28 giugno 2020

XIII DOMENICA T.O. - (ANNO A)



2Re 4,8-11.14-16   Rm 6,3-4.8-11                   Mt 10,37-42             


OMELIA


Essere discepoli del Signore vuol dire avere il cuore sempre aperto alla sua persona e al suo mistero. La bellezza del nostro cammino nel tempo e nello spazio è avere un cuore continuamente aperto, per lasciarci avvolgere dalla sua persona e camminare dietro a lui. È quello che Gesù ci vuole regalare questa mattina nella Parola che abbiamo accolto. Il senso della nostra esistenza si focalizza nel seguire Gesù, accogliendolo nella globalità del suo mistero. È interessante come il testo evangelico si possa coniugare sia col brano del Libro dei Re sia, in modo molto chiaro, con la Lettera di Paolo ai Romani: chiunque è discepolo va dietro al Maestro, accogliendolo giorno per giorno nella propria vita. La bellezza di essere discepoli è vivere in stato di accoglienza, ponendo al centro del nostro essere la sua persona, il suo disegno, la capacità esistenziale di costruire la nostra storia nella sua misteriosa volontà. Allora come noi, ogni giorno, possiamo essere discepoli? Tre sollecitazioni ci possono aiutare:
  • accogliere la persona di Gesù,
  • regalarla ai fratelli,
  • per ritrovare l'armonia della nostra storia.
    In esse scopriamo e costruiamo la nostra vera fecondità esistenziale.
    Innanzitutto, il primo passaggio è accogliere: accogliere il Maestro, accogliere il dono battesimale nell'ampio quadro dell’itinerario sacramentale, accogliere la nostra storia come parola di Dio. Accogliere! Tale deve essere il nostro itinerario interiore. Noi spesse volte, nel cammino della nostra storia, presupponiamo troppe cose, come se fossero ovvie, mentre la bellezza della vita è spalancare la nostra persona al mistero che siamo e che diventa il mistero del vivere. Uno dei pesanti interrogativi nel mondo di oggi è percepire cosa voglia dire la parola "vivere", soprattutto davanti ai profondi interrogativi che nascono da circostanze e avvenimenti. La vita è un dono da accogliere. Non ci siamo dati noi la vita, ci è stata regalata: siamo chiamati ad accoglierla! E questa vita ci è stata donata in Cristo Gesù. Ecco perché Paolo ci ha offerto quella esperienza fondamentale che noi chiamiamo “battesimo”, ma che dovremmo definire in modo più profondo “vivere la nostra quotidiana iniziazione al mistero di Gesù”. È la bellezza di vivere accogliendo Gesù istante per istante. Noi abbiamo del concetto di battesimo una lettura troppo statica. Quando Paolo nella Lettera ai Romani parla di battesimo, ci offre una lettura molto più ampia rispetto ad ogni formula rituale. Egli ci fa scoprire, che viviamo una meravigliosa verità. In ogni frammento della nostra giornata viviamo e moriamo in lui, in lui moriamo e in lui viviamo, perché noi spalanchiamo la nostra vita alla sua persona e la sua persona è il criterio portante della nostra esistenza perché, con il passare del tempo, lui diventi il Signore di noi stessi. C'è un bel salmo che dice: “Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie”. Volendo scoprire il senso di questo salmo, e in particolare di questa espressione: “Cantate al Signore un canto nuovo”, dobbiamo comprendere che il canto è nuovo perché Dio è nuovo ogni giorno. Ogni attimo della nostra esistenza è un atto creativo di Dio, per cui accogliere la vita del Maestro è, istante per istante, lasciarci rigenerare dalla sua persona.
    Se partiamo da questa convinzione, ci accorgiamo che a noi interessa solo il Maestro, la sua persona che entra nella nostra persona, e la sua presenza che diventa l'anima del nostro agire. Ecco perché nel Vangelo dopo aver parlato dell'accogliere c'è quell'immagine molto bella “Dar da bere un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è discepolo” sapendo che ogni uomo, per il fatto che è uomo, è un discepolo, effettivo o potenziale. Quel dare un bicchiere d'acqua può significare quindi condividere la profondità, la bellezza e la freschezza di appartenere al Signore. Egli, nel momento in cui ci ha rigenerati, ci ha dato la capacità di vivere nella vitalità della fede; ha suscitato la sete dell'acqua per crescere nel desiderio; ci ha donato il cibo, il suo pane e il suo vino, per alimentare la nostra persona. Ora questo accogliere quotidianamente il Signore nella sua persona diventa la gioia di regalare a ogni uomo quest'acqua che è la sorgente della vita.  