15 marzo 2020

III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)


Es 17,3-7                 Rm 5,1-2.5-8                      Gv 4,5-42
OMELIA
Il nostro cammino ci porta giorno per giorno a riscoprire, nella conoscenza del Maestro, la gioia di essere discepoli. Dopo averci introdotti nella sua gloria e averci illuminati, Egli ci ha indicato la meta della nostra esistenza, perché il percorso della nostra maturazione umana sia sempre sorretto da Lui. In Lui sono fissi i nostri cuori! Oggi la parola di Dio ci fa fare un passo ulteriore, ricordandoci una caratteristica dell’uomo nella quale si inserisce il nostro cammino di discepoli: la sete. Gesù è l’acqua della vita di cui la creatura ha sete.
Il linguaggio paradossale del racconto evangelico ci dice che dobbiamo essere assetati del suo mistero, sempre in cerca della verità della nostra esistenza. La sete è fondamentale, perché il senso della vita possa avere un effettivo cambiamento. Occorre avere il coraggio di lasciarci attirare dalla logica del Vangelo che non è la logica della ragione, ma la logica di chi, nella dinamica del cuore, si apre alla storia con una curiosità spirituale e si riconosce nella tipologia della donna di Samaria. Un simile atteggiamento è costruito con l'immagine dello stretto rapporto tra acqua e sete. Ma che cosa vuol dire avere sete?
Ogni uomo, a livello fisico, sa che non può vivere se non accostandosi continuamente alla bevanda liquida. Proviamo a cogliere le due sfaccettature di cosa vuol dire avere sete, sia dal punto di vista umano, sia dal punto di vista cristiano.
Quando ci accostiamo al mistero dell’uomo, avvertiamo come, a qualunque cultura appartenga, egli sia assetato del senso della vita. Ciò che avviene a livello fisico ha un profondo riflesso antropologico: nella sete della sorgente dell'acqua sussiste il desiderio d'essere dissetato dalla sorgente della VITA. Se entriamo nel profondo del suo cuore, ci accorgiamo come egli sia veramente un ricercatore, che continuamente si pone la domanda: “Che valore ha la vita?”. Attraverso gli avvenimenti e le relazioni dell’esistenza, ogni uomo lentamente giunge a dare alla sua storia un significato, senza il quale non può vivere.
Questa, che è una condizione normale dell’uomo, diventa ulteriormente stimolante nella prospettiva della vita cristiana. Gesù questa mattina si definisce come sorgente dell’acqua viva e noi sappiamo che conosciamo il Signore quando siamo immersi nell’acqua, che ci richiama le acque ancestrali da cui siamo nati. Poniamoci la domanda: “Chi è il battezzato?”. Quando ci poniamo un simile interrogativo, vogliamo capire dove si fondi la nostra esistenza. La risposta della fede è chiara: sull’incontro con il Cristo, uomo per eccellenza. Egli accoglie la nostra vocazione al discepolato, vissuta nella fede e celebrata nel battesimo attraverso il segno dell’acqua. Qui veniamo collocati nella verità della nostra esistenza. Nati dall'acqua, nell'acqua ci dissetiamo, per crescere nel gusto della vita.
Nella figura della donna di Samaria scopriamo la profondità della nostra chiamata. Il battezzato è un assetato del volto di Dio: “L’anima mia ha sete di Dio, quando vedrò il suo volto?”, "Come una cerva anela ai corsi d'acqua, così l'anima mia anela a te, mio Dio".
In certo qual modo, nel momento in cui noi veniamo battezzati, attraverso quel segno dell’acqua, noi cominciamo a ricercare la fonte dell’acqua viva che è solo il Signore.
La bellezza della vita è questo dialogo tra l’acqua che zampilla per la vita eterna che il Signore dona e la nostra vocazione ad essere discepoli attraverso una continua ricerca.
La figura della donna rappresenta l'immagine di ogni battezzato, perché in quella sete che la caratterizza noi ritroviamo il desiderio del volto del Signore, mettendo da parte tutto il nostro modo di pensare come appunto ha fatto la donna. Affascinata da Gesù, lasciò la sua anfora.
Nel dialogo tra l’acqua viva che è Cristo e la donna assetata noi assistiamo a tre passaggi, che esprimono l’itinerario che l’uomo è chiamato a costruire continuamente. Attraverso questa attrazione all’acqua viva quella donna passa dalla conflittualità alla relazionalità. Giovanni ci ha detto come la donna si fosse stupita del fatto che un giudeo le chiedesse da bere (a causa della conflittualità etnica). Quella donna, spinta dalla curiosità interiore, supera questa rottura etnica e si pone in relazione.
La sete del volto del Signore ci distacca da tutte le precomprensioni della storia, ci purifica e ci rende idonei a dare ospitalità al Maestro, per condurci a fare un passo ulteriore, ad abbandonare cioè l’idea del possesso: “Tu non hai un secchio con cui attingere al pozzo”.
Quella donna, affascinata dal Signore, entrando in questo meraviglioso dialogo, dimentica anche il secchio, perché chi ricerca il volto del Signore si distacca dalle realtà contingenti, per aprirsi ad una visione più ampia della vita.
Per essere ricercatori del volto di Dio, dobbiamo dimenticare le cose che passano e tutto ciò che esse significano (la dinamica del possesso), per crescere con un cuore libero, innamorato della Verità.
Il terzo passaggio è rappresentato dalla componente affettiva. Quella donna, che è effettivamente una ricercatrice, nel momento in cui vede il Maestro, dimentica i sei uomini dei quali si era innamorata: non esistono più. Lei ormai è innamorata del Cristo, il settimo uomo che incontra. È entrata nella pienezza dei suoi desideri.
La bellezza della ricerca è lo sviluppo di quella esperienza interiore a cui noi diamo il nome di affettività spirituale.
Un cuore che si pone in relazione, dimenticando le contingenze, è un cuore che si lascia amare perdutamente e in quel momento entra nella vera luce: “Tu sei un profeta, tu sei la parola di Dio per noi”. Il cristiano, quando veramente vuole realizzare se stesso, è continuamente assetato, attratto verso la pienezza della vita, attraverso un inesauribile processo di conversione, che non è altro che la vivacità in atto della trasfigurazione.
Ecco perché questa mattina, con gioia, ci ritroviamo nell’Eucaristia: siamo degli assetati, abbiamo dimenticato tutto, abbiamo dimenticato tutti. Quell’acqua pura che zampilla per la vita eterna è ciò che rinfranca il nostro desiderio e ci orienta verso una meravigliosa grandezza di vita. Nel momento in cui ci accosteremo all’Eucaristia, saremo quella donna che si è lasciata attirare e trova il suo Amato. Nel gustare il Corpo e il Sangue del Signore, in profonda intimità sacramentale, la nostra vita diventa una feconda professione di fede, che ci rende capaci di un culto in spirito e verità.
Ecco perché il cristiano non è chiamato a trovare, ma soprattutto a “cercare”, lasciandosi attirare in un processo di progressiva liberazione, per riscoprire veramente se stesso.
Un interrogativo deve rappresentare un motivo di inesauribile stimolazione: abbiamo anche noi sempre questa sete? Allora, nel mezzogiorno della nostra vita -il momento conclusivo della nostra esistenza- troveremo, al pozzo della vita, il Maestro, che ci darà quell’acqua che disseterà eternamente il nostro spirito. Collochiamoci in questo itinerario, certi che non saremo delusi e, quanto più il Signore ci farà venir sete, tanto più vivremo nell’attesa di vederlo presto, per godere la freschezza del giardino dell’Eden, in cui ogni nostro desiderio sarà veramente realizzato.



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