25 aprile 2021

IV DOMENICA DI PASQUA - ANNO B -

At 4,8-12      1Gv 3,1-2    Gv 10,11-18

OMELIA

Il cammino alla ricerca esperienziale di chi sia il Risorto ci ha lentamente introdotti nella conoscenza del mistero di Gesù e sicuramente la parola che il Maestro questa mattina ci offre è uno dei momenti più alti della riflessione dell'evangelista Giovanni, il quale, rivolgendosi alla sua comunità, vuole che essa faccia veramente l'esperienza del Risorto: entrare in questo mistero per potere ritrovare la bellezza e il coraggio della vita. E il punto di partenza è l'espressione che abbiamo accolto dalla prima lettera di Giovanni: noi fin da ora siamo figli di Dio! Fin d'ora siamo figli e questa esperienza ci fa intuire che la bellezza di essere discepoli non appartiene al passato. L'esperienza di essere discepoli appartiene all'esistenza alla vita quotidiana. Il cristiano ogni giorno viene generato da Dio e questo è sicuramente un aspetto a cui la scuola di Giovanni continuamente fa riferimento: siamo fin d'ora figli anche se non c'è stato ancora rivelato cosa vuol dire essere pienamente figli: ogni giorno veniamo generati da Dio. Ogni frammento della nostra esistenza è entrare in questa esperienza, ogni giorno il Maestro penetra con la sua personalità dentro di noi e ci fa continuamente vivere secondo il suo mistero per interiorizzarlo sempre meglio.

E’ quella novità che noi dovremmo continuamente e lentamente acquisire: essere figli del Padre in Gesù. In un simile orizzonte riusciamo a comprendere due parole che abbiamo ascoltato nel testo evangelico: dare la vita per poterlo veramente conoscere.

In genere quando pensiamo all'espressione “dare la vita” il riferimento immediato è al fatto del morire. Se guardassimo attentamente la letteratura giovannea il significato assumerebbe un altro valore: dare la vita è introdurre in una comunione esistenziale. La bellezza della vita è comunione, è elaborare un itinerario di fraternità; il substrato di fondo della nostra esistenza è essere chiamati a essere comunione. E’ sufficiente che noi per un attimo ci soffermiamo al momento del nostro battesimo. Cosa vuol significare la formula sacramentale Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, se non: io ti introduco nella viva e feconda comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo? In quel gesto battesimale noi siamo stati stabiliti in una comunione inesauribile che è quella che caratterizza il rapporto Padre-Figlio-Spirito Santo e la Chiesa rappresenta il sacramento di questa comunione: un popolo convocato nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ogni giorno Gesù qualifica la nostra vita, imprime nella nostra esistenza la sua personalità, ci fa gustare la relazionalità tra le tre Persone Divine. E’ una verità questa che tante volte noi dimentichiamo perché non abbiamo la bellezza e il coraggio di entrare nel Mistero che abita in ciascuno di noi. Ogni giorno il Padre ci regala al Figlio perché nello Spirito Santo siamo sempre più il suo Mistero. È il divenire feriale della nostra attrazione nelle tre Persone divine.

Da questo punto di vista la letteratura giovannea è molto stimolante. Noi siamo il quotidiano regalo del Padre al Figlio. Infatti così si esprime l'evangelista: Ho fatto conoscere il tuo nome a quelli che mi hai dato, erano tuoi e li hai dati a me. Pensare che ogni frammento della nostra storia è un regalo del Padre al Figlio, e il Figlio, Gesù Cristo, è così cosciente di tale mistero che nel momento in cui Gesù torna al Padre, nella sua preghiera sacerdotale, Gesù ci riconsegna al Padre: ora li lascio a te! Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Spesse volte dovremmo riuscire a percepire questa meravigliosa esperienza. Gesù dice al Padre, e lo dice con profonda convinzione, ho fatto conoscere il tuo nome a quelli che mi hai dato. Anzi, se guardiamo attentamente, la nostra esistenza è un dono del Padre al Figlio perché noi nello Spirito Santo cresciamo in lui. Sicuramente entrare in questo orizzonte è molto difficile, perché non riusciamo a entrare in un orizzonte che è più vasto di noi. Non abbiamo il coraggio tante volte di spaziare sull'Infinito della vita e non sempre riusciamo a intuire questa meravigliosa bellezza. Ogni frammento di vita è essere generati dalla Trinità, per camminare nella Trinità, per crescere nella comunione trinitaria. E questo "dare la vita" diventa il verbo conoscere, dove conoscere è un fatto di personalità che si incontrano, la conoscenza non è un fatto intellettuale, non è un fatto razionale, la conoscenza è la vita di Dio che penetra in noi. È molto bello, e lo abbiamo notato nel brano evangelico, 4 volte Gesù ha usato la parola dare la vita, 4 volte il verbo conoscere, è quella comunione che ci permette di conoscere e la conoscenza è essere in intimità divino-umana con il mistero divino. Se noi cogliessimo questa bellezza, la vita di tutti i giorni diventerebbe un meraviglioso atto di culto a Dio. La bellezza di tutti i giorni sta in questa consapevolezza: sono un regalo trinitario. Oggi vivendo il concreto che è la nostra esistenza, entriamo nella conoscenza dell'amore trinitario, la vita assume una dimensione molto diversa. Ecco perché l'evangelista Giovanni attraverso i suoi scritti ci ha introdotti in questa visione mistica.

C'è un teologo, Karl Rahner, il quale ha affermato “O il cristiano è un mistico o non è cristiano”, in altre parole o entra in quel capolavoro che è la vita di Dio nella sua storia oppure non è cristiano. È il gusto del vivere in questa fecondità divina che è il senso portante della nostra esistenza. Ecco perché alla conclusione della preghiera sacerdotale Gesù ha detto così: ho fatto conoscere il tuo nome e lo farò conoscere perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro.

Tutto questo che caratterizza la nostra vita di tutti i giorni, in modo particolare si costruisce nell'Eucaristia. Lo stesso Giovanni nella preghiera sacerdotale dice per essi consacro me stesso perché siano anch'essi consacrati nella verità, è respirare amando l'umano il gusto del divino. È l'Eucaristia che stiamo celebrando! Utilizzando il linguaggio delle altre domeniche, come nell'Eucaristia il Cristo è il grande protagonista, così oggi possiamo dire che l'Eucaristia è il Padre che ci consegna al Figlio perché il Figlio in questa Eucaristia ci faccia rivivere la bellezza di essere suoi discepoli perché alla fine dell’Eucaristia il Figlio ci riconsegna al Padre perché entriamo nella nostra ferialità, uomini veramente nuovi. Dare la vita vuol dire allora entrare in un vero processo di conoscenza e facendoci conoscere la comunione divino-umana del Cristo ritroviamo la bellezza e il gusto del nostro quotidiano.

Viviamo così questa Eucaristia che, magari presi dalle tante cose, dalle tante parole, dai tanti pseudo-canti, spesse volte ci impedisce di entrare in questo mistero, ma la bellezza della mistica di Giovanni ci fa respirare. Nel grigiore della vita abbiamo il gusto di una luminosità divina. Questa è la bellezza serena e semplice di tutti i giorni, è questione di gusto veramente umano, di autentica relazionalità. Se noi entriamo perciò in questo clima interiore possiamo veramente prendere consapevolezza che l'essere discepoli del Signore è imparare a vivere, a essere fratelli e sorelle, in un cammino quotidiano verso la luminosità della gloria, verso quella meta finale in cui Dio sarà tutto in ciascuno di noi.

 

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