È un accogliere che diventa un donare; è un lasciarci rigenerare per regalare speranza; è ritrovare la bellezza e la novità della vita, per regalare bellezza e novità di vita. È qualcosa che ci deve prendere. Spesse volte siamo eccessivamente catturati dalle tante cose da fare, dai problemi che schiacciano la nostra esistenza, dagli interrogativi che nascono automaticamente nelle vicissitudini complesse del quotidiano, ma dobbiamo anche dire - ed è la grandezza profetica del discepolo del Signore - che ogni giorno accogliamo una Presenza, ravviviamo questa Presenza che è in noi, ogni giorno veniamo rinnovati dalla sua creatività, per essere uomini che generano speranza. Dar da bere a un uomo assetato è dargli la speranza, perché riprenda il cammino della vita. Il discepolo è la persona che accoglie continuamente, per regalare a ogni fratello la gioia.
    E allora la terza conseguenza è che “diventiamo fecondi”. È bella l'immagine del Libro dei Re che abbiamo ascoltato, come lo è la conclusione del Vangelo: “Non perderà la sua ricompensa”, che non è da intendere in termini di dare e avere, perché la vera ricompensa evangelica è rendere la nostra vita profondamente feconda, regalando all'uomo il coraggio di vivere.
    Il discepolo non è chiamato a chissà quali opere, ma la sua vita è tutta racchiusa in questi tre verbi: accogliere, dare, gustare una novità feconda e quando noi sappiamo costruire così la nostra esistenza, in qualunque situazione ci possiamo ritrovare, ecco che il cammino di Dio diventa il nostro cammino. Un simile atteggiamento è estremamente importante, se ci confrontiamo con la cultura contemporanea, nella quale viviamo in una penombra, che non lascia trasparire nessuna sicurezza. La bellezza della nostra esistenza è diventare uomini che, nell'accoglienza della storia feriale, spalancano la propria persona alla vita per condividerla attraverso i semplici gesti del quotidiano. Se guardiamo attentamente la figura di Gesù, egli ha regalato speranza attraverso la gestualità semplice del vissuto di tutti i giorni. Con il suo modo di esprimersi, fatto di comportamenti e di parole, si regalava agli uomini in attesa di salvezza. La bellezza di essere discepoli è coniugare in ogni avvenimento questi tre verbi: accogliere, regalare, diventare fecondi.
     Questa mattina ci ritroviamo qui perché vogliamo di nuovo spalancare le nostre persone al Signore che nel mistero della sua persona vuole renderci creature nuove. Un tale dinamismo fa in modo che questo dono che riceviamo in questo istante divenga veramente la fonte di quella gratuità che noi sapremo diffondere nella semplicità essenziale di tutti i giorni. Di riflesso i fratelli nella nostra semplicità relazionale potranno dire: “Riprendo la forza per camminare nella vita”. È la bellezza del dono eucaristico. L'Eucaristia è veramente il dono di Gesù che noi accogliamo per regalarlo, ma, se Gesù non penetrasse fino in fondo nella nostra personalità, che cosa regaleremmo? Noi regaliamo qualcosa di grande che ci è stato regalato e che ci viene regalato, giorno per giorno: il soffio della vita, la presenza del suo Spirito, la luminosità della sua Parola, la bellezza dei rapporti fraterni.  Se veramente riuscissimo a cogliere la meraviglia di questo stile di vita, non risolveremmo con questo tutti i nostri problemi. Gesù non è venuto per risolvere i nostri problemi. Egli operava perché potessimo ritrovare il coraggio di vivere e il coraggio di vivere non è di molti oggi. Ecco il cristiano! Egli veramente è aiutato a ritrovare nell’ itinerario feriale della sua storia questo grande mistero. Viviamo così l’Eucaristia: accogliere, donare, regalare ai fratelli il gusto della vita nella persona feconda di Gesù, che incoraggia giorno per giorno ad attendere nella notte l'aurora, a cogliere il meriggio e, lungo la giornata, a ricevere luce e riscaldarci al sole del Maestro, per camminare in tanta serenità e con tanto coraggio.


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