scopriremo nella nostra vita la libertà di essere dono.

La libertà di imitare il Cristo è la libertà di offrire con gratitudine la nostra ferialità: è l'eucaristia della vita che ci apre sull'eternità beata.
 
 
 
 
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