29 marzo 2020

V DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO A)


Es 17,3-7                  Rm 5,1-2.5-8                       Gv 4,5-42

OMELIA

Il discepolo è chiamato giorno per giorno, ma in modo particolarmente significativo nella quaresima, ad assumere la mentalità del Maestro che, come lo Spirito ci suggeriva domenica scorsa, si manifesta nel suo agire paradossale. Egli ci investe della creatività divina che fa nuove tutte le cose. Chi entra nella figura di Gesù e cerca veramente di comprenderne gli aspetti più profondi, si accorge che il suo modo di comportarsi è diametralmente opposto al modo normale di operare dell'uomo. Lo cogliamo nella preghiera che Gesù rivolge al Padre prima del miracolo che   compie facendo risorgere Lazzaro: “Padre ti rendo grazie perché mi hai ascoltato”.

Leggendo questa frase, ci poniamo la domanda: “Come mai Gesù ringrazia il Padre quando il miracolo non è ancora avvenuto?” Abitualmente noi lo ringraziamo dopo che abbiamo visto gli effetti: gli effetti ci portano a dire “Grazie”. Gesù in questo caso ringrazia prima degli effetti, perché il suo pregare rivela il suo modo di concepire la vita, espresso chiaramente nelle parole: “Padre ti ringrazio perché mi hai ascoltato; io sapevo che tu mi dai sempre ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato”. La preghiera di Gesù non è in vista di qualche cosa, ma è la manifestazione del mistero, il dilatarsi di una vita di comunione, l'incarnare una relazione abituale con il Padre. Il dramma di noi credenti è pregare per avere. Gesù ci dice che pregare è il linguaggio ordinario di chiunque viva la comunione con Dio, che è più importante di tutti gli effetti. Le cose sono relative al tempo e allo spazio, la comunione ha il sapore dell’eternità beata.

Marta afferma che il Padre ascolta sempre Gesù, perché il Figlio non fa nulla se non stando in comunione col Padre, Tutto è espressione di quella mirabile relazionalità che esiste tra loro, che hanno come unico interesse la vita: donare la vita, seminare la vita, fare riconoscere all'uomo la bellezza della sua identità. Allora pregare è gustare questo mistero che unisce il Padre al Figlio e, quando c'è profonda comunione di vita, non si guardano mai gli effetti. Se c'è una profonda esperienza di preghiera e di comunione di vita, l'essere l'uno nell'altro e l'uno per l'altro importa più di tutto quello che potrebbe accadere. La mentalità di Gesù è compiere solo ciò che vuole il Padre e poiché il Padre dona la vita, anche il figlio fa lo stesso: il miracolo di Lazzaro ci dice che nella fede c'è solo la vita.

La bellezza all'interno del dialogo, tra Marta e Gesù prima e Maria e Gesù dopo, ritraduce la concezione interiore che egli ha espresso nella sua preghiera: la comunione con il Padre è sempre vita. Gesù compie il miracolo, che è profezia della sua risurrezione, perché è innamorato della vita dell'uomo, del suo mistero, della sua metà gloriosa. Egli sa che non si muore in modo definitivo, sa che l’amico risorgerà, perché nell'esperienza della fede esiste solo la vita. 

Entriamo nelle mentalità libera e liberante di Gesù che, nel profondo della sua esistenza è così legato alla sensibilità del Padre, da essere segno di questo mistero di comunione. Allora comprendiamo: “Chi crede è già passato dalla morte alla vita!” e “Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. La bellezza della fede, la bellezza della mentalità di Cristo, la bellezza delle nostre mentalità si trova nel coraggio di accedere alla vita, che era nascosta nel Padre e si è resa visibile.

Ecco perché il cristiano, se da una parte, a livello psicologico, si interroga davanti ai fatti terribili, davanti alle morti drammatiche di questi giorni, dall'altra conosce il criterio della storia: la vita trionfa sempre, come ci ha detto la seconda lettura.

Allora credo che Gesù questa mattina potrebbe regalarci la mentalità che troviamo nel suo dialogo con il Padre. Ricordiamo sempre che da come preghiamo diciamo la nostra concezione della vita: “Dimmi come preghi, ti dirò che cosa vivi”.  Se riuscissimo a vivere in comunione con Dio, saremmo distaccati delle cose che chiediamo, sapendo che la comunione con lui è vita e libertà davanti alle realtà contingenti. Allora vedremmo la gloria di Dio: la risurrezione di Gesù, perché mistero del suo morire è il mistero del suo vivere; vivere nell'amore per risorgere per amore.

In questa Eucaristia cerchiamo di cogliere la profondità di questo insegnamento. Il Signore si   rende presente perché, credendo in lui, siamo in comunione con lui. Se siamo veramente in comunione con lui, gli diciamo “Grazie” ancor prima che si renda presente nel suo Corpo e nel suo Sangue, perché pregare è comunicare in modo così profondo che noi abbiamo la certezza che Dio è fecondo, non tradisce e ci introduce nella vita che non conosce tramonto. Tale è il mistero che vogliamo celebrare, per gustare il grande mistero della risurrezione attraverso il quotidiano morire. In questo modo ci prepariamo a vivere intensamente anche i misteri della morte del Signore, nella certezza che la morte non distrugge mai la comunione, che è fondamentalmente la bellezza e il gusto della vita.

Se qualcuno di noi muore, sappiamo che ora è nella gloria di Dio, dove siamo tutti convocati per cantare eternamente la nostra lode al Padre, unica meta, unico sospiro, unico desiderio del nostro cuore.




